Il 5 marzo 1981 usciva nelle sale il film Ricomincio da tre. Perché è così importante ricordarlo? È certo una data importante nella carriera del suo autore, Massimo Troisi, che quest’anno avrebbe compiuto settanta anni. Nato a San Giorgio a Cremano nel 1953, attore, comico e regista di successo, era considerato l’erede di Eduardo De Filippo per la recitazione in sottrazione, la delicatezza dei toni, il gioco fra lingua e dialetto, fra gesti e silenzi, la capacità di penetrazione psicologica, l’abilità di mescolare gli umori popolari alla riflessione intellettuale.
Quella di Troisi è una figura ricordata con universale stima e tenerezza, anche in virtù della sua prematura scomparsa a poco più di quarant’anni, nel pieno della produttività artistica – proprio quando conosceva la notorietà internazionale grazie alle molte candidature all’Oscar per il film Il postino, del 1994, fra cui quella per miglior film, miglior attore protagonista e miglior sceneggiatura. Per alcuni anni gli verrà conferito il ruolo di rappresentante dell’identità nazionale per definizione, assieme al suo sodale e amico Roberto Benigni.
Tuttavia, il collegamento fra il rilievo della figura di Troisi e l’importanza da dare al suo primo film è insufficiente per spiegarne la rilevanza nell’immaginario collettivo nazionale. Il punto è che Ricomincio da tre è uno dei rari film “epocali”, che fotografano un preciso periodo storico e sono all’origine di qualcosa di nuovo che è iniziato da quel momento in poi. Questo qualcosa è sfaccettato. Da un lato, è il desiderio di raccontare una generazione che si confronta con il moderno secondo canoni divergenti dagli anni della politicizzazione esasperata dei decenni precedenti, più incline a occuparsi dei problemi privati, della dimensione psicologica, dei legami sentimentali. Dall’altro, è raccontare il Sud con passione intellettuale, anche in commedia, in modo scevro dai luoghi comuni sia del pittoresco sia del gangsteristico. In questi termini, la linea inaugurata da Troisi è l’anti-Gomorra, ma anche l’anti-Siani, contrariamente a quanto si è detto talvolta. Forse più prossima alle visioni complesse della rappresentazione del Sud e di Napoli in particolare dagli anni Novanta in poi di Mario Martone, Antonio Capuano, Antonietta De Lillo, Pappi Corsicato, Nina Di Majo (forse la più vicina al regista di San Giorgio a Cremano), persino Vincenzo Salemme in una certa sensibilità per la rappresentazione della malattia.
Racconta il Sud con passione intellettuale, anche in commedia, in modo scevro dai luoghi comuni sia del pittoresco sia del gangsteristico
Certamente fra le pellicole che sono considerate il canone della storia del cinema italiano, Ricomincio da tre non è forse ricordato fra i film principali (accanto a La dolce vita o Roma città aperta per intenderci). Eppure, racconta un momento della mentalità psicologica e sociale del meridione d’Italia con una chiarezza, penetrazione e innovatività non inferiore ai grandi film citati. Troisi descrive i giovani meridionali che vivono ancora, in parte, condizionati dalle tradizioni e dalle mentalità familistiche, maschiliste, sessuofobe, da cui si vogliono distanziare. L’attore interpreta Gaetano, un ragazzo timido e irrisolto, che vive ancora in casa con i genitori (nella stessa stanza). Lui contribuisce a mantenerli con un lavoro di cui è insoddisfatto, ma al quale loro vogliono tenerlo legato. Per sfuggire a questa condizione, decide di trasferirsi a Firenze, dove scopre che la zia paterna ha un nuovo compagno fuori dal matrimonio, suscitando l’avversione del padre del giovane e la simpatia di quest’ultimo. Gaetano poi asseconda gli eccessi dell’amico Raffaele, ma è insoddisfatto del suo modo di gestire l’amicizia familista, appiccicoso, pretenzioso, quasi da profittatore. Ha un rapporto che sostiene essere piuttosto libero con la compagna conosciuta a Firenze, Marta, ma poi fatalmente cede alla gelosia. È inizialmente incapace di accettare un figlio che Marta non sa se ha concepito con lui, ma alla fine decide di ricredersi. Non capisce al fondo gli oggetti di design, come il telefono, introdotti per mera decorazione nella casa di Marta, ma li accetta. Una delle scene più celebri del film è quella in cui Gaetano consiglia a un personaggio che incontra, il povero Robertino (interpretato da Renato Scarpa) di allontanarsi dalle imposizioni rigoriste e repressive della madre.
Il tentativo di Troisi è dunque quello di descrivere come i giovani meridionali si approccino alla modernità nel post-terremoto dell’Irpinia (evento che dipinge con pochi tocchi all’inizio del film, mostrando un palazzo settecentesco assediato dalle macerie), fra mille incertezze, ma con grande desiderio di confrontarsi con il nuovo. Questo nuovo è rappresentato dall’altrove rispetto alla vita napoletana. Ad esempio, nella casa di Marta, colma di oggetti colorati e futili, in netto contrasto con il grigiore dei letti, armadi e pavimenti di graniglia della casa paterna a Napoli. Questa descrizione architettonica è anche la sanzione di una divergenza sociale e culturale, e del desiderio di Gaetano di provare a mediare fra due mondi diversi. Il nuovo viene ricercato anche nel ribadito desiderio di viaggiare per conoscere. Gaetano riafferma più volte di essere viaggiatore, non “emigrante”, come i luoghi comuni di chi lo approccia vorrebbero fossero sempre i napoletani.
La sensazione che si respira è di un abbandono sottinteso dei giovani da parte della società dei padri, di un disinteresse della politica, di una incapacità di comprendere la modernità fino in fondo da parte delle istituzioni tradizionali: la famiglia, gli ospedali, la religione. Di quest’ultima Troisi mostra in due versanti, su cui bonariamente ironizza: quello tradizionale del cattolicesimo tradizionalista meridionale (che tollera che il padre di Gaetano chieda un miracolo che gli consenta di riavere la mano mozzata) e quello del predicatore americano Frankie, preda di un ottimismo ingenuo.
Così Troisi descrive il suo film in una registrazione effettuata sul set, a dei ragazzi che stanno assistendo alle riprese: “Io sono nu guaglione che parte da Napoli per vedere sai… ch’ha da ffa’. Viene a Firenze, però è timido, molto timido…”.
Il nuovo è l’uscita dai luoghi comuni, la consapevolezza di sé, il desiderio di indipendenza intellettuale, lavorativa, sentimentale, di liberazione dalle retoriche e da ogni istituzione oppressiva e comportamento socialmente imposto.
Il film ancora oggi mostra una grazia, una delicatezza, una sincerità e una freschezza che restano insuperate nelle successive, via via tecnicamente più raffinate, regie di Troisi
A Troisi sono state rimproverate le approssimazioni e l’amatorialità nell’uso del linguaggio cinematografico, una eccessiva staticità teatrale, un lavoro sfilacciato che agisce per scene separate, una trama esile; eppure, il film ancora oggi mostra una grazia, una delicatezza, una sincerità e una freschezza che restano insuperate nelle successive, via via tecnicamente più raffinate, regie di Troisi. L’uscita nei cinema di Ricomincio da tre segna perciò al contempo l’inizio di una storia e il termine di un’altra; il film è un pezzo di storia mediale, non solo di storia del cinema. I temi trattati a teatro prima, e in televisione dopo, con il gruppo di cabaret La Smorfia, assieme a Lello Arena e Enzo Decaro, vengono riproposti all’interno del film: il rapporto con Napoli e i suoi problemi declinato in un senso antiretorico i temi della religione visti con un occhio ironico, sia pure non dissacrante, il rapporto con la tradizione, l’espressione sentimentale, le questioni che attanagliano giovani e proletari.
Il lavoro con La Smorfia, in particolar modo all’interno di Non Stop di Enzo Trapani, si inserisce dentro un contesto di televisione rapida, innovativa, sperimentale, inaugurata alla fine degli anni Settanta, che procede per successione di scene e numeri staccati. Una vera rivoluzione, di grande successo, di cui si cerca di cogliere la scia assegnando ai comici la responsabilità diretta dei film che dirigono in un periodo di crisi del cinema come medium principale per l’immaginario collettivo. Troisi, nel grande senso di libertà linguistica del suo film che procede per accostamenti di quadri, apparentemente non lineari, impara questa lezione proveniente dalla tv, e prima ancora dal teatro. Con Ricomincio da tre non solo avrà la consacrazione come regista, attore e sceneggiatore, ma si autonomizzerà dall’esperienza precedente per raccontare il desiderio di autonomia dei giovani di quegli anni come pochi han saputo fare.
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