Come in ogni grande delitto politico del Novecento, dove un gesto criminale puntuale mira a obiettivi politici di valore generale, anche l’attentato a Karol Wojtyła del 13 maggio 1981 ha prodotto attorno a sé un alone che, più ancora che la conoscenza storica, stimola una curiosità giallistico-spionistica nella quale il concatenarsi delle ipotesi giudiziarie e degli esiti pratici fornisce alimento a una “leggenda” particolarmente sviluppata.
Le evidenze, infatti, sono per sé scarse e frammentarie: i) è certo che un militante turco dei Lupi grigi, Ali Agca, anni 23, spara al papa polacco alcuni colpi alle 17 e 17 durante il giro che la jeep Fiat bianca compie sulla piazza durante quella che doveva essere la udienza di routine di quel mercoledì di maggio; ii) è certo che Agca non centra né il torace né la testa del suo bersaglio, cosa che avrebbe dato maggiori chance di perpetrazione dell’assassinio che aveva preparato, ma da tre metri e mezzo centra l’addome del pontefice, perforato in più punti dai proiettili della sua calibro 9; iii) è certo che Giovanni Paolo II – operato per cinque ore al policlinico Gemelli – ritiene di essersi salvato “per miracolo”, in senso stretto, dai colpi e dalla emorragia causatagli dalle ferite all’inguine, tant’è che una delle pallottole che lo hanno ferito in modo grave non viene consegnata alla giustizia, ma incastonata nella corona della statua della Vergine di Fatima, di cui il 13 maggio si celebra la solennità; iv) è certo che Alì Agca, arrestato dalla giustizia italiana come chiunque delinque in Piazza di San Pietro, propone di sé l’immagine di un folle, o perché lo è o perché si è addestrato a questo, e nella sua continua affabulazione cerca di coinvolgere nel suo delitto potenze straniere e di collegarlo ad altri delitti (come il rapimento di Emanuela Orlandi); v) è certo che nonostante la condanna all’ergastolo comminatagli il 22 luglio 1981 e nel processo concluso il 29 marzo 1986, Agca viene graziato dal presidente Ciampi e dopo aver espiato una parte della pena che lo attendeva in Turchia (dove una condanna a morte era stata commutata in carcere) è ritornato libero nel 2006 e poi definitivamente nel 2010.
Accanto a questi elementi scarni, ma sicuri, ce ne sono molti altri che sembrano collimare con il quadro generale del tempo e la posizione del papato nello scenario internazionale. Che infatti l’elezione di Giovanni Paolo II fosse sfuggita di mano all’Urss è cosa evidente e non troppo difficile da spiegare: solo la morte improvvisa di Giovanni Paolo I rende plausibile uno scarto così violento come quello dell’ottobre del 1978, quando finisce l’egemonia italiana sulla sede petrina e viene scelto un uomo che per la sua età avrebbe dovuto avere un regno lunghissimo, come in effetti ebbe; e in questa seconda convocazione nessuno a Mosca o nei Paesi del Patto di Varsavia che hanno cardinali elettori considera necessario premunirsi per evitare che il cardinale di Cracovia (o peggio ancora quello di Varsavia) possano salire sul trono di Pietro e da lì guardare alla Polonia con occhi diversi da quelli con cui Pio XII – per questo detestato dai polacchi – aveva guardato silente al distendersi dell’egemonia sovietica sulla nazione cattolica.
Non avendo a disposizione nessuno strumento di denigrazione o di ricatto contro Wojtyła, che qualcuno abbia considerato la sua liquidazione fisica un bene è plausibile
La gravità dell’errore era apparsa chiara quando Giovanni Paolo II avrebbe sfidato il socialismo reale andando pellegrino nella sua terra, il 3 giugno 1979, a pochi mesi dalla sua elezione: le folle gigantesche, mai inquadrate dalla tv di Stato ma ben presenti ai dirigenti degli uffici politici dei partiti comunisti, erano lì a dire che la capacità di mobilitazione di quell’uomo costituiva una minaccia oggettiva, moltiplicata dalla elezione di Reagan a fine 1980, per un sistema che si credeva eterno. Non avendo a disposizione nessuno strumento di denigrazione o di ricatto contro Wojtyła, che qualcuno abbia considerato la sua liquidazione fisica un bene è plausibile: come è plausibile che sia stata affidata all’intelligence bulgara l’organizzazione di un attentato che potrebbe avere avuto anche attori non rilevati, come il secondo tiratore di cui s’è postulata l’esistenza.
Tuttavia, è altrettanto vero che per i Paesi Nato rendersi conto del montare di questa minaccia o favorire la preparazione materiale dell’attentato avrebbe potuto presentare dei vantaggi: d’altronde viene da credere che un ergastolano turco, evaso dal carcere dove era rinchiuso per aver assassinato il direttore di un giornale e noto alle polizie, non potesse passare sotto il naso dei servizi dei Paesi occidentali senza lasciare traccia alcuna.
Lo stesso Agca, in mezzo a proclami su sé medesimo come messia, ha anche dato indicazioni contraddittorie: quella piuttosto inverosimile che additava nel segretario di Stato Agostino Casaroli il mandante; quella che accusava i servizi bulgari e l’ambasciata bulgara a Roma di avergli fornito assistenza logistica tramite alcuni funzionari; quella che l’ayatollah Khomeini gli avrebbe commissionato un delitto “religioso”.
Queste interpretazioni dell’attentato si sono associate al tetris tipico di delitti o tentati delitti di tale magnitudo politica: perché il ruolo del personaggio fa sì che per una ragione o per l’altra, i dentini di molte chiavi criminali sembrino combaciare con la serratura dell’attentato del 13 maggio. E dunque c’è stato chi ha postulato che uno dei soliti “misteri” della storia italiana (i servizi deviati, la banda della Magliana, i rapitori di Emanuela Orlandi) siano stati parte di quella vicenda.
Lasciata al giornalismo d’inchiesta o a futuri studi la catalogazione analitica di queste ipotesi, quell’episodio resta centrale per tratti che non hanno nulla di misterioso. Perché è oggettivo e stranoto che l’attentato non ottiene il proprio risultato, anzi. Nel confermare a Giovanni Paolo II che la profezia fattagli dal cardinal Wyszyński al momento dell’elezione (“Tu condurrai la chiesa nel terzo millennio”) era anche un mandato garantito dalla Provvidenza al quale egli si sarebbe sempre più conformato sostituendo i contenuti del papato che venivano dalla sua storia di professore di teologia morale e di pastore di una chiesa con una devozione popolare fortissima con quelli penitenziali che avrebbero segnato il giubileo del 2000.
A differenza di Paolo VI, che aveva subito un attentato a Manila, Giovanni Paolo II si sente un superstite la cui sopravvivenza disegna una vocazione e un destino
A differenza di Paolo VI, che aveva subito un attentato a Manila, Giovanni Paolo II si sente un superstite la cui sopravvivenza disegna una vocazione e un destino: e lui, convinto che il socialismo reale sarebbe crollato per motivi filosofici, non avrebbe mai voluto il merito di aver fatto crollare l’impero sovietico (merito che non aveva e che non voleva perché avrebbe dimostrato che, contrariamente a quanto aveva sempre creduto, quel sistema avrebbe potuto durare), ha invece avuto un peso nel fatto che quel cambio d’epoca seguito al 1989 sia avvenuto senza il bagno di sangue e le guerre etnico religiose che avrebbero invece devastato la ex Jugoslavia.
Quel delitto sarebbe così stato incastonato nella devozione mariana di papa Wojtyła e poi derubricato a snodo di altri delitti non meno gravi. Resta sempre poco chiara la connessione con quei colpi di pistola. O di pistole.
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