Il 10 febbraio 1952 viene posizionata in piazza San Babila, a Milano, la prima cabina telefonica italiana. L’introduzione delle cabine telefoniche costituisce, per l’Italia del periodo, un tentativo di superare l’enorme sete comunicativa che il Paese aveva accumulato nel tempo: infatti, il servizio telefonico avviato nei primi anni Ottanta dell’Ottocento è rimasto un bene riservato a un’élite della popolazione almeno per i primi cento anni della sua storia. Per esempio, nel 1952, nel Paese ci sono in media 2,42 abbonati al telefono ogni 100 abitanti (B. Bottiglieri, Sip. Impresa, tecnologia e Stato nelle telecomunicazioni italiane, Franco Angeli, 1990).
Le ragioni di questa arretratezza sono molteplici. Anzitutto, i costi elevati: per lungo tempo, l’abbonamento telefonico se lo possono permettere solo gli aristocratici e i borghesi, tanto che un genere cinematografico in voga negli anni del fascismo, in cui sono raccontate storie senza tempo delle élite culturali, prende il nome di “cinema dei telefoni bianchi”, dove il telefono bianco in bakelite è sinonimo di benessere sociale.
Una seconda ragione della crisi telefonica si deve alla perdurante incertezza politica nella regolamentazione del telefono: i vari governi, fin dall’Ottocento, hanno oscillato tra l’idea che il telefono fosse un servizio pubblico gestito dallo Stato o dovesse essere dato in concessione ai privati e hanno adottato leggi penalizzanti per la diffusione del mezzo (come scrivo in Le origini del telefono in Italia. Politica, economia, tecnologia e società, Bruno Mondadori, 2011). Anche a causa dei limitati investimenti, il servizio telefonico italiano per larga parte del Novecento è vittima di vari malfunzionamenti: è complesso prendere la linea, ci sono varie interferenze che mettono gli abbonati in contatto con estranei, la qualità sonora della comunicazione è scarsa. Tutto questo ce lo ricorda anche Carlo Emilio Gadda in un passaggio del suo Pasticciaccio.
Ma non essere abbonati al servizio significa non usare del tutto il telefono? In realtà, fin dal principio, gli apparecchi telefonici non si trovano solo nelle case degli abbonati. Specie nell’Italia rurale tra le due guerre e nel Secondo dopoguerra, prosperano i cosiddetti posti telefonici pubblici (Ptp) installati presso bar, edicole, osterie e in generale locali aperti al pubblico, dove i gestori fungono spesso da centralinisti e vanno a chiamare a casa la persona cercata oppure prendono appuntamenti telefonici per conto di terzi. Le insegne gialle che stilizzano un disco combinatore segnalano la presenza di un telefono pubblico e restano ancora oggi, come rovine del tempo passato, sulle facciate di alcune abitazioni.
Oltre ai telefoni pubblici, ci sono anche le case degli altri abbonati che, raccontano le cronache dell’epoca, sono spesso infastiditi da qualche vicino che chiede di poter fare una veloce chiamata o ricevere una chiamata dei parenti. Oneri e onori di possedere un telefono: status symbol che denota ricchezza, ma, talvolta, anche strumento agognato e sfacciatamente richiesto dal vicinato.
La cabina in sé diventa uno spazio architettonico, chiuso o semi-aperto, ben riconoscibile e addirittura simbolico per un Paese intero: si pensi a quanto le cabine rosse siano divenute una delle glorie della Gran Bretagna
Insomma, la cabina telefonica è un esempio di apparecchio telefonico fuori dalla propria abitazione. Negli ultimi trent’anni del Novecento, le cabine telefoniche hanno una grande fortuna in Italia, come in altri Paesi, e diventano una presenza diffusa nei paesaggi sia urbani sia rurali. Ne nascono a migliaia e punteggiano di colori il territorio: strutture in genere gialle nell’epoca del disco combinatore e della Sip (un’immagine dall’Archivio storico Telecom) si trasformano in rosso mattone (anche per l’effetto sbiadente del sole) quando comincia ad arrivare il telefono a tastiera e la Telecom Italia. La cabina in sé diventa insomma uno spazio architettonico, chiuso o semi-aperto, ben riconoscibile e addirittura simbolico per un Paese intero: si pensi a quanto le cabine rosse siano divenute una delle glorie della Gran Bretagna, nonché soggetto tra i più fotografati o riprodotti come souvenir.
Alla cabina telefonica e al telefono pubblico si combinano poi vari oggetti: per citarne un paio, il gettone, ossia una moneta coniata apposta per telefonare ma che viene via via accettata anche in cambio delle lire, e la scheda telefonica, una carta ricaricabile per telefonare e oggetto di un collezionismo alimentato dalla Sip stessa (qui una galleria fotografica di schede telefoniche dall’Archivio storico Telecom).
Attorno alla cabina telefonica per qualche decennio si sono sviluppate storie d’amore adolescenziali o extra-coniugali che non possono passare attraverso le cornette di casa e le orecchie di genitori o partner; gli immancabili scherzi telefonici oppure le minacce dei criminali, in entrambi i casi coperti dall’anonimato; le urgenze di chi è in viaggio e non può attendere di tornare in ufficio o a casa per comunicare o richiedere delle informazioni – e che spesso deve invece attendere in fila davanti alla cabina, ascoltando le dichiarazioni d’amore di un estraneo/a. Ma le cabine telefoniche sono state anche e soprattutto luoghi di incontri, di varie esperienze umane e di rincorse, ancora una volta condite da inefficienze tecnologiche, come una breve ma epica scena di Troppo forte di Carlo Verdone (1986) mostra in un intreccio tra amante, amata, prostitute e loro clienti.
Questo ruolo della cabina comincia a declinare quando un mezzo simile e, all’apparenza, alternativo emerge: il cellulare. Il telefono mobile arriva in Italia dagli anni Settanta del Novecento, ma entra nelle abitudini dei cittadini solo nel corso degli anni Novanta. Cabina telefonica e telefonino hanno alcune similitudini: sono mezzi che portano la sfera privata in pubblico (ormai tolleriamo di ascoltare i fatti altrui in strada, ma questo percorso di metabolizzazione è stato lungo) e sono strumenti che in genere si usano in mobilità e quindi mentre ci si sposta nello spazio. L’arrivo di un medium personale e che accompagna l’utente nei suoi movimenti ha messo in crisi la cabina telefonica, che pure prima di ridimensionarsi ha provato ad esempio a reinventarsi: dagli anni Novanta, infatti, dai telefoni nelle cabine si comincia a poter scrivere sms o mail, inviare fax, navigare sul web, specie nell’epoca precedente gli smartphone.
La cabina rappresenta anche un servizio pubblico in grado di dare un’opzione telefonica a chi non ha un cellulare, non lo sa usare, non può permetterselo per i costi elevati, per chi addirittura non ha un’abitazione e vive in strada
Dall’inizio degli anni Duemila, c’è stata una contrazione delle cabine telefoniche in Italia e Telecom ha via via smantellato vari telefoni pubblici, che hanno un costo di manutenzione alto per le aziende telefoniche. Ma le cabine sono davvero sparite? La stessa Telecom Italia, nel suo sito web costantemente aggiornato, invita a “Trovare il telefono pubblico più vicino”, indicando anche le motivazioni: “Devi fare una chiamata d'emergenza e la batteria del tuo cellulare è scarica? Seleziona la tua regione e scarica la lista dei telefoni pubblici attivi”. Ma, a pensarci bene, la cabina telefonica non esplicita una sua funzione solo quando la batteria dello smartphone è a terra. Rappresenta ancora un servizio pubblico in grado di dare un’opzione telefonica a chi non ha un cellulare, non lo sa usare, non può permetterselo per i costi elevati, per chi addirittura non ha un’abitazione e vive in strada.
Da un dato Telecom Italia di qualche anno fa (2017), si parla di 40 mila cabine presenti in Italia, 18 mila delle quali attive. Di più: la cabina telefonica è anche oggetto di un fenomeno di riconversione mediatica e, in alcuni Paesi, tra cui anche l’Italia, alcune cabine hanno preso a ospitare piccole biblioteche di book crossing, in cui cioè prendere o lasciare libri in prestito. Dal telefono al libro, dalla cabina telefonica alla cosiddetta “biblio-cabina”.
Ma, forse più di tutto il resto, la cabina telefonica è uno spazio di comunicazione ancora così simbolico perché centrale nella memoria e nella nostalgia collettiva: ci parla di un’epoca pre-digitale e pre-smartphone, in cui però le comunicazioni telefoniche stavano esplodendo e uscendo dal segreto delle abitazioni. Ci parla di gesti e oggetti passati (pensate al suono dei gettoni scaricati una volta appeso il ricevitore) e di un’epoca in cui la comunicazione era, o ci sembrava, più lenta. Parla, ad alcuni di noi, di adolescenza. Anche per questa ragione, un’ennesima vita della cabina è emersa negli ultimi anni: il circuito del collezionismo e le fiere del modernariato ospitano, a prezzi esorbitanti, vecchi telefoni pubblici non funzionanti, insegne o addirittura box interi.
Riproduzione riservata