Anticipata dal suono di un allarme e introdotta dalla sigla T Bird di Rocky Roberts, il 16 ottobre 1965 alle 17,40 andava per la prima volta in onda sul Secondo programma la trasmissione musicale Bandiera Gialla, «un programma rigorosamente riservato ai giovanissimi. Ripeto: ai giovanissimi», annunciava categorico Gianni Boncompagni, conduttore assieme a Renzo Arbore.

La trasmissione si inseriva nell’ondata «beat» (come si diceva prevalentemente allora), arrivata dapprima alla radio italiana nella forma di un fiume con molti rivoli e piccoli affluenti: l’introduzione di singole canzoni, spesso cover in italiano degli originali in inglese, nei programmi più tradizionali, soprattutto quelli del pomeriggio, la diffusione improvvisa di termini fino a poco tempo prima sconosciuti, a cominciare da disc jockey. Un'ondata preceduta sul finire degli anni Cinquanta da polemiche, stantie già sul nascere, ma che avevano ottenuto una notevole eco sui giornali e nella stessa radiotelevisione di Stato: quelle che opponevano i «melodici» ai cosiddetti «urlatori», trattando la musica giovanile come nuova ma più grezza rispetto a una tradizione «all’italiana» magari vecchiotta ma ancora largamente apprezzata. Quelle polemiche però erano di fatto pressoché spente quando verso la metà degli anni Sessanta il mercato discografico cominciò a imporre, soprattutto ma non solo nelle grandi città, successi globali e simultanei a cominciare dai Beatles, e si affermarono locali di nuovo genere a cominciare dal Piper di Roma.

Per la radio Rai a questo punto si configurava una sfida da non perdere, nell’epoca degli apparecchi a transistor che permettevano alle nuove generazioni un ascolto autonomo rispetto alle radio di famiglia, e dopo l’avvento della modulazione di frequenza. L’Fm consentiva l’ascolto dall’Italia delle radio «pirata» inglesi con nomi di fantasia come Caroline, o delle prime radio «extraterritoriali» come quella del Lussemburgo diretta a tutta Europa, a cui si sarebbe aggiunta all’inizio del 1966 radio Montecarlo. Tutte queste emittenti avevano il loro punto di forza proprio nella musica giovanile, oltre che nelle pubblicità vietate alle radio ufficiali, a cominciare da quelle delle sigarette; e le emittenti pubbliche europee dovevano trovare il modo di preservare un rapporto con generazioni che, se avessero mantenuto i vecchi stili di programmazione e le vecchie scelte musicali, rischiavano di perdere.

Bandiera gialla fu un momento di passaggio, primo segnale del più ampio cambiamento che si sarebbe verificato qualche mese dopo, con la riorganizzazione dei programmi voluta da Leone Piccioni (che aveva assunto da poco la direzione della radiofonia), anche per differenziare maggiormente la programmazione radio da quella televisiva. Un programma in particolare, il Secondo, sarebbe stato strutturato in modo relativamente simile alle emittenti statunitensi: trasmissioni brevi, una larghissima presenza delle canzoni, brevi notiziari. La musica «beat» vi avrebbe appunto trovato ampio spazio, con una presenza spalmata sull’intera giornata, e con programmi appositi come Per voi giovani, la stessa Bandiera gialla (fino al 1970, Disc jockey), Hit parade e altre, che avevano come promotori Gianni Boncompagni, Renzo Arbore, Massimo Ventriglia e altri, o assegnavano nuovi ruoli a figure in precedenza legate a diversi generi musicali, come Adriano Mazzoletti (noto fino ad allora soprattutto come esperto e critico di jazz) e il raffinato compositore Lelio Luttazzi.

Perché, si diceva, un momento di passaggio? Già il titolo, Bandiera gialla, è indicativo: la musica giovanile veniva contraddistinta dal simbolo universale del contagio, dei morbi più pericolosi. In modo, certo, autoironico, l’ondata beat veniva segnalata come l’arrivo di qualcosa di esplosivo e che molti avrebbero disapprovato se non addirittura temuto, qualcosa che si inseriva nel flusso dei programmi più tradizionali (con una precisa collocazione, il sabato pomeriggio, quel tempo prima della vacanza che è per definizione il momento di vita più libero) ma restando distinto e separato da tutto il resto. Quella di una trasmissione tutta dedicata a canzoni giovanili, spesso in lingua originale, era, del resto, una scommessa, quando il Festival di Sanremo ancora privilegiava i generi più tradizionali, quando perduravano le polemiche contro i «capelloni»: è dell’inizio del 1966 Come potete giudicar, il brano dei Nomadi (in realtà ancora una cover, di una canzone di Sonny Bono), che difende i capelli lunghi dalle vere o presunte «condanne» delle generazioni più anziane.

Quella di una trasmissione tutta dedicata a canzoni giovanili, spesso in lingua originale, era, del resto, una scommessa, quando il Festival di Sanremo ancora privilegiava i generi più tradizionali, quando perduravano le polemiche contro i “capelloni”

Ma il ribellismo giovanilistico di cui la trasmissione si fregiava era comunque piuttosto cauto. Il meccanismo su cui si basava Bandiera gialla era quello della gara: in ogni puntata venivano presentate dodici canzoni in quattro gruppi di tre, il pubblico presente ne selezionava una per ogni gruppo, tra queste si sceglieva poi il «disco giallo» vincitore e le canzoni selezionate sarebbero poi tornate nella trasmissione successiva. Era un sistema familiare al pubblico italiano, abituato ai concorsi tra i brani musicali, da Sanremo a Canzonissima, e insieme efficace e ben gradito all’industria discografica per promuovere le novità: ogni sabato otto canzoni di recente o recentissima uscita (in un mercato dominato dai dischi a 45 giri) e quattro «premiate», che spesso venivano inviate nei negozi con copertine ristampate in fretta recanti la scritta «vincitore a Bandiera Gialla».

Il pubblico, tutto adolescente, non era certo un campione rappresentativo della popolazione giovanile italiana: molti erano figli di dirigenti Rai, insomma raccomandati, altri scelti tra i frequentatori del Piper di Roma, altri (ma una minoranza) tra coloro che si candidavano. Per quanto riguarda la scelta dei brani, e i giudizi del pubblico, il conduttore Boncompagni favoriva le contrapposizioni più riconoscibili (e ovvie) a cominciare dalle ricorrenti sfide tra i Beatles e i Rolling Stones, mentre autori come Bob Dylan erano quasi sempre tenuti ai margini, da un pubblico che non dava importanza alle parole (ammesso che le capisse) e privilegiava, come valore cruciale, la ballabilità. Ma proprio questo aspetto, il rapporto tra musica e ballo («se vedrai Bandiera gialla/ capirai che qui si balla» era la facile rima della canzone cantata da Gianni Pettenati il cui successo fu trainato appunto da quello della trasmissione) è probabilmente uno dei più significativi per comprendere il significato storico di Bandiera gialla.

L’aspetto che allora più colpì molti ascoltatori, giovani e anziani, era in effetti il “clima” del programma, percepibile prima di tutto acusticamente come si conviene al linguaggio della radio, fatto di grida e del rumore in sottofondo della danza

L’aspetto che allora più colpì molti ascoltatori, giovani e anziani, era in effetti il «clima» del programma, percepibile prima di tutto acusticamente come si conviene al linguaggio della radio, fatto di grida e del rumore in sottofondo della danza, perché per scelta precisa degli autori il pubblico era invitato a seguire le canzoni muovendosi, con quello stile di ballo che cominciava solo allora ad affermarsi e che avrebbe dominato tutti i decenni a venire. Il passaggio dai balli prevalentemente di coppia, e regolati da passi prescritti, a quello che per una fase fu chiamato shake e perse poi ogni nome specifico, risale proprio agli anni di Bandiera gialla. Era un piacere e un rito insieme come sono da sempre i balli, ma un rito all’epoca nuovo: celebrava il gruppo e l’aggregazione relativamente casuale e anarchica dei coetanei rispetto alla coppia, affidava un ruolo decisivo agli strumenti elettrificati e all’amplificazione. Attraverso la radio, il pubblico del tempo poteva avere l’impressione di stare ballando (anche se si limitava a seguire il ritmo col battito dei piedi) con il gruppo giovanile al centro della trasmissione, e di sintonizzarsi con un pubblico assai più vasto, euro-americano se non globale, che apprezzava le stesse canzoni e che «amava i Beatles e i Rolling Stones», secondo i versi di uno dei maggiori successi italiani del tempo.

È probabilmente per questo che la trasmissione è rimasta nella memoria di tanti, più di molti altri programmi del tempo spesso più raffinati nelle scelte musicali e nella struttura. Un segnale programmatico di un mutamento in corso non solo genericamente del costume ma specificamente di alcuni riti collettivi, e delle rappresentazioni della comunità giovanile. Un mutamento del quale ancora oggi non abbiamo ben compreso le cause e la dinamica.