«Ho fatto 13!». Non era tanto una constatazione o, come divenne nel 1951, solo il titolo di un film. Era il sogno di poter urlare al mondo che la vita aveva preso una svolta definitiva verso l’agiatezza. Era il sogno degli italiani, soprattutto nel Dopoguerra. «Svoltare». Lasciarsi dietro la guerra, la fame, le morti, le macerie.

Il 5 maggio di quell’anno – l’anno del referendum Monarchia/Repubblica, della prima volta delle donne al voto, della terza vittoria al giro d’Italia di Gino Bartali, l’anno in cui viene depositato il progetto della Vespa e in cui arrivano in edicola le riviste «Grand Hotel» e «Oggi», viene lanciato il «duepezzi» e in cui il governo provvisorio concede l’amnistia per i reati politici – in quell’anno, in realtà, i risultati delle partite da azzeccare erano 12 e non 13. Il tredicesimo match sarà introdotto solo nel 1950. Ma quell’anno l’urlo – immaginiamo – fu quello di Emilio Biasotti, un impiegato romano che centrando il 12 della prima schedina del primo concorso Sisal vinse 462.846 lire, quasi l’intero ammontare del montepremi, che era di 463.146 lire (tanti, secondo l’Agenzia delle dogane). Lo stipendio di un impiegato o di un operaio oscillava allora fra le 11.000 e le 13.000 lire al mese. Dunque, l’ammontare della vincita era quasi pari allo stipendio percepibile in quattro anni. Un bel gruzzolo insomma. Da potersi togliere qualche sfizio. Magari un bel po’ oltre il cappotto buono.

Partecipare costava 30 lire. Ed era pure facile. Bisognava segnare 1 se si pronosticava la vittoria della squadra che giocava in casa; 2 se quella della squadra ospite; X se si pronosticava il pareggio. Di schedine ne vennero distribuite 5 milioni; quelle giocate furono 34.423. Il resto cominciò a circolare come carta per diversi usi. Non poteva esserci pubblicità migliore per il nuovo concorso a premi.

Biasotti aveva centrato la vittoria del Novara a Legnano. L’unico 2 in schedina. Un colpo di fortuna? O un expertise calcistico-pronostica che si cominciava già a delineare come specifico della cultura panchinara dell’«italiano-medio-allenatore» quale sarebbe poi diventata? All’ottavo concorso ci sarebbe stato il primo milionario. E, nel 1947, chi svolterà davvero, vincendo più di 60 milioni di lire.

L’idea di un concorso a premi che coinvolgesse il mondo del calcio era venuta a un giornalista, Massimo Della Pergola, che sognava di rifinanziare lo sport e in particolare il calcio

L’idea di un concorso a premi che coinvolgesse il mondo del calcio era venuta a un giornalista, Massimo Della Pergola, rifugiatosi in Svizzera durante il fascismo perché ebreo e che vivrà quel periodo in un campo di profughi. Al rientro in Italia creò una società insieme a Fabio Jegher e Geo Molo. Perché sognava di rifinanziare lo sport e in particolare il calcio. E ne servivano di soldi, come da sempre nell’industria dello sport-spettacolo. Per l’impiantistica da spettacolo e per l’impiantistica da allenamento. Si diffonderà più al Sud la prima e più al Nord la seconda. La Sisal avrebbe così dovuto gestire il concorso per conto del Coni.

Ma già dal 1948 la gestione del concorso passò a Monopoli di Stato che la consegnò al Coni. Con un decreto di Luigi Einaudi, alla cui stesura avrebbe contribuito il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giulio Andreotti, lo Stato sembrò volere rammentare che, viste le condizioni socioeconomiche del Paese, solo le politiche dello Stato interventista o partecipazionista avrebbero dato seguito alla crescita economica, ricordando così a tutti che le jeu c’est moi. E non poteva essere diversamente. Visto il modo in cui si andava delineando in Italia la dinamica Stato/mercato.

Da quell’anno prenderà il nome di Totocalcio, un’abbreviazione di «totalizzatore calcistico». E con questo nome verrà conosciuto dal pubblico, dai media e dai diversi professionisti dell’industria dello sport che, insieme all’industria della vacanza e all’industria degli eventi culturali – di cultura haute o di cultura popular – contribuirà non poco a costruire e diffondere la nuova immagine dell’italian lifestyle. Nel 1951 viene inserita la seconda colonna e la giocata massima diventa di 100 lire.

Gli italiani "svoltavano": proiettandosi verso un futuro fatto non solo di sogni, perché l’Italia, di lì a qualche anno, svolterà davvero economicamente e i partecipanti al concorso cresceranno di domenica in domenica

Gli italiani, insomma, «svoltavano»: proiettandosi verso un futuro fatto non solo di sogni. Perché l’Italia, di lì a qualche anno, svolterà davvero. Certamente economicamente. E i partecipanti al concorso cresceranno di domenica in domenica. Si tifa e si compila la schedina. Tifo, Totocalcio, domeniche allo stadio o in salotto seguendo la radio e tafferugli bonari tra partigiani di campanile del lunedì mattina si intrecceranno indissolubilmente. Da 34 mila e rotti diventeranno tantissimi, i giocatori. E la processione pre-domenicale in ricevitoria diventerà una liturgia del moderno per tanti tifosi e appassionati. Come lo saranno i rituali domenicali degli italiani che si andavano socializzando alla pratica del consumo, compreso quelli massmediatico, uno dei quali colonizzerà il dopopranzo domenicale diventando racconto calcistico «minuto per minuto». Non sono scommettitori: sono appassionati che sperano di vedere congiungere vittoria della squadra per cui «si tiene» – come si diceva nel Nord Italia – o per cui «si tifa» – come più diffusamente nel Sud – con la vincita al Totocalcio.

Il massimo sogno: «vincere» per delega e «svoltare» di persona. Dal 1963 la giocata minima diventa di due colonne, ma nella Gazzetta ufficiale del 5 luglio viene inserito anche il sistema delle «doppie» e delle «triple»: per i tifosi, finalmente, sarebbe stato possibile pronosticare per la squadra per cui «si teneva» o «si tifava» qualunque risultato utile con una tripla, anche se le probabilità di vittoria erano basse. E così diventava possibile pronosticare un risultato senza tradire il proprio vessillo calcistico. Non era roba da poco.

Negli anni del «miracolo» economico – locuzione che lascia poco spazio alla fantasia rispetto a come erano andate le cose, tanto pareva che di cosa soprannaturale si trattasse – il boom – altro termine che richiamava l’inattesa in quanto «esplosa» crescita – si traduce in forme secolarizzate del benessere acquisito, che doveva diventare percepibile anche dagli altri: dai propri parenti, dai propri vicini, dai propri compaesani. Tant’è che all’inizio non si teme di segnare il proprio nome e cognome nella schedina. E in più, con la legge sull'Imposta unica del 22 dicembre 1951, la n.1379, si stabiliva che i premi vinti fossero al netto delle ritenute, cosa che avrebbe favorito la diffusione del gioco. Scompariranno poi, i vincitori. Si nasconderanno. Temendo per la loro incolumità fisica e fiscale. Come nel 1993, quando uno, o più, di loro raggranellerà, si fa per dire, oltre 5 miliardi di lire in una botta sola, l’equivalente di più di 2,5 milioni di euro. Saranno, i Novanta, gli anni d’oro, prima della di-partita della schedina.

Calcio, tifo, stadio, schedina, radio domenicale – e dovremmo aggiungere, ma è un altro capitolo, le figurine dei calciatori – diventano anche segni astratti o concreti non solo di come sarebbe cambiata l’Italia dei consumi che coltiva ancora il sogno di «svoltare facile», quanto di come sarebbe rimasta una società divisa fra spazi e tempi separati per genere. Calcio, tifo, stadio, schedina, radio domenicale sono universi e pratiche maschili. Tant’è che nel 1962 una giovanissima Rita Pavone incide La partita di pallone cantando: «Perché, perché/la domenica mi lasci sempre sola/per andare a vedere la partita/di pallone/perché, perché/una volta non ci porti pure me?

E già, perché? Perché lo sport allora era soprattutto «cosa da maschi», sia quello praticato, sia quello giocato professionalmente. C’erano gli sport femminili, certo, ma pesavano ancora poco nel delineare figure iconiche dell’immaginario italiano. E le donne che lo praticavano costituivano una percentuale irrisoria.

V’è da dire che in genere si praticava poco sport in Italia. Ancora nel 1959 lo sport più diffuso rimaneva la caccia. Come ci ricordano gli intramontabili Totò e Fabrizi ne I tartassati, oltre che l’Istat. Altro che calcio, ciclismo o boxe.

Con l’introduzione della scommessa - dai mondiali francesi del 1998 – che compare diciotto anni dopo il primo scandalo dal Dopoguerra del calcioscommesse, il Totocalcio e le sue forme evolute – Totogol in primis – diventano passioni di secondo piano. E la passione per la scommessa si svincola dalla passione calcistica partigiano-campanilistica, ribandendo che se ti piace vincere – e non solo facile – devi ricordarti che it’s only business, baby. E non ci può essere niente di personale.