La sera del 27 agosto 1979 Fabrizio De André e Dori Ghezzi vengono sequestrati nella loro villa in Sardegna. Il loro è solo uno dei 177 sequestri di persona avvenuti nell’isola tra il 1969 e il 1998. Quando, alla Vigilia di Natale di quell'anno, verranno liberati, si capirà subito che si è trattato di un sequestro molto particolare. E successivamente si comprenderà quanto abbia inciso quel periodo di prigionia sull’album Hotel Supramonte, i cui brani segnano una svolta nella poetica musicale e nei contenuti del cantautore genovese, che risultano molto diversi dai precedenti. C’è, in quei brani, una vicinanza profonda alla cultura sarda e ai sequestratori, che appaiono come espressione di un altro popolo, di un proletariato marginale, periferico, affascinante. De André non avrà mai parole di disprezzo per i suoi carcerieri, anzi. Disse di loro: “I banditi mi ripetevano spesso che i soldi del riscatto servivano loro per mandare a scuola i figli. Dicevano anche che volevano darci una lezione di vita, perché noi siamo dei privilegiati”.
Ma l’Anonima sequestri sarda è qualcosa di ben diverso dalla descrizione fattane da De André. Nell’isola i sequestri si accompagnano a numerosi omicidi, rapine, estorsioni. Il sequestro di persona non è un atto individuale; richiede la cooperazione e la partecipazione di più persone, possibilmente abili e attente dal momento che è un’attività complessa e ad alto rischio che richiede freddezza e capacità nelle diverse fasi: l’ideazione del sequestro, l’individuazione di chi sequestrare, la custodia dell’ostaggio per un tempo non prevedibile, la gestione della trattativa, la ricerca degli intermediari, la cura nell’evitare la morte dell’ostaggio, le modalità di consegna del denaro, il rilascio della vittima (come scrivo in Un delitto italiano: il sequestro di persona, nel volume dedicato a La criminalità degli Annali di Storia d'Italia, Einaudi, 1997)
In quegli anni, in Sardegna, questa modalità criminale era cresciuta d’importanza perché sostituiva le antiche forme della criminalità sarda che si basavano sull’abigeato, sui furti di greggi di pecore e di altri animali. Diminuivano i furti delle greggi di pecore, aumentavano i sequestri di persona. Era, d'altra parte, più facile ed economicamente più vantaggioso sequestrare il proprietario delle greggi e chiederne il riscatto che non le greggi stesse per macellarle e venderle in un mercato clandestino. Un antico detto sardo si incaricava di spiegarne la convenienza: “Gli uomini, al contrario delle pecore, non belano”.
Era più facile e vantaggioso sequestrare il proprietario delle greggi e chiederne il riscatto che non le greggi stesse per macellarle e venderle in un mercato clandestino. Un antico detto sardo si incaricava di spiegarne la convenienza: “Gli uomini, al contrario delle pecore, non belano”
Chi ne frattempo faceva del sequestro di persona una vera e propria industria era la ‘ndrangheta calabrese. La differenza tra i due tipi di sequestri è evidente. In quello sardo operavano bande che poi generalmente si scioglievano e i proventi dei sequestri erano immobilizzati nell’acquisto di bar, case, ovili. Nella ‘ndrangheta i soldi ottenuti con il riscatto alimentavano nuovi mercati criminali, quello dell’edilizia e del traffico degli stupefacenti.
Tanto in Sardegna quanto in Calabria nella fase iniziale dei sequestri circolavano idee che di fatto giustificavano il ricorso alla pratica dei sequestri: una indicava la causa del fenomeno nella miseria e nello stato di abbandono di quelle zone; un’altra interpretava i sequestri come una sorta di riequilibrio sociale, come una più equa ripartizione delle ricchezze essendo le vittime delle persone ricche che potevano pagare i riscatti e i cui beni si poteva presumere che non fossero frutto solo del sudore della propria fronte, ma di ruberie, imbrogli, corruzioni varie.
In verità è raro trovare un rapporto così diretto e automatico tra miseria e sequestro. Questa equazione nascondeva una realtà ben diversa perché nell’isola i sequestratori non erano poveracci o sbandati e i sequestri manifestavano la voglia di arricchirsi trovando forme più rapide per accumulare grandi quantità di danaro, mentre in Calabria i sequestratori erano opera di mafiosi che investivano i soldi dei riscatti in parte nella costruzione dei palazzi – a Bovalino c’è un quartiere denominato Paul Getty dal nome del noto sequestrato – e in gran parte nel traffico di droga, aumentando in modo esponenziale il capitale investito. Il sequestro non era una risposta alla fame, ma una forma di arricchimento, di promozione sociale e di affari criminali.
Nel mondo dei sequestratori operavano personaggi che non appartenevano all’ambiente pastorale: erano uomini in grado di riciclare i soldi, di investirli, di operare la magia per cui il denaro "segnato" si trasformava in denaro che era possibile possedere e spendere senza correre alcun rischio.
Il sequestro non era una risposta alla fame, ma una forma di arricchimento e di promozione sociale: i sequestratori non appartenevano all'ambiente pastorale ma a quello criminale
In Calabria l’area dei sequestri si è andata via via restringendo al punto che nell’ultimo periodo hanno operato le cosche di soli tre comuni dell’Aspromonte; nel 1991 queste stesse cosche hanno deciso di concludere la stagione dei sequestri – con perfetto tempismo perché proprio in quell’anno fu approvata la legge sul cosiddetto blocco dei beni, come spiega Alessandra Montalbano nel saggio Un’emergenza lunga trent’anni: lo Stato e i sequestri di persona a scopo di estorsione in questo volume. Questo mutamento è dovuto al fatto che l’ingresso delle ‘ndrine nel campo degli stupefacenti rendeva non più conveniente sequestrare ostaggi.
Anche in Sardegna l’area dei sequestri si è ristretta. Nello stesso tempo si assiste all’ingresso della criminalità sarda nell’ambito del crimine internazionale. Le tracce dei soldi per liberare i sequestrati ci portano in Svizzera, in Venezuela, in Colombia o in Australia, come ha dimostrato il sequestro Soffiantini.
Ma la novità più rilevante è quella descritta nella Relazione della Commissione antimafia firmata dal senatore Pardini : è l’individuazione di una zona grigia, di una rete di mediatori, informatori, professionisti affiliati alla massoneria che si mettevano in moto e operavano ad ogni sequestro di persona. Siamo davanti a una trasformazione radicale del sequestro di persona sardo: sullo sfondo rimangono pastori e latitanti; alla ribalta ci sono altri e ben diversi protagonisti – alcuni proiettati nel traffico di droga, altri nel condizionamento politico-affaristico dell’isola sulla pelle dei sequestrati.
Anche in Calabria la ‘ndrangheta ha diversificato e affinato le modalità d’azione. Ci sono stati sequestri-lampo che si conclusero in poche ore, giusto il tempo per incassare una tangente non molto onerosa pagata dai familiari. Oppure il sequestro serviva a convincere la vittima ad abbandonare un appalto vinto o a rinunciare a partecipare a una gara già indetta. Altre volte ha funzionato come un delitto-esca che richiamava sulla costa jonica tutte le forze dell’ordine impegnate nella ricerca di un importante ostaggio del Nord, lasciando in tal modo sguarnita la costa tirrenica, ed era proprio in quelle circostanze che si effettuavano gli sbarchi di partite di droga.
Era talmente forte, la ‘ndrangheta, da competere con lo Stato per il controllo del territorio. Tenere delle persone in ostaggio per mesi e mesi nel cuore dell’Aspromonte senza che si riuscisse a liberarle era la dimostrazione che la signoria territoriale era nelle mani dei malandrini. Questo aspetto è ancora più visibile in alcuni sequestri che hanno visto la partecipazione di uomini dei servizi segreti incaricati di risolvere al più presto sequestri particolari per la loro valenza politica.
La ‘ndrangheta si è anche macchiata dell’orrendo delitto di aver tenuto sequestrati dei bambini. Il primo fu Franco Cribari, di 10 anni, sequestrato a San Giovanni in Fiore nel 1970. Il primo bambino rapito al Nord , nel 1973, davanti a una scuola di Bergamo, fu Mirko Panattoni, di 8 anni. Poi ci fu il più giovane, Marco Fiora, rapito a Torino nel 1987. Aveva 7 anni.
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