Per i giovani consumatori di oggi nulla è più facile di un acquisto online: da Amazon a eBay a una miriade di altri siti specializzati, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Un pagamento digitale e una consegna iperveloce a domicilio, magari il giorno dopo. È una storia tutta concentrata negli ultimi decenni, quasi l’epitome della modernità tecnologica.
Quegli stessi consumatori spesso ignorano però che questo metodo ha avuto un importante precedente storico, che in qualche modo ha mostrato la via da percorrere: le vendite per corrispondenza. Nate a metà Ottocento per alcuni prodotti specializzati, come ad esempio le sementi e i fiori della veneta Sgaravatti, in Italia, oppure a livello di massa, negli Stati Uniti, per servire capillarmente l’immenso mercato rurale, le vendite per posta hanno avuto un’enorme diffusione. A fine Ottocento alcune imprese per la vendita di articoli di largo consumo, come la Sears, Roebuck & Co. e la Montgomery Ward, erano tra le più sviluppate del settore commerciale.
Anche in Italia, come detto, non mancavano varie proposte, ma erano pensate principalmente come supporto alle vendite dirette in negozio, come avveniva per le telerie e i primi grandi magazzini (Rinascente e Mele). Le cose cambiano con il miracolo economico degli anni Cinquanta. Si comincia a guardare con interesse a nuove forme di marketing: il balzo industriale e la maturazione del mercato interno portano un’offerta e una varietà di merci di produzione, nazionale o estera, senza precedenti e un potere d’acquisto maggiore e più diffuso tra tutti gli strati sociali.
Le cose cambiano con il miracolo economico degli anni Cinquanta. Si comincia a guardare con interesse a nuove forme di marketing: il balzo industriale e la maturazione del mercato interno portano un’offerta e una varietà di merci di produzione
È in questo contesto che si inserisce l’innovativa offerta della Postalmarket, la prima grande impresa italiana dedita unicamente alle vendite per catalogo. L’idea è di una protagonista della finanza milanese, Anna Bonomi Bolchini, ideatrice nel 1959 della «Postal Market italiana» (nome ufficiale dal 1966), che intende mettere a frutto le esperienze maturate all’estero. Nell’ottobre 1960 viene pubblicato il primo catalogo, con prodotti artigianali destinati soprattutto all'estero. Da quella prima versione si passa in breve a un ricco assortimento di oltre ottocento articoli studiati per la clientela italiana.
L’azienda pubblica così due volte all’anno il suo bellissimo catalogo illustrato, ricco di referenze: abbigliamento (in maggioranza), libri, articoli per la casa, tessili, oggetti per il tempo libero e molto altro. I prodotti vengono ricevuti a casa con la garanzia «soddisfatti o rimborsati», spediti celermente dal magazzino centrale (dove lavorano in maggioranza donne). La spinta all’acquisto ha molteplici motivazioni: in primo luogo, il prezzo conveniente rispetto a quello dei negozi; poi la comodità di un acquisto da casa, soprattutto se si abita in zone poco servite commercialmente; infine la varietà dell’assortimento proposto.
All’inizio in realtà i problemi non mancano. A differenza degli Stati Uniti, in Italia non si tratta di rifornire agricoltori lontani da qualunque centro urbano, bensì di vincere un’atavica diffidenza nel comprare prodotti senza commessi e senza una diretta visione: questo presuppone un notevole grado di fiducia nel fornitore e una certa abitudine ai nuovi metodi di vendita. Come dichiarerà nel 1963 il direttore di Postalmarket, Mario Toletti: «Una iniziativa del genere non è facile, soprattutto tenendo conto del nostro pubblico, in gran parte alieno da innovazioni, diffidente e abituato ad acquistare "toccando". Però siamo stati incoraggiati da una rispondenza impensata» (intervista su «Il Giorno», 24 novembre 1963). A causa di questo tipo di domanda commerciale, gli anni Sessanta non segneranno per il settore un periodo di grande sviluppo, contrariamente a quanto avverrà all’estero; si pensi che la quota di mercato delle vendite per corrispondenza era il 5% in Germania e Gran Bretagna, l’1,2% in Francia, l’1% in Olanda e Belgio, e solo lo 0,5% in Italia.
A partire dal decennio successivo, la Postalmarket si afferma invece pienamente, come pure altre aziende del settore (come la tedesca Vestro, che si insedierà a Milano nel 1961). La grande disponibilità di articoli e la crescente diffusione della pubblicità anche televisiva contribuiscono a creare nuovi bisogni, ai quali la rete commerciale tradizionale non sempre riesce a rispondere. I cataloghi aziendali diventano sempre più corposi e le copertine presentano spesso dive famose e, più avanti, top-model. Nel 1983 il fatturato di Postalmarket cresce fino a 240 miliardi di lire, sia pure fra gli alti e bassi dovuti alla congiuntura economica; il magazzino ha una elevata rotazione di 3-4 volte l’anno; e una famiglia italiana su cinque riceve per posta il catalogo (con prezzi bloccati per sei mesi). Il periodo d’oro dura almeno fino agli anni Novanta.
La grande disponibilità di articoli e la crescente diffusione della pubblicità anche televisiva contribuiscono a creare nuovi bisogni, ai quali la rete commerciale tradizionale non sempre riesce a rispondere
Le difficoltà poi si faranno sentire nuovamente. In primo luogo, restano i problemi tradizionali, a cominciare dalle lentezze e dai costi del servizio postale, per cui succede che passino anche venti giorni dall’ordine alla consegna; inoltre, a differenza delle vendite in negozio, le vendite postali scontano un ritardo nell’incasso, creando quindi maggiori problemi finanziari. Ma soprattutto cambia il mercato: continua a crescere e diversificarsi il numero di articoli richiesti dai clienti, a fronte dei limiti legati ai magazzini esistenti e ai cataloghi; sale in particolare la richiesta di nuovi prodotti tecnologici che presuppongono un’assistenza pre- e postvendita, che non si può garantire (e quindi non sono venduti); la tradizionale centralità del tessile/abbigliamento diminuisce, anche se si reagirà proponendo i prodotti italiani griffati del nuovo made-in-Italy.
La Postalmarket è messa in vendita da Bonomi nel 1993 e inizia da allora una lunga e complicata storia. All’inizio viene acquisita dalla tedesca Otto Verstand, leader delle vendite per posta, che però si ritirerà nel 1998, adducendo problemi economici e di consegne postali. Segue una fulminea parabola: quella di Eugenio Filograna, imprenditore e politico dalle mille iniziative, che cerca di rilanciarla tentando pionieristicamente la via di Internet e uno sbarco in Borsa. Ma il suo tentativo fallisce nel giro di pochissimo tempo e l’impresa finisce in amministrazione straordinaria.
Un ulteriore tentativo viene tentato dal gruppo Bernardi di Udine, legato alla francese La Redoute, la quale in seguito acquisisce l’impresa nel 2007. Infine, dopo varie vicende, il marchio viene acquisito da Stefano Bortolussi con alcuni soci, che rilancerà la nuova Postalmarket nel 2021, pensata ora principalmente come sito di vendite online affiancato da un essenziale catalogo cartaceo in vendita nelle edicole. Con nuove modalità, la storia continua.
Quel che è certo, è che nell’Italia degli anni Sessanta Postalmarket rappresenta un piccolo miracolo di innovazione, che sfrutta al meglio le economie di scala, la capacità di gestione di filiere di approvvigionamento corte e lunghe, e nuove forme di fidelizzazione dei clienti, scontando però problemi strutturali legati agli aspetti finanziari e di spedizione. Forse solo adesso, grazie a Internet, pagamenti digitali e una nuova logistica, stiamo sperimentando al meglio le potenzialità di queste vendite, anche perché siamo ormai abituati alle vendite indirette. L’esperienza della piccola e pionieristica «Amazon italiana» non è trascorsa invano.
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