Il 13 gennaio 2012 alle 21 e 45 la nave da crociera Costa Concordia, salpata da Civitavecchia in direzione di Savona, urta contro uno scoglio nei pressi dell'Isola del Giglio. L'impatto provoca una falla sulla carena e la parziale sommersione della nave. Quella notte non farà naufragio solo una grande nave, ma con essa si infrangeranno sugli scogli anche il buonsenso, la logica, la dignità, il coraggio e quel sapere marinaresco che tanto faceva l’orgoglio di noi, “popolo di navigatori”. Tutto tragicamente arenato di lato, con una ferita profonda sulla fiancata sinistra dalla quale entrerà tanta acqua da cancellare le glorie del passato.
Il naufragio della Costa Concordia fu prima di tutto un drammatico lutto e un evento doloroso per le famiglie delle vittime e dei sopravvissuti che registrarono l’incredibile incapacità di gestire un’emergenza da parte del comandante, ma anche dell’armatore e di tutta la catena di comando. Un incidente inverosimile che costò la vita a 32 persone, ma che servì anche a squarciare la coltre di silenzio che copriva condotte gravi, al limite della liceità, che caratterizzavano il mondo delle crociere.
Un incidente servito anche ad evidenziare l’arroganza e l’onnipotenza di un settore che aveva progettato e realizzato veri e propri grattacieli galleggianti. La Costa Concordia era il fiore all’occhiello della flotta di Costa Crociere, società di proprietà della statunitense Carnival: 114 mila tonnellate di stazza lorda, a bordo 1.013 membri d’equipaggio e 3.216 passeggeri dislocati in 1.500 cabine su 14 ponti e che potevano contare su 5 ristoranti, 4 piscine e 13 bar. Ancora più impressionanti le dimensioni della nave: 290 metri di lunghezza per 70 metri di altezza. Un palazzo di cinque piani è alto poco più di 20 metri.
La vacanza in crociera aveva smesso i panni dell’esclusività per diventare prodotto da middle class, prendendo il posto di quella nei villaggi turistici degli anni Novanta
Quel naufragio di 10 anni fa ci ha fatto scoprire quanto erano diventate grandi le navi da crociera, dimensioni al limite della galleggiabilità per stipare all’interno migliaia di turisti (la più grande oggi può ospitare fino a 8.900 persone), perché da un po’ d’anni a questa parte la crociera aveva smesso i panni dell’esclusività per diventare prodotto da middle class. La vacanza in crociera ha sostituito da tempo quella nei villaggi turistici degli anni Novanta: una settimana in giro per il Mediterraneo può costare dai 400 euro in su, incluso i pasti. E l’ultimo viaggio della Costa Concordia era uno di quelli a prezzi stracciati, dopo i viaggi più ricercati delle vacanze di Natale.
Quel naufragio ci fece scoprire che le navi possono fare gli “inchini”, una pratica diffusa a quanto pare che consiste nel prendere di mira la terra davanti alla quale ci si vuole inchinare e virare all’ultimo momento così che la nave si pieghi un po’ su un fianco. E proprio questa manovra fu la causa dell’incidente alla Concordia: la decisione di fare un inchino o comunque un passaggio ravvicinato davanti al Giglio per salutare la famiglia del maître di bordo. La nave passò troppo vicino e prese sul fianco degli scogli affioranti che pure erano tutelati con il vincolo massimo dal Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano: lì la pesca era, ed è, vietata ma le navi da crociera sembrava godessero di una sorta di impunità. Quando all’indomani del naufragio, sull’onda dell’emozione e dello sdegno dell’opinione pubblica, i ministri Passera e Clini misero mano a un provvedimento per allontanare questi bestioni dalle coste, tra i primi a protestare e strappare una deroga ci fu proprio il Comune di Portofino, che pure ospita un’area marina protetta davanti alle sue coste, ma che lamentava la perdita di sbarchi che sarebbe derivata dall’applicazione della nuova norma.
Il provvedimento dei due ministri si rivelò alla fine un pannicello caldo, e anche l’ambizione di allontanare le navi da crociera da piazza San Marco a Venezia si sarebbe scontrata con la lobby degli armatori e gli interessi locali e solo la scorsa estate sarebbe entrato finalmente in vigore, anche se non completamente.
La dinamica dell’incidente ha messo in luce anche un altro aspetto non irrilevante che ha a che fare con quello che in gergo si chiama “equipaggio Babele”, ovvero la grande varietà di nazionalità dei marittimi imbarcati sfruttando le pieghe normative che consentono di stipulare ancora contratti alle condizioni dei Paesi d’origine, molto più vantaggiose per il datore di lavoro. Su vicende del genere il nostro Paese è incorso in ben due procedure d’infrazione da parte di Bruxelles. Sulla Concordia c’era personale proveniente da 42 Paesi diversi, perlopiù filippini o indonesiani come il timoniere che era ai comandi quella sera e che, come risulta dalle carte processuali, fraintese l’ordine del comandante della nave indirizzandola per alcuni secondi dalla parte opposta a quella indicata.
La nave restò coricata su un fianco per due anni e mezzo, col triste transito davanti delle imbarcazioni dei turisti del macabro, quelli che non hanno saputo rinunciare a un selfie da mandare agli amici
La nave restò coricata su un fianco davanti al porto del Giglio per due anni e mezzo, col triste transito davanti delle imbarcazioni dei turisti del macabro, quelli che non hanno saputo rinunciare a un selfie da mandare agli amici con lo sfondo della Concordia. Alla fine, sorretta da due enormi strutture laterali, la carcassa della nave è stata riportata in galleggiamento e avviata alla sua ultima destinazione per lo smantellamento, il porto di Genova. E anche questo è un capitolo sul quale il naufragio della Concordia ha acceso un riflettore: l’ultimo viaggio delle navi. La vicenda, infatti, ha sollevato un dibattito sulla destinazione finale della Concordia: si parlò a lungo di Smirne, in Turchia, soluzione poco più accettabile delle spiagge di Alang, in India, il più grande cimitero di navi al mondo, con ben duecento cantieri di rottamazione dove normalmente finisce la maggior parte delle navi del mondo.
Alang è una vera e propria vergogna mondiale. Qui i comandanti delle carrette dei mari aspettano il colmo della marea per lanciare a tutta velocità la loro nave sulla spiaggia, un’operazione che in gergo si chiama “beaching”. Poi si aspetta la bassa marea e centinaia di lavoratori, immigrati degli Stati più poveri dell’India, anche minori, demoliscono la nave spesso scalzi e a mani nude e la smontano a forza di braccia nel giro di poche settimane per un paio di dollari al giorno. Una realtà fatta di sfruttamento e negazione dei diritti umani, di cantieri all’aperto senza alcuna norma di sicurezza e di tutela dell’ambiente, con l’acqua marrone e la sabbia nera di sostanze tossiche, in cui si susseguono terribili incidenti con mutilazioni e morti che nessuno conosce e risarcisce. Per rendersi conto della vergogna di Alang è sufficiente digitare su Google Maps il nome della località e zoomare sulla spiaggia 8 fino a scorgere le decine e decine di relitti, tra cui alcuni di navi italiane, che aspettano di essere rottamati. Al mondo non c’è posto più conveniente per smontare una nave. Anche in questo caso per aggirare le normative nazionali era sufficiente una vendita fittizia che permetteva di cambiare bandiera alla nave per l’ultimo viaggio. Alla fine, la scelta del porto per la rottamazione cadde su Genova e fu un’ottima soluzione che dimostrò che le navi si possono rottamare anche in Occidente, magari pagando un po’ di più, ma rispettando ambiente, diritti umani e diritti dei lavoratori.
La tragedia della Concordia è servita anche all’Europa a prendere atto di questa vergogna: le vecchie carrette del mare targate Ue, che contengono materiali pericolosi come amianto, Pcb, mercurio e altre sostanze nocive, ora non potranno più cambiare bandiera e finire sulle spiagge dei Paesi in via di sviluppo. L’Europarlamento, infatti, in quegli anni ha dato il via libera alle nuove regole per l’eco-riciclo delle vecchie navi che prevede che le navi europee vengano smantellate solo in strutture certificate, incluse in una lista Ue.
Il naufragio mise in luce tutte le assurdità e le incongruenze di un comparto, ma non ne scalfì il volume d’affari che, fino a pochi anni fa, raggiungeva i 150 miliardi di dollari all’anno
Quell’episodio tragico si dimostrò dunque strettamente legato alle questioni ambientali. Il naufragio mise in luce tutte le assurdità e le incongruenze di un comparto, ma non ne scalfì il volume d’affari che, fino a pochi anni fa, raggiungeva i 150 miliardi di dollari all’anno: ci avrebbe pensato la pandemia a ridimensionare il settore crocieristico. Il mondo della navigazione, del resto, è da sempre cresciuto sugli incidenti: il Titanic è servito a migliorare le misure di sicurezza al tempo molto carenti, ma più recentemente i nomi di Erika e Prestige, le superpetroliere affondate rispettivamente nel 1999 e nel 2001, sono serviti a identificare i pacchetti normativi messi a punto dall’Unione europea in materia di trasporto di sostanze pericolose. Nuove leggi che hanno intensificato i controlli sulle carrette del mare. La tragedia della Costa Concordia, con il suo carico di vite spezzate, non poteva restare un naufragio inutile, e in parte ha migliorato sicuramente alcune situazioni. In parte resta ancora molto da fare perché il mondo delle grandi navi abdichi a questa folle rincorsa al gigantismo e decida di far propria la scommessa della sostenibilità, lavorando per un turismo più rispettoso dell’ambiente, più responsabile e più civile.
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