Un ingegnere aeronautico svedese, Nils Bohlin, e una delle principali aziende di automobili europee, la Volvo, negli anni Cinquanta comprendono quanto sia importante che conducente e passeggeri, in caso di urto, non vengano catapultati violentemente in avanti. Dopo anni di studi, nel 1958 realizzano la cintura di sicurezza a tre punti, registrandola con brevetto libero in modo tale da renderla utilizzabile senza costi aggiuntivi anche da altre case automobilistiche. La Volvo la monta di serie dapprima sulla PV544, auto prodotta a partire dal 1959, e successivamente, dal 1963, la estende a tutta la propria gamma in produzione.
Nel 1968 le cinture di sicurezza diventano avvolgibili, in grado di bloccarsi in caso di incidente; nel 1991 si aggiunge la possibilità di regolare la cintura in altezza e l'anno dopo i pretensionatori, che in caso di impatto bloccano le cinture, mantenendo il corpo saldamente assicurato al sedile (funzione fondamentale per le autovetture dotate di airbag: in caso di incidente l’airbag si attiva gonfiandosi con una vera e propria esplosione che, nell’impatto con il torace o con la testa dei passeggeri, può causare lesioni anche gravi). Nel frattempo, dai primi anni Settanta, le cinture sono diventate obbligatorie in molti Paesi: Cecoslovacchia (1969), Danimarca (1970), Francia (1973), Spagna (1974), Belgio, Finlandia, Olanda e Svezia (1975), Germania (1976), Australia (1969 o 1970 a seconda dello Stato), in alcuni Stati degli Usa (1975).
In Italia, quello che per molti oggi è automatico – allacciarsi le cinture una volta entrati in auto – è un gesto in realtà relativamente recente. Nel 1976 viene introdotto l’obbligo di dotare tutte le autovetture nuove degli attacchi per le cinture di sicurezza, ma è solo la legge 111, dell'11 aprile 1988, che ne rende obbligatorio l’uso sui sedili anteriori, a fronte di sanzioni economiche per gli inadempienti. Nel 2003, con la “patente a punti”, si aggiunge anche la decurtazione di 5 punti. Dal 2006 diventa obbligatorio usarla anche sui sedili posteriori.
Allacciare le cinture in auto è un gesto relativamente recente: dal 1976 vige l’obbligo di dotare tutte le autovetture nuove di attacchi per le cinture, ma solo nel 1988 se ne rende obbligatorio l’uso sui sedili anteriori
Come sono andate le cose, nella pratica? La legge 111 ha dato subito dei frutti. Se negli anni Ottanta, con un parco auto circolante ancora sostanzialmente sprovvisto sia di cinture sia dei relativi ancoraggi, il ricorso alle cinture di sicurezza coinvolgeva più o meno solo il 10% degli utenti, a partire dal 1989 l’introduzione dell’obbligo ha determinato un rapido innalzamento dell’uso (83%). Tuttavia, con il passare del tempo, il rispetto della norma è nuovamente diminuito.
Dal 2000, anche a seguito del primo Piano nazionale della sicurezza stradale (che aveva l’obiettivo di ridurre del 50% i morti sulle strade entro il 2010), il monitoraggio dell’uso della cintura di sicurezza è stato effettuato dall’Istituto superiore di sanità con il ministero dei Trasporti e della mobilità sostenibili attraverso il “Progetto Ulisse”. Si tratta di un modello osservazionale in cui si effettua la conta dei viaggiatori con cintura allacciata o meno e la si elabora per il riporto all’universo di quanti viaggiano. Questo progetto ha mostrato che nel 2018 la percentuale di utilizzo della cintura di sicurezza osservata sulle strade urbane risulta pari al 62% per i sedili anteriori e all’11% per i sedili posteriori.
L’uso della cintura di sicurezza è monitorato anche dal sistema di sorveglianza Passi, che raccoglie, attraverso indagini campionarie, informazioni dalla popolazione italiana (18-69 anni). Secondo Passi, nel quadriennio 2017-2020, l’86% degli intervistati ha dichiarato di allacciare regolarmente la cintura anteriormente (guidatore o passeggero), mentre solo poco più del 25% degli intervistati ha dichiarato di indossarla stando dietro. Sia dal Progetto Ulisse sia dal sistema di sorveglianza, comunque, emerge un forte differenziale nell'uso della cintura tra Nord e Sud, con le regioni del Mezzogiorno che mostrano una quota inferiore addirittura di 20 punti percentuali.
I livelli di uso delle cinture di sicurezza in Italia restano di gran lunga inferiori alla media europea, che è pari al 93% per i sedili anteriori e 79% per quelli posteriori
I livelli di uso delle cinture di sicurezza in Italia restano ad ogni modo di gran lunga inferiori alla media europea, che è pari al 93% per i sedili anteriori e 79% per quelli posteriori. Eppure, la cintura di sicurezza è un dispositivo di sicurezza passiva – limita cioè le conseguenze di un incidente, ma non il suo verificarsi – molto efficace: si stima che riduca la probabilità di morte del 48% per i conducenti e del 37% e 44% rispettivamente per i passeggeri sui sedili anteriori e posteriori. Però, nel nostro Paese è ancora diffusa l'idea (e la pratica) che la fa allacciare soprattutto in autostrada e sulle strade extraurbane, laddove è invece sulle strade urbane, grazie alle velocità contenute, che la cintura svolge al meglio la propria funzione.
Le possibili politiche per incentivarne l'uso sono diverse. Per il decennio 2021-2030 l’Unione europea ha stabilito di dimezzare il numero dei decessi e dei feriti gravi ed ha impegnato i Paesi membri nel monitoraggio di otto indicatori, tra cui la percentuale di persone che usano correttamente cinture e seggiolini. Ma molto possono fare la normativa e contrasto ai comportamenti scorretti, il ricorso alle nuove tecnologie e le iniziative di educazione e sensibilizzazione, l’installazione per tutti i sedili un sistema avanzato con avvisi acustici e visivi se le cinture sono slacciate, l’intensificazione delle campagne di controllo a livello europeo, come la Operation Seatbelt, svolta nel mese di marzo 2021. In un recente sondaggio europeo, d'altra parte, solo il 26% degli intervistati ha riferito di ritenere probabile un controllo sull’uso cinture di sicurezza in auto. C'è ancora da lavorare per rafforzare una cultura della mobilità senza vittime.
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