Il 20 marzo 2014 Airbnb annuncia di aver raggiunto il milione di viaggiatori in Italia. Si tratta di guests che hanno usufruito di interi appartamenti o singole stanze messe a disposizione da oltre 50 mila privati (host) attraverso quella piattaforma. Numeri che portano l’Italia a rappresentare, già in quegli anni, il terzo Paese al mondo per numero di annunci su Airbnb, dopo Stati Uniti e Francia.
Airbnb è stata fondata a San Francisco nel 2008. Il mito della fondazione corrisponde a quello delle startup digitali, basato su giovani della Silicon Valley che trasformano un bisogno personale in un’idea imprenditoriale di successo. A fornire il capitale di rischio necessario alla crescita concorrono la crisi finanziaria, che libera risorse da investire su nuovi business, e l’investimento nel turismo come via alternativa di sviluppo economico.
Ci sono aziende che diventano il simbolo di un fenomeno socio-economico: Ford per l’organizzazione scientifica del lavoro, Toyota per la produzione snella, McDonald per la globalizzazione, Nike per le catene globali del valore ecc. Airbnb è il simbolo delle diverse vite della sharing economy.
Airbnb era considerata l’azienda-simbolo dell’economia tra pari: professionisti amatoriali che valorizzavano risorse sottoutilizzate (un posto letto in soggiorno, la stanza degli ospiti) integrando così il proprio reddito
La prima vita è ben rappresentata da una copertina dell’"Economist", che nel marzo 2013 utilizza l’immagine di una casa in affitto per raccontare L’ascesa della sharing economy. In quegli anni, Airbnb era considerata l’azienda-simbolo dell’economia tra pari (peer-to-peer): professionisti amatoriali che valorizzavano risorse sottoutilizzate (un posto letto in soggiorno, la stanza degli ospiti) integrando così il proprio reddito e offrendo un servizio a un prezzo calmierato. La motivazione strumentale incontrava quella espressiva nella crescente domanda di un turismo esperienziale, attraverso cui i “viaggiatori” intendevano prendere le distanze dai turisti di massa.
Il modello di servizio di Airbnb era coerente anche con la rinnovata attenzione alla dimensione relazionale proposta dai movimenti collettivi che, a seguito della crisi finanziaria, sostenevano un’economia alternativa basata su nuove forme di radicamento tra economia e società. Non da ultimo, questa retorica veniva rinforzata direttamente dal marketing dell’azienda: con il restyling del 2014, Airbnb introduce un nuovo logo, definito come “simbolo di appartenenza” e accompagnato dal payoff People + Places + Love + Airbnb.
La seconda vita di Airbnb coincide con il passaggio repentino dalle aspettative nei confronti della sharing economy alle critiche alla cosiddetta gig economy. Nel caso di Airbnb, l’attenzione si è concentrata su tre questioni. La prima è stata sollevata principalmente dai rappresentanti del settore alberghiero, che hanno denunciato l’evasione fiscale delle locazioni brevi come forma di concorrenza sleale.
La seconda riguarda invece un nuovo tipo di gentrificazione, per cui l’innalzamento dei prezzi determina l’abbandono del centro storico da parte dei residenti, sostituiti da investitori che acquistano gli immobili solo per affittarli ai turisti, con conseguente perdita della cultura locale e della coesione sociale. Infine, un paper di Ben Edelman e Michael Luca della Harvard Business School apre un filone di ricerca che dimostra meccanismi discriminatori nei confronti di host e guest afro-americani su Airbnb e mette in luce il “dark side” dell’economia peer-to-peer. La risposta a queste criticità ha preso due strade. La prima è quella della regolazione che, soprattutto a livello locale, introduce restrizioni legate alla quantità, alla localizzazione, alla densità e alla qualità delle locazioni, per mitigare gli effetti non previsti di questo fenomeno. La seconda strada è quella della costruzione di piattaforme alternative e, in particolare, piattaforme cooperative. Tra queste si segnala Fairbnb, che propone un modello etico di affitto a breve termine, ma che dopo anni di progettazione ancora fatica ad avviare le attività.
La terza vita di Airbnb può essere ricondotta al raggiungimento del picco di espansione nel 2016, anno in cui la piattaforma si stabilizza nelle grandi città, mentre continua a crescere nei centri urbani di dimensioni inferiori e nelle aree interne. La differenziazione dei servizi (tra cui l’apertura di un canale dedicato agli hotel) e le misure messe in atto per contrastare le critiche emerse nella fase precedente determinano un abbandono della dimensione peer-to-peer a favore di una professionalizzazione e commercializzazione del servizio. Per esempio, vengono eliminate le foto dal profilo degli host e introdotta la possibilità di “instant book” senza selezione del guest da parte degli host; tutte misure che, nel minimizzare i rischi di discriminazione, riducono anche la dimensione relazionale. Airbnb è vittima del proprio successo ed è proprio questo, paradossalmente, a farle perdere la propria specificità. L’unico elemento di connessione con lo spirito delle origini è il servizio “experiences”, introdotto proprio nel 2016, ma che non arriverà mai a qualificare l’intera offerta.
Airbnb è vittima del proprio successo ed è proprio questo, paradossalmente, a farle perdere la propria specificità
L’inizio della pandemia interromperà bruscamente anche questa fase. Il settore turistico è tra quelli che più hanno subito l’impatto delle restrizioni: le cancellazioni delle prenotazioni sono state immediate, prima in Cina poi negli altri Paesi raggiunti dal virus. Se in fase di crescita i guadagni dell’azienda crescevano in parallelo a quelli degli host, con la crisi le perdite sono state superiori per gli host (le stime dicono 6,5 volte rispetto a quelle della piattaforma), che in molti Paesi non hanno nemmeno avuto accesso a sussidi a sostegno del reddito.
Questa battuta d’arresto non ha impedito ad Airbnb di quotarsi con successo alla borsa di New York il 10 dicembre 2020. Airbnb si è trovata a una svolta, che avrebbe potuto portare anche al fallimento, e ha messo in atto una strategia di riposizionamento che, da molti osservatori, è stata definita come un ritorno all’ethos delle origini. Airbnb si presenta ora come un’azienda orientata a offrire servizi essenziali di interesse pubblico. Per sostanziare questa strategia, ha aperto Airbnb.org, una non profit per sostenere le persone in situazioni di emergenza. Si tratta di un’iniziativa sperimentata in occasioni precedenti, ma che ora dispone di un finanziamento stabile e di una struttura organizzativa dedicata. Da notare come l’iniziativa di tante persone che stanno prenotando camere in Ucraina come gesto di solidarietà dopo l’attacco russo stia confermando, con un movimento “dal basso”, questa strategia.
Ha poi inaugurato City Portal, per favorire la collaborazione con le comunità e le amministrazioni locali, finalizzata al rafforzamento del turismo responsabile, dichiarando una volontà di condivisione dei dati e la proposta di farsi carico della raccolta delle tasse. In Italia, Airbnb ha siglato un accordo con Anci per attivare, a partire dal 1° marzo 2022, la raccolta digitale dell’imposta di soggiorno in 1.100 enti locali, che va a integrare i protocolli di intesa già in vigore con 24 Comuni di grandi dimensioni. Ha inoltre stipulato nel maggio 2021 un protocollo con il Comune di Milano per la promozione degli affitti a canone concordato (per contratti di affitto transitorio fino a 18 mesi e contratti per studenti da 6 a 36 mesi) e con il Comune di Firenze nel luglio 2021 per il coinvolgimento di operatori turistici professionali nelle “Airbnb Experiences”.
Queste iniziative sono state accolte, da alcuni, con il dubbio che restino dichiarazioni di scarso impatto, da altri con il timore che Airbnb possa veramente costruire una partnership con le amministrazioni locali e diventare parte delle infrastrutture essenziali delle nostre città.
Questa spinta di Airbnb nella direzione dell’infrastrutturazione deve essere analizzata in modo integrato con le trasformazioni nelle strategie degli host e dei guest dopo la crisi pandemica. Le prime ricerche mostrano un calo degli host professionali, dovuto al fallimento o alla conversione al mercato degli affitti al lungo termine durante i periodi di lockdown. Anche al termine della pandemia, il timore di nuove crisi potrebbe inibire il ritorno di questi operatori sul mercato delle locazioni a breve termine. Gli host amatoriali hanno invece potuto sospendere le proprie attività senza incorrere in costi di mantenimento.
Secondo alcuni studiosi, questo potrebbe portare a un ritorno allo spirito “sharing” delle origini. Un’ipotesi da verificare, anche a seguito dei cambiamenti delle preferenze dei clienti, oggi orientate verso l’affitto di intere abitazioni. Le lancette non possono tornare al 20 marzo 2014, ma la nuova vita di Airbnb potrebbe riservare qualche sorpresa.
Riproduzione riservata