Anna Attura, 38 anni, Rosetta Padula 35 anni, Carmela Incafù, 58 anni, Gabriella Pignone, 47 anni, annunziata Miolli, 55 anni; sono questi i nomi delle cinque donne che la mattina del 9 gennaio 1979 mentre erano intente ad animare un dibattito di Radio Donna, ospitato da Radio Città Futura a Roma, vennero colpite dalle molotov e dai proiettili dei Nuclei Armati Rivoluzionari.
Fu una vera e propria mattanza portata avanti con ferocia contro persone indifese, un’operazione, come ebbe a dire in sede processuale lo stesso Fioravanti, che finalmente portava i Nar al livello delle Brigate rosse
Erano le 10 e 20 quando un commando dei Nar guidato da Valerio Fioravanti fa irruzione a Radio Città Futura per “processare”, in occasione della strage di Acca Larentia, il collettivo editoriale reo di aver fatto una battuta di pessimo gusto su uno dei militanti missini uccisi un anno prima. Invece dei membri della redazione, però, quella mattina c’erano 5 donne del collettivo di Radio Donna che venivano ospitate dalle strutture della giovane, allora, emittente della sinistra romana; secondo la ricostruzione processuale partono immediatamente due bottiglie molotov seguite da una serie di spari che colpiscono alle gambe 4 donne mentre alcuni colpi di pistola esplosi contro Anna Attura costringono i medici alla rimozione delle ovaie, di un pezzo di intestino ed alla ricostruzione dell’osso pubico. Fu, insomma, una vera e propria mattanza portata avanti con ferocia contro persone indifese, un’operazione, come ebbe a dire in sede processuale lo stesso Fioravanti, che finalmente portava i Nar al livello delle Brigate rosse. Nel 1979, lo scontro è alto, altissimo: è passato un anno e mezzo dal rapimento e uccisione di Aldo Moro, e sono dozzine le sigle armate che partecipano a quella coda del movimento del 1977. I tempi e le modalità delle pratiche di violenza politica sono, in parte, mutate; di sicuro lo sono le organizzazioni mentre, come vedremo, alcuni dei temi all’interno della galassia del neofascismo sono rimasti immutati. La società italiana del resto muta velocemente, caratteristica che ha accompagna to lo sviluppo del paese in tutta la seconda metà del novecento, e le ansie della partecipazione collettiva stanno incontrando il riflusso verso il privato: in classifica ci sono Alan Sorrenti ed i Bee Gees, i giovani scoprono la discoteca, Il Cacciatore vince il premio oscar come miglior film, il dibattito politico ha da qualche anno scoperto parole come austerity, cassa integrazione, disoccupazione e crisi strutturale. La sinistra extraparlamentare vede nella frammentazione dei collettivi dell’autonomia una risposta alle strutture centralizzate considerate vecchie e poco efficaci. Uscire dalla forma partito, abbandonare una certa idea di sviluppo e di modernità, riflettere maggiormente sulle tematiche ambientali e locali, impegnarsi sulla contraddizione di genere ed abbandonare il paradigma operaista del decennio precedente. Queste alcune delle battaglie che impegnavano i militanti dei movimenti del tempo e che informavano un contesto. Un contesto che aveva, ovviamente, un impatto sulla galassia del neofascismo che, esattamente come quella a sinistra, vedeva una pluralità di soggetti spesso in disaccordo tra loro che animavano non solo un dibattito ma, soprattutto, una serie di azioni.
Cos’erano, quindi, i Nar? In letteratura sono stati definiti come un gruppo nichilista, spontaneisti armati, giovani narcisisti con l’amore per gli omicidi; ecco io credo che, invece, i Nar siano stati la risposta neofascista all’atomizzazione delle società a capitalismo avanzato: una forma di reinterpretazione del neofascismo classico, quello per intenderci dei decenni 1950-1970, di fronte al cambiamento di contesto a cui si accennava molto sommariamente. Allo stesso tempo i Nar mantengono una parte della riflessione del neofascismo e seppure non sono mai stati un gruppo dedito al dibattito o all’approfondimento teorico è anche vero che attraverso le loro azioni e le loro rivendicazioni delle stesse, si può tracciare un profilo politico, ancorché sommario, di quel gruppo.
I Nar pensano di creare, attraverso l’azione terroristica diretta, un’egemonia su di un mondo, quello del neofascismo, che almeno dalla seconda metà degli anni Settanta ha perso una prospettiva ed una strategia
I Nar pensano di creare, attraverso l’azione terroristica diretta, un’egemonia su di un mondo, quello del neofascismo, che almeno dalla seconda metà degli anni Settanta ha perso una prospettiva ed una strategia. Fino al 1974, infatti, anche per via della situazione internazionale i gruppi del neofascismo tentarono di allargare il loro spazio politico, di allungarne a dismisura le maglie in modo da creare un sostrato di militanza dura e pronta all’azione in caso di golpe. Certo in alcuni casi cercarono anche, attraverso le loro azioni, di creare o di contribuire a creare le condizioni per il superamento in senso autoritario del sistema democratico in Italia ma rimaneva, il neofascismo, un attore che non era in grado di portare a compimento una sua strategia senza l’aiuto di pezzi di apparato dello Stato la cui fedeltà alle istituzioni repubblicane era, quanto meno, vacillante. Questo modello di allargamento del campo e di idea di rivoluzione conservatrice non trovava, però, tutta la galassia neofascista concorde ed il dibattito si svolgeva, fin dalla prima metà del decennio Cinquanta, su quali fossero gli obiettivi da porsi e sul come far rinascere la possibilità per un fascismo nuovo di essere protagonista centrale della scena politica. Rispetto a questa modalità di pensiero e d’azione della destra neofascista, che è stata maggioritaria, vi era, però, anche un’altra posizione: quella di Freda e del suo richiamo diretto ad Evola. Ci si riferisce in particolare all’alleanza che Freda propone nel suo libro, scritto nel 1969, tra neofascisti e sinistra rivoluzionaria per abbattere il comune nemico: la società borghese. Riprendendo altri due testi più vecchi di Julius Evola, Gli uomini e le rovine e Cavalcare la tigre, Freda individua come nemico assoluto la società capitalista borghese. Dal punto di vista del dirigente veneto di Ordine Nuovo, il vero nemico è il sovvertimento del concetto di Natura operato dalla Rivoluzione francese e, contro quel mondo fatto di relazioni puramente mercantiliste e commerciali, il soldato politico, il credente-combattente, si deve scagliare con tutte le sue forze e spingersi fino all’alleanza con la controparte “rossa” con cui condivide il nemico.
Nella rivendicazione dell’attacco, pratica presa in prestito dai gruppi della sinistra rivoluzionaria, i Nar rivendicano questo tipo di approccio; si sentono un collettivo autonomo di estrema destra, criticano il fascismo e il Msi esattamente con la stessa violenza con la quale gruppi come l’Autonomia operaia, ma non le Br, ad esempio, criticavano il Pci. Un movimentismo armato che, alcuni, hanno chiamato mero nichilismo mentre i Nar sono alla ricerca di una via che li porti ad adempiere al percorso tracciato anni prima dalla parte più estrema e violenta del movimento neofascista. Non vi è in quella rivendicazione una dichiarazione di guerra ma un antico adagio del chiedere una tregua da una posizione di forza; l’assalto, secondo la deposizione di Fioravanti, doveva servire a mettere un freno alle violenze quotidiane che stavano diventando meri rituali senza obiettivi. Non vi è nulla di nichilista in quest’analisi. Vi si può leggere una distanza incredibile dalla realtà ma la strategia era piuttosto chiara: spingere pezzi di sinistra rivoluzionaria vicina alle posizioni dell’autonomia a un dibattito con il neofascismo in chiave antiborghese.
Il nodo che resta aperto, semmai, è quello dell’azione squadrista che rimane parte integrante di quell’area politica: uno squadrismo che ritorna nel suo significato più antico che non era tanto quello di punire un comportamento ma di esporre il corpo del deviante al pubblico ludibrio deridendone le “colpe”. L’idea di una pratica quotidiana dell’attacco al nemico rimane, persino, quando i neofascisti dicevano di cercare la pace e delle donne che tentavano di porre in essere un dibattito di liberazione infrangevano una norma sacra, deviavano da quell’immagine antistorica che per i neofascisti rimaneva la tradizione astorica della comunità immutabile.
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