Sabato 30 novembre 1991, appuntamento da Alien, discoteca romana già alla moda. Si ritrovano in quella insolita cornice le figure istituzionali della Commissione nazionale Aids e del ministero della Sanità. L’occasione: presentare un nuovo strumento della campagna informativa sui rischi rappresentati dal virus Hiv, responsabile di una nuova terribile malattia, l’Aids. È un opuscolo che già dal titolo, Come ti frego il virus!, manifesta la sua appartenenza a un linguaggio della comunicazione non esattamente abituale nell’universo delle istituzioni pubbliche di allora (e, spesso, neanche di adesso). Protagonista: Lupo Alberto, fumetto ideato dal disegnatore Guido Silvestri, in arte Silver.
Lupo Alberto, che ama, ricambiato, la gallina Marta, ironico e stralunato, è il personaggio ideale per affrontare un argomento delicato come una malattia a trasmissione sessuale e a trattare senza pruderie l’uso del preservativo, presidio indispensabile di prevenzione, ma guardato con sospetto, se non con disgusto, da una parte della società civile dell’epoca. Il merito dell’idea va a due donne: Rita La Rocca e Maria Novella Cordone, funzionarie del ministero della Sanità; i testi sono di Vincenzo Perrone. L’opuscolo, ovvio, è destinato ai più giovani e infatti il programma è di distribuirlo nei luoghi di aggregazione dei ragazzi e perciò discoteche, locali, cinema e palestre.
Nel 1991 il mondo si confronta ormai da dieci anni con questa nuova, letale infezione (il primo caso in Italia è del 1982). Ma, all’inizio, è considerata la malattia degli omosessuali e dei tossicodipendenti, persone che in qualche modo “se lo meritano”. Lo stigma, che è sempre difficile da evitare di fronte a una grave malattia, nel caso delle infezioni da Hiv è amplificato dall’idea che sia il risultato di comportamenti attivamente scelti e, comunque, dall’imbarazzo di parlare di sesso. Perciò le informazioni corrette circolano con difficoltà e anche le buone pratiche stentano ad affermarsi.
Nel caso delle infezioni da Hiv lo stigma è amplificato dall’idea che sia il risultato di comportamenti attivamente scelti e, comunque, dall’imbarazzo di parlare di sesso. Perciò le informazioni corrette circolano con difficoltà
Le campagne di informazione in Italia prendono il via solo nel 1988 (tre anni più tardi di quanto fecero Paesi come la Gran Bretagna, la Francia o la Germania), evitando comunque di citare l'uso del profilattico come metodo di prevenzione per non doverne spiegarne l'uso nelle scuole.
Nota positiva di quel periodo, la creazione, nel 1987, da parte della Commissione nazionale Aids, di un Telefono verde affidato all’Istituto superiore di sanità. Gratuito e, soprattutto, anonimo, comincia da subito a raccogliere le telefonate di migliaia di persone preoccupate o, semplicemente, desiderose di saperne di più.
La campagna Come ti frego il virus! segna quindi una svolta importante nell’approccio alla comunicazione e alla prevenzione della malattia. Le modalità di trasmissione del virus Hiv sono ormai note e si è capito che il contagio per via sessuale si avvia a diventare la modalità più diffusa, anche nelle coppie eterosessuali. Quindi l’Aids riguarda tutti, persino le mogli fedeli che vengono infettate da mariti più disinvolti, anche i ragazzi che magari affrontano la loro prima esperienza sessuale con molta trepidazione e scarse conoscenze.
Il libretto di Lupo Alberto piace, e da più parti si riconosce che è non solo chiaro e comprensibile, ma accattivante, senza reticenze e in sintonia con i più giovani. La tiratura iniziale prevista è di 300 mila copie da distribuire, come abbiamo visto, nei luoghi più frequentati dai ragazzi nel tempo libero. Ma (e poteva andare diversamente?) l’opuscolo comincia a circolare anche nelle scuole e le richieste esplodono. Perché non diffonderlo anche nelle classi?
A quel punto entra in gioco il ministero della Pubblica istruzione, con i ministri Riccardo Misasi, prima, e Rosa Russo Iervolino, poi. E alla Pubblica istruzione non sono mica tanto contenti… anzi, effettivamente negano il permesso alla distribuzione dell’opuscolo all’interno degli edifici scolastici. Come ti frego il virus!, si argomenta, non rispetta i criteri fissati dal dicastero riguardo l’educazione sessuale e, soprattutto, non ha affrontato il necessario percorso di validazione di ogni materiale destinato a essere distribuito a scuola. La vicenda arriva alla stampa e per alcuni giornali è facile deridere i tabù e la visione democristiana (partito a cui appartiene la ministra Iervolino) che non vuole assolutamente che si parli di preservativo in un testo destinato alle scuole. L’opposizione a Lupo Alberto, si dice, è un’opposizione al preservativo.
In realtà, ricostruendo l'iter a distanza di anni grazie alle testimonianze dell’epoca, due sembrano essere le cose che proprio non erano accettabili per la Pubblica istruzione: il mancato accordo preventivo tra due dicasteri che pure da tempo si trovavano su un percorso di reciproco avvicinamento e il fatto che l’opuscolo fosse nato, fin dal principio, per rivolgersi ai ragazzi che avevano già una vita sessuale attiva, cosa che non si può dare per scontata per tutti gli iscritti alle superiori. Lo confermerà lo stesso Guido Perrone: «Se mi avessero commissionato un opuscolo destinato agli istituti, lo avrei scritto in modo totalmente diverso, almeno in alcune sue parti».
I ragazzi, però, non ci stanno: organizzano sit-in e manifestazioni, insistono per la distribuzione dell’opuscolo anche a scuola. Alla Pubblica istruzione cedono: la responsabilità di decidere se Lupo Alberto e le sue informazioni su come evitare il contagio da Hiv siano adatti alla sensibilità degli studenti viene spostata a valle. Saranno presidi e organi collegiali a valutare. Ed evidentemente valutano per lo più per il sì, se del famigerato libretto ne saranno distribuite, nel tempo, oltre sei milioni di copie.
L’opuscolo ebbe senz’altro il merito di sdoganare la parola "preservativo" e attirò l’attenzione sulla necessità di adottare comportamenti corretti per evitare il contagio, ma alla fine la campagna nel suo complesso dimostrò mancanza di strategia, nonché l’enorme difficoltà di far lavorare insieme ambiti diversi
Insomma, parafrasando il commento dedicato all’infelice viaggio dell'Apollo 13 verso la Luna, l’opuscolo di Lupo Alberto fu “un fallimento di grande successo”. Ebbe senz’altro il merito di sdoganare la parola “preservativo”, attirò l’attenzione sulla necessità di un sesso responsabile e di comportamenti corretti per evitare il contagio da Hiv, ma alla fine la campagna nel suo complesso dimostrò mancanza di strategia e di visione, nonché l’enorme difficoltà di far lavorare insieme ambiti diversi. Soprattutto, non riuscì a riconoscere che, al contrario dell’idea dominante, il sesso è un argomento da adolescenti (che lo pratichino o meno) e che la prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, Hiv in testa, deve fare parte di un’informazione efficace.
Ancora oggi l’Italia è uno degli ultimi Stati membri nell’Unione europea in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria nelle scuole, insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania. E questo a dispetto delle tante proposte di legge che ci hanno provato (la prima nel 1975). Inoltre, quando si fa (ancora la libera scelta delle scuole!), riguarda quasi esclusivamente l’aspetto biologico della sessualità, senza prendere in considerazione quelli sociali, psicologici o emotivi che tanto peso hanno nell’esperienza dei ragazzi. E Lupo Alberto, che ama una gallina, lo ha sempre saputo.
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