Il 12 marzo 1983, poco prima di compiere trentuno anni, Mario Mieli si tolse la vita nel suo appartamento di Milano. Era il penultimo dei sette figli di un affermato industriale ebreo e di una insegnante di lingue. Molti ricondussero allora quel gesto ai disturbi dell’umore e della personalità dei quali Mieli soffriva.

Nel 1974 era stato arrestato all’aeroporto di Heathrow, seminudo, mentre cercava un poliziotto con cui avere un rapporto sessuale. A Londra, fu prima incarcerato e poi ricoverato nella sezione psichica di un ospedale. Tornato a Milano, rimase per un mese in una clinica psichiatrica. «Sono stato definito uno schizofrenico paranoide, sono stato in ospedale, in manicomio per questo motivo» disse, qualche anno dopo, ricordando quel periodo. Negli ultimi anni della sua breve vita, soffrì ripetutamente di depressione.

Nel 1981, nel monologo che scrisse, Ciò detto, passo oltre, entrava in scena in abiti femminili, scagliandosi contro un uomo e parlando di suicidio, come riporta Laura Schettini (2015). È dunque probabile che i disturbi dell’umore e della personalità siano stati uno dei fattori che influirono sulla scelta di Mieli. La letteratura scientifica ci dice, infatti, che nelle società occidentali il 90% delle persone che si uccidono soffrono di questi disturbi. Ciò, naturalmente, non significa che tutti coloro che ne soffrono si uccidono, ma solo che corrono maggiori rischi di suicidarsi del resto della popolazione. 

Un altro potente fattore influì sulla decisione di quel giovane: era omosessuale, in una società nella quale chi si innamorava di una persona dello stesso sesso correva il rischio di nuocere alla sua immagine, di perdere la stima e l’affetto dei propri cari, di subire insulti e discriminazioni da parte di conoscenti e di estranei, di giungere a disprezzarsi e a odiarsi. Una società nella quale la stigmatizzazione subita poteva condannare gay e lesbiche a uno stato di stress continuo, nella quale l’omofobia poteva essere interiorizzata.

Mieli aveva fatto coming out quando aveva sedici anni, fondando poco dopo un circolo di poesia pensato come luogo di incontro di omosessuali. In quegli anni, nel suo romanzo autobiografico Il risveglio dei faraoni, ha scritto «di giorno andavo a scuola truccato, partecipavo alle occupazioni, di notte andavo a battere sotto il ponte della “Fossa” che è un po’ il cuore di Milano e quando piove molto sembra Venezia». A Londra aveva frequentato il Gay Liberation Front e in Italia nel 1971, all’età di diciannove anni, fondò con Angelo Pezzana il Fuori!, la prima associazione italiana del movimento gay. Negli anni seguenti, fu un attivissimo militante di quel movimento, creando e animando nuovi gruppi, viaggiando per l’Europa, scrivendo saggi di teoria politica a sostegno e guida dei gruppi omosessuali. Si vestiva spesso con abiti femminili e amava farsi chiamare Maria. A lui fu intitolato il Circolo di cultura omosessuale sorto a Roma subito dopo la sua morte.

Mario Mieli come Ferruccio Castellano, un altro omosessuale che si tolse la vita nel settembre di quell’anno, si era congedato dal mondo in punta dei piedi, senza far rumore, senza lasciare lettere o note. Ma Alfredo Ormando, un altro gay cattolico che il 13 gennaio 1998 si diede fuoco a Roma sul sagrato di San Pietro, lasciò detto perché lo faceva in alcune lettere:

«Perché devo vivere? Non trovo una sola ragione perché io debba continuare questo supplizio [...]. Nell’aldilà a nessuno farò drizzare i capelli e arricciare il nasino perché sono un omosessuale [...]. Non capisco questo accanimento. Non svio nessuno dalla retta via dell’eterosessualità, chi viene a letto con me è maturo, cioè adulto consenziente e omosessuale e bisessuale [...]. È da quando avevo dieci anni che vivo nel pregiudizio e nell’emarginazione, ormai non riesco più ad accettarlo, la misura è piena. [...] Spero che capiranno il messaggio che voglio dare: è una forma di protesta contro la Chiesa, che demonizza l’omosessualità, demonizzando nel contempo la natura, perché l’omosessualità è sua figlia».

Che un orientamento omoerotico possa spingere, in presenza di altre condizioni, a togliersi la vita è stato messo in luce, già all’inizio del Novecento, dal medico tedesco Magnus Hirschfeld, al contempo un militante gay e uno dei più autorevoli sessuologi del tempo. Visitando uomini omosessuali, questo studioso aveva trovato nei loro corpi tracce di tentativi di suicidio, cicatrici di tagli vicino alle arterie e colpi di armi da fuoco sulla testa o sul torace. In base ai dati di alcune ricerche, Hirschfeld stimò che gli omosessuali avessero un tasso di suicidio più alto non solo degli eterosessuali, ma anche di quello – altissimo – degli ebrei durante le persecuzioni naziste. 

Molte cose sono tuttavia cambiate da quando Mario Mieli si tolse la vita. Gli omosessuali sono oggi molto più accettati di un tempo dagli eterosessuali e subiscono meno di un tempo insulti e discriminazioni. È vero che, ancora nel 2011, secondo una vasta indagine dell’Istat, il 47,6% degli italiani considerava «inaccettabile che una coppia di uomini che passeggia per le strade tenendosi per mano si scambi un rapido bacio». Ma è altrettanto vero che, in quello stesso anno, il 63% considerava «giusto che una coppia di omosessuali che convive, pur non sposandosi, possa avere per legge gli stessi diritti di una coppia sposata». Cosa ancor più importante, l’11 maggio 2016, il Parlamento italiano ha approvato la legge sulle unioni civili. 

Che effetto ha avuto questo mutamento sullo sviluppo della personalità degli omosessuali, sull’immagine che essi hanno di sé e sulla loro autostima? È diminuita la frequenza con la quale essi si tolgono la vita? Né in Italia né in nessun altro Paese del mondo, vi sono i dati che permettano di dare una risposta rigorosa a questo interrogativo, perché fra le informazioni sulle persone che si uccidono manca quella sul loro orientamento sessuale.

Una recente ricerca curata da Gianpiero Dalla Zuanna e Daniele Vignoli, condotta su due campioni di studenti di economia e statistica nel 2000 e nel 2017, può tuttavia aiutarci a capire cosa sta accadendo. Da essa risulta che fra gli studenti di sesso maschile intervistati nel 2017, il senso di inadeguatezza è minore fra gli eterosessuali che fra coloro che si sentono attratti da persone dello stesso sesso e si definiscono omosessuali. Fra le studentesse, le differenze fra omo ed etero sono ancora più nette e riguardano anche i disturbi del sonno e dell’appetito. Dunque, i giovani omosessuali italiani vivono oggi in uno stato di stress più frequentemente di quelli eterosessuali. Ma è probabile che le differenze fra i primi e i secondi siano oggi molto minori di quando Mario Mieli si è tolto la vita.