Nel 1994 usciva nelle sale cinematografiche Strane storie. Racconti di fine secolo del registra Sandro Baldoni. Il film narrava il viaggio di un padre che all’interno di uno scompartimento di un treno racconta alla figlia alcune storie inventate, ispirate dagli altri viaggiatori presenti nel vagone. Di taglio surrealista, il film si concludeva con un finale inaspettato: al termine del viaggio, infatti, tutti i protagonisti si ritrovano a passare accanto ai resti della vettura dell’Espresso 1486 Italicus, dilaniato da una bomba nella notte del 4 agosto 1974, mentre percorreva l’ultima parte della galleria dell’Appennino sul tratto ferroviario Firenze-Bologna. In quell’attentato morirono 12 persone e ne rimasero ferite gravemente più di 40. Le immagini del film di Baldoni sono stranianti: il vagone appare nelle stesse identiche condizioni in cui l’ordigno era esploso, quasi troncato in due pezzi e con il soffitto divelto verso il cielo. Al termine della pellicola, compaiono titoli di coda lapidari: «I rottami del vagone dell’Italicus, distrutto da una bomba anonima il 4 agosto 1974, sono abbandonati in un prato, tra i rifiuti, vicino alla stazione di Bologna».

L’immagine contrasta con la portata della risposta che in tutta Italia si registrò alla notizia della strage, di cui oggi si è persa la memoria. L’epicentro della mobilitazione fu Bologna: la bomba scoppiò, mentre il treno era in viaggio da Roma verso Monaco di Baviera, poco prima dell’arrivo nella città emiliana. Qui giunsero i presidenti e gli assessori regionali dell’Emilia-Romagna e della Toscana che incontrarono in prefettura il presidente del Consiglio Mariano Rumor. Cinque anni prima, il 15 dicembre 1969, il leader democristiano aveva presenziato, ammutolito, agli imponenti funerali delle vittime dell’attentato alla Banca nazionale dell’Agricoltura.

L’impatto del terrorismo neofascista, la violenza politica diffusa, il reiterato ricorso alla strage contro la popolazione inerme avevano, però, lasciato il segno sulla società civile, smarrita e lacerata dopo anni di violenze impunite. L’iniziativa presa dalle amministrazioni locali, dai sindacati e dai partiti dell’arco costituzionale non era stata, perciò, un atto formale ma puntava a indirizzare la mobilitazione collettiva che spontaneamente si stava registrando in tutto il Paese. Pochi mesi prima, infatti, il 28 maggio 1974, dopo la strage di piazza della Loggia a Brescia, l’obiettivo che si erano posti gli strateghi del terrore sembrava essersi realizzato, con l’ordine pubblico sul procinto di esplodere: decine di sedi del Movimento sociale italiano erano state prese d’assalto, le manifestazioni di piazza erano degenerate in guerriglia, mentre dappertutto si erano registrati scontri tra avversari politici.

L'obiettivo che si erano posti gli strateghi del terrore sembrava essersi realizzato, con l’ordine pubblico sul procinto di esplodere: le manifestazioni erano degenerate in guerriglia e si erano registrati scontri tra avversari politici

All’indomani dell’attentato sul treno Italicus le principali piazze delle città d’Italia si riempirono, invece, di manifestazioni pacifiche, organizzate dai sindacati e dai partiti. Fu proclamato lo sciopero generale: a Bologna, il 6 agosto 1974, in piazza Maggiore, fu tenuta la manifestazione unitaria, mentre a Firenze una grande folla si radunò a piazzale degli Uffizi, a pochi giorni dal 30o anniversario della Liberazione di Firenze (11 agosto 1944). La stessa piazza sarebbe stata colpita, 19 anni dopo, nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993, dall’esplosione di un’autobomba, collocata dalla mafia, in via dei Georgofili, nei pressi della Galleria.

Il 10 agosto 1974 si tennero le esequie pubbliche per la strage del treno Italicus: una folla immensa si radunò nuovamente in piazza Maggiore, straripando per tutto il centro storico della città. La messa funebre fu celebrata all’interno della Basilica di San Petronio dal cardinale Antonio Poma, alla presenza del presidente della Repubblica Giovanni Leone, del presidente del Consiglio Rumor e del sindaco di Bologna Renato Zangheri. La grande folla fischiò i rappresentati dei partiti di governo, come il segretario della Democrazia cristiana Amintore Fanfani, mentre esplose in un fragoroso applauso alla vista del gonfalone della città martire di Marzabotto. La memoria della Resistenza giocò un ruolo decisivo nella mobilitazione collettiva: la strage era avvenuta in un territorio, la zona compresa tra Pian di Setta, Veggio, Piane di Montorio, Monteacuto Vallese e San Benedetto Val di Sambro, dove trent’anni prima, nel luglio del 1944, si era abbattuta la violenza dei rastrellamenti e degli eccidi compiuti dai nazi-fascisti.

Si trattò di una mobilitazione imponente, per molti aspetti anticipatrice di quella che si produsse in occasione della strage alla stazione di Bologna, il 2 agosto 1980. La forza dell’azione collettiva era stata proporzionale alla gravità della strage. Dal gennaio all’agosto del 1974 si registrarono 42 attentati riconducibili all’eversione nera, secondo stime approssimative, senza contare i quotidiani episodi di violenza politica di cui fino al 1975 furono indiscussi protagonisti i partiti e i movimenti neofascisti. Alcuni di questi attentati avevano finalità stragista, sebbene, per difetti tecnici, non riuscirono nel loro intento. Come a Silvi Marina, vicino a Pescara, quando, il 29 gennaio 1974, una bomba fallì nel colpire il treno Freccia del Sud. Pochi giorni dopo, il 9 febbraio, un altro ordigno veniva ritrovato inesploso su un treno merci diretto da Taranto a Siracusa. Il 21 aprile, infine, un attentato dinamitardo danneggiava gravemente la linea ferroviaria Firenze-Bologna.

La strage sul treno Italicus si inserisce, perciò, in un contesto drammatico: il 21 novembre 1973 il ministero dell’Interno aveva sciolto il movimento politico Ordine nuovo, gli attentati appaiono dunque come la reazione al provvedimento che aveva messo in ginocchio l’estremismo nero. Impossibile, tuttavia, non vedere il nesso con i progetti autoritari che da oltre un quinquennio erano in gestazione. Proprio a inizio gennaio del 1974 il ministro della Difesa Mario Tanassi fu costretto a rispondere alle numerose interrogazioni parlamentari che chiedevano chiarezza sugli allarmi circa l’imminenza di un colpo di Stato. Le indagini della magistratura, tra depistaggi e coperture, si orientarono, così, verso il Fronte nazionale rivoluzionario, una formazione di estrema destra attiva in Toscana che aveva teorizzato il ricorso alle stragi contro civili inermi per creare le condizioni per un intervento delle Forze Armate e di conseguenza per lo scoppio di una guerra civile. Del gruppo, in legame con la loggia massonica P2 guidata da Licio Gelli, facevano parte, tra gli altri, Luciano Franci, Mario Tuti, Marco Affatigato, Andrea Brogi e Augusto Cauchi. L’intralcio alle indagini ebbe i risultati sperati: solamente nel gennaio del 1975 le forze di polizia riuscirono a neutralizzare il Fronte nazionale rivoluzionario, dopo un ennesimo attentato compiuto sulla linea ferroviaria di Terontola il 6 gennaio 1975. La perquisizione dell’abitazione di Mario Tuti, avvenuta pochi giorni dopo, costò la vita al brigadiere Leonardo Falco e all’appuntato Giovanni Ceravolo. 

Le indagini, tra depistaggi e coperture, si orientarono verso il Fronte nazionale rivoluzionario, una formazione di estrema destra che aveva teorizzato il ricorso alle stragi contro civili inermi per creare lo scoppio di una guerra civile

L’istruttoria per l’attentato al treno Italicus si concluse il 31 luglio 1980, a due giorni dalla bomba alla stazione di Bologna. Il processo di primo grado si pronunciò, quanto all’imputazione di strage, con l’assoluzione per insufficienza di prove di Mario Tuti, Luciano Franci e Piero Malentacchi, con decisione presa dalla Corte d’Assise di Bologna il 20 luglio 1983. In appello l’assoluzione venne confermata per il solo Malentacchi, mentre Tuti e Franci furono condannati all’ergastolo nel 1986, sentenza, tuttavia, annullata dalla Corte di Cassazione il 16 dicembre 1987. I due vennero definitivamente assolti dalla sentenza di Cassazione del 22 marzo 1992.

Strage impunita, dunque, sebbene da altri processi sarebbero emersi molte conferme dell’impianto accusatorio nei confronti del Fronte nazionale rivoluzionario. L’attentato, tuttavia, rappresentò un vero e proprio spartiacque nella storia dell’eversione e delle minacce alla democrazia, la cui importanza non è ancora emersa in tutta la sua portata. Il 23 dicembre 1984, infatti, una bomba esplodeva, provocando 16 vittime, all’interno del Rapido 904, mentre passava nella Grande Galleria dell’Appennino, subito dopo la stazione di Vernio, a Nord di Prato, con modalità che richiamavano esplicitamente l’attentato del 1974. Le indagini giudiziarie stabilirono la responsabilità della mafia che aveva così reagito alla pressione della magistratura su Cosa Nostra.

Grazie alla battaglia condotta dalle associazioni dei parenti delle vittime delle stragi, presso l’Archivio dello Stato di Bologna è oggi consultabile, in formato digitale, tutta la documentazione giudiziaria riguardante la strage al treno Italicus.