La prima linea metropolitana di Roma e d’Italia fu inaugurata, con rilevanti ritardi nei lavori, il 9 febbraio del 1955 dal presidente della Repubblica Einaudi e dal cardinale vicario di Roma Micara. Il primo treno tra Termini e il nuovo quartiere Eur, voluto dal Duce per l’esposizione universale che si sarebbe dovuta tenere nel 1942, partì molti anni dopo l’inizio dei lavori, ma in un Paese che aveva vissuto una guerra mondiale, la fine del regime ed era in piena ricostruzione. In ogni caso, mai aprire discussioni sui ritardi dei cantieri delle metro a Roma perché si entra in una spirale di stereotipi su una città che non cambierà mai, che si deve rassegnare a convivere con inefficienze e problemi (W.Tocci, Roma come se, Donzelli, 2020).
Ci sarà di sicuro qualcuno pronto a ricordare i ritardi di costruzione della seconda linea (poi chiamata linea A) e delle altre diramazioni, per arrivare a quelli odierni della linea C che da progetto dovrebbe essere completamente terminata, mentre ancora non si sa se arriverà mai oltre Piazza Venezia. Qualcun altro potrebbe ricordare che da quell’inaugurazione a Roma sono stati realizzati altri 49 chilometri di metro mentre a Madrid ben 263. Tutto vero, ma non si può accettare la tesi per cui a Roma è meglio rinunciare alle metro e, in generale, ai grandi progetti di cambiamento perché tanto spunteranno problemi, reperti archeologici a bloccare tutto. Come in ogni altra grande città d’Europa, come a Milano, anche nella Capitale si può e si deve puntare sul trasporto su ferro come spina dorsale di un moderno sistema di mobilità indispensabile per offrire un’alternativa alle persone rispetto all’utilizzo di 1,8 milioni di auto e 400mila scooter, considerando solo quelli immatricolati nel Comune e senza contare i pendolari. Ma per riuscirci occorre uscire da un dibattito che utilizza lenti deformanti del secolo scorso, quando Roma cresceva come estensione e l’obiettivo era aggiungere nuove linee e trovare le risorse per finanziarle. Ma soprattutto, il ruolo delle infrastrutture di trasporto pubblico cambia completamente nell’epoca della rivoluzione digitale (e sempre più elettrica) e della smart mobility che è l’unica grande novità che si è vista in questi ultimi anni, con un’articolata offerta di auto, scooter, biciclette a pedalata assistita e monopattini.
Se ci allontaniamo dal pantano del dibattito politico romano – ci rendiamo conto che Roma avrebbe tutto per realizzare nei prossimi anni un profondo cambiamento nella mobilità urbana. Con grande fatica e ritardi, ma diversi progetti stanno andando avanti, hanno ricevuto finanziamenti e completato la progettazione. I cantieri devono andare avanti davvero e nel frattempo treni, tram, autobus devono circolare, magari con una migliore integrazione tra loro per ridurre i tempi di spostamento. Non mancano a Roma o altrove le competenze da coinvolgere, le esperienze a cui guardare. Basterebbe prendere l’alta velocità e fare un giro sui tram di Firenze o le metro di Milano, il successo tra i cittadini e i numeri in crescita, le auto in meno che circolano per le strade.
In quel misto di pessimismo e sguardo rivolto al passato con cui si è soliti discutere di Roma, si potrebbe pensare che la transizione green e digitale qui sia solo slogan, come ricette che possono funzionare solo fuori dal raccordo anulare. Eppure, oggi nell’area centrale della città l’offerta di servizi di sharing mobility che si può trovare cliccando sul proprio smartphone ha pochi paragoni al mondo. È chiaro, a volte caotica e con monopattini parcheggiati male, ma se ha prodotto un cambiamento della mobilità in assenza di una visione da parte del Comune, cosa potrebbe succedere se si riuscisse a integrarla con il resto dell’offerta? Nell’anno del Covid-19 in città ha avuto una grande accelerazione quella mutazione negli stili di vita, nella ricerca di una vita e di una mobilità più sostenibile che ha portato tanti romani a scegliere di girare in bici. Finalmente si sono visti i cantieri di nuove corsie ciclabili, protette o temporanee, e in tanti hanno capito che con la pedalata assistita i 7 colli non sono più un tabù. Pensiamo solo cosa potrebbe avvenire se finalmente si realizzasse una rete protetta lungo le consolari, i quartieri e i parchi, un’area centrale sempre più pedonalizzata, lungo il Tevere e messa a sistema da quel meraviglioso progetto che è il Grande raccordo anulare delle bici, che nel 2022 vedrà aprire finalmente i cantieri.
Che c’entra tutto questo con le metro? Moltissimo, perché viviamo in una realtà fortemente interconnessa e che ancora deve vedere molte innovazioni digitali applicate alla mobilità, e quanto vale per Roma vale anche per altre grandi città del Paese. Oggi disponiamo di una quantità di dati incredibile proveniente dai dispositivi mobili delle persone e di quelli dei diversi mezzi della mobilità pubblica e in sharing. Possiamo mappare, come mai era stato possibile prima, le abitudini e le esigenze di spostamento, programmare in modo più efficace gli investimenti. Ma soprattutto possiamo aiutare le persone a trovare il modo più veloce per spostarsi e di essere aggiornati in tempo reale dallo schermo dello smartphone o da quelli del trasporto pubblico. Il futuro della mobilità passa per una sempre più efficace integrazione delle diverse modalità e nel trovare le soluzioni più adatte ai differenti quartieri a seconda delle densità e per rendere raggiungibili le stazioni metro più vicine con autobus veloci e frequenti, corsie ciclabili, un servizio di sharing che deve arrivare anche qui.
Di nuovo, il caso romano può fare da apripista per il Paese. A mettere in fila progetti in corso e idee che valorizzino le nuove opportunità, in un territorio così ricco di paesaggi meravigliosi, diventa facile individuare il progetto da portare avanti in questa città. Roma può farcela a sconfiggere stereotipi e pessimismo se saprà innanzi tutto dimostrare che i servizi pubblici possono tornare a funzionare bene, che i cantieri in corso saranno completati. Poi ci sarà tempo per pensare alla linea D e ad altre metro da realizzare magari per gli 80 anni dalla prima linea, ma intanto dimostriamo di sapere mettere a sistema quello che abbiamo. Che poi è la storia non riuscita e non raccontata di Metrovia: ossia di un gruppo di ingegneri e comunicatori che ha messo su un progetto di valorizzazione delle tante linee ferroviarie che attraversano la città, trasformandole in metropolitane e riuscendo così a realizzare nei diversi quartieri nuove stazioni. Quel progetto, semplice e comprensibile, era arrivato primo nelle votazioni che la Giunta Raggi aveva aperto per far proporre e scegliere direttamente ai cittadini il futuro della città, con progetti da inserire nel Piano urbano della mobilità sostenibile. Purtroppo, quella sperimentazione di democrazia diretta è finita presto e magicamente la proposta in una notte è sparita dalla classifica senza giustificazioni. Ma quell’idea e tante altre potranno trovare spazio in un’epoca di rivoluzioni tecnologiche, energetiche e digitali che permettono di guardare con un po' di ottimismo al futuro di quella e di molte altre città.
Riproduzione riservata