Questo articolo fa parte dello speciale La pandemia degli altri
3 marzo. Il primo ministro Boris Johnson si vanta di essere stato in un ospedale e di aver stretto le mani dei pazienti affetti dal Coronavirus.
5 marzo. Si registra la prima vittima inglese del Covid19: una signora anziana ricoverata al Royal Berkshire Hospital di Reading.
Dal 2015 vivo con la mia famiglia a Bristol. È sera e mia moglie e io stiamo mettendo a posto la cucina mentre i nostri due bambini iniziano caoticamente a prepararsi per andare a letto. Alla notizia della prima morte ufficiale per questo virus, mia moglie lancia un commento cinico sull’ospedale di Reading, che lei conosce molto bene poiché è stato il secondo posto dove ha lavorato in questo Paese, poi mi avverte che in Gran Bretagna sarà peggio che in Italia, perché la Nhs, il sistema sanitario nazionale, è più a pezzi di quello italiano. A questa frase rimango paralizzato a fissare l’interno del cestino dell’umido. Più tardi ci metto forse mezz’ora a lavarmi i denti guardandomi nello specchio. La notte non dormo. Il giorno dopo comincio la mia solitaria campagna di avvertimento agli inglesi della imminente situazione. Senza successo. Ho passato le prime due settimane di marzo sentendomi come una civetta sul ramo di un albero che osservi ogni passante con un messaggio impresso negli occhi spalancati: «moriremo tutti».
Le persone con cui parlo sembrano infastidite dalle mie preoccupazioni. Le risposte più fantasiose che ricevo sono che gli inglesi non sono come gli italiani, che vanno fuggendo dai focolai, e che la Gran Bretagna, essendo un’isola, ha un vantaggio rispetto al continente. Come se il virus si possa fermare alle coste della Francia settentrionale sopprimendo i traghetti da Le Havre e Calais.
12 marzo. Sono insieme a mia moglie davanti alla televisione ad aspettare la prima conferenza stampa di Johnson che sa di grave ufficialità. La nostra fervida attesa di reclusioni in casa viene però tradita da un colpo di coda del primo ministro, che annuncia che molti dei nostri cari perderanno la vita prematuramente e che l’unico modo di evitare il contagio è lavarsi le mani, non toccarsi la faccia, non stringere le mani agli altri e, su tutti, il consiglio rivolto agli ultrasettantenni: non andate in crociera. Poi si contraddice affermando che lui e il suo team scientifico credono nell’immunità di gregge, quindi meglio che ce lo pigliamo tutti ’sto virus una volta per tutte così da sviluppare questo super-potere. Seguono una serie di grafici che si scoprono essere freddi calcoli matematici fatti da qualcuno della London School of Hygiene. Mia moglie, il medico in famiglia, incurante della mia ansia galoppante, sembra prima essere convinta dei numeri, poi mi dice no, se le cose rimangono così sarà un’ecatombe.
13 marzo. Un articolo del «New York Times» ricorda come Boris Johnson abbia affermato che il suo eroe politico è Larry Vaughn, il sindaco del film Lo Squalo, per come controlla l’isteria di massa lasciando le spiagge di Amity Island aperte nonostante la minaccia del pericoloso predatore in prossimità delle coste. Per qualche giorno il Regno Unito è diventato Amity Island e Johnson il nostro Larry Vaughn, trasformando di fatto il Sars-Cov-2 in un carcarodonte affamato.
Qualcuno nel Paese dubita delle teorie del governo. I supermercati vengono assaltati. I primi desaparecidos sono carta igienica, farina, lievito, baked beans, pasta e riso. Saltano diversi eventi pubblici, alcuni uffici fanno lavorare da casa i dipendenti e qualche scuola decide di chiudere per mancanza di staff. Si svolgono regolarmente sia la Cheltenham Cup (67.500 spettatori) sia il concerto degli Stereophonics a Cardiff (7.500 spettatori).
Quel giorno io sono ancora in fase paranoica. Devo girare un video nei sotterranei del teatro Colston Hall. Il mio manager stringe la mano a tutti. Io mi limito a fare battute goffe sulla mia nazionalità e a offrire colpetti gomito a gomito.
15 marzo. Il primo decesso a Bristol risale al giorno prima. Un ex poliziotto di 57 anni. Approfitto del raffreddore che ha colpito mia figlia di due anni. Questo, per regolamento, mi permette di chiedere quattordici giorni a casa. Ne parlo con il mio manager che davvero non capisce la mia agitazione, così decide di darmi due settimane di malattia, ma non per mia figlia, bensì per la mia salute mentale. Dice che basta essere ragionevoli: non stringere mani, non frequentare luoghi affollati e tutto andrà bene. Dopodiché mi comunica che lunedì non sarebbe andato al lavoro perché ha prenotato un giorno in spa con il fratello, inclusi sauna e massaggi al viso.
16 marzo. Non vado più in ufficio e ho ritirato mia figlia dall’asilo. In un comunicato il governo sconsiglia il frequentare pub, teatri e cinema. Il giorno dopo Stanley Johnson, padre del nostro primo ministro, in un’intervista annuncia che non ha alcuna intenzione di rinunciare al pub.
18 marzo. Il governo capisce che bisogna fare di più. Forse a causa delle pressioni della stampa e dell’Oms, annuncia che le scuole verranno chiuse a partire da venerdì 20. Mio figlio crede che siano iniziate le vacanze estive. Nel frattempo, la Bbc annuncia che con l’idea dell’immunità di gregge si rischiano centinaia di migliaia di vite.
23 marzo. Johnson compare per la prima volta da solo in un video alla nazione. È inquadrato a mezzo busto, dietro la sua scrivania. Le cose cominciano a farsi serie anche se siamo tutti d’accordo che si è perso del tempo prezioso, nonostante il vantaggio rispetto all’Italia: il Regno Unito è in lockdown, ma possiamo ancora andare a correre al parco. Io passo il resto della serata seduto al buio in giardino nonostante il freddo.
26 marzo. Il governo garantisce ai lavoratori freelance l’80% di quello che hanno guadagnato in media nei precedenti anni fiscali, per un massimo di tre mesi. L’80% degli stipendi, dove possibile, diventa un modo per evitare le redundancies (casse integrazioni) anche per i dipendenti sotto contratto.
Tra gli amici italiani qui a Bristol conosco principalmente due categorie di lavoratori: ingegneri e chef. Gli ingegneri, con contratti a lungo termine, sono stati quasi tutti messi all’80%. Lo stesso varrebbe per gli chef di mia conoscenza, ma alcuni di questi sono a zero-hour contract (né malattie né ferie pagate) ed è ancora troppo presto per capire cosa succederà con gli stipendi di aprile. Queste somme devono essere anticipate dai datori di lavoro per poi essere ripagate dal governo. Ci sono persone disposte ad anticipare questi soldi e altri che o non sono disposti o non ne hanno le possibilità. Tra queste persone che conosco chi non sta avendo problemi sono due amici che lavorano alla Dyson, il colosso industriale locale di elettrodomestici che, su richiesta del governo, comincerà la produzione di 5.000 unità a settimana dei loro nuovi ventilatori CoVent nel vicino stabilimento di Hullavington. La Dyson sfrutta la sua collaudata tecnologia dei purificatori d'aria. I primi 5.000 ventilatori saranno donati alla Nhs.
Noi siamo fortunati. Mia moglie è una ricercatrice nefrologa e sta lavorando alla sorveglianza epidemiologica sul Covid19 per conto dello Uk Renal Registry. Sarà anche chiamata ad aiutare in ospedale quando le cose si faranno più gravi. Non dovrebbe restare senza lavoro. Io sono un videographer, ma a differenza di molti miei colleghi ho un contratto a tempo indeterminato con la University of the West of England, la più giovane delle due università di Bristol, per il vasto ufficio marketing. Il nostro rettore ha annunciato che le posizioni dello staff verranno valutate di mese in mese e che non ci dobbiamo preoccupare. Ovviamente ci stiamo preoccupando tutti, ma io per il momento continuo a montare da casa e quando serve esco per girare dei video. Dalla settimana prossima il centro conferenze della nostra Università, una struttura di 4.000 m², si trasformerà nel secondo Nhs Nightingale Hospital del Paese (dopo quello di Londra) e ospiterà fino a 300 pazienti. Un mio prossimo lavoro sarà quello di seguire con le telecamere la trasformazione del centro in ospedale e quello di documentare il deserto che è diventata Bristol.
La mia prima «spedizione» per le strade fantasma mi ha fatto constatare che le persone seguono alla lettera le restrizioni. Durante la mia passeggiata lavorativa, ho tolto la mascherina in prossimità del lungofiume in centro per respirare meglio. Voltandomi ho visto lo stradone alberato completamente vuoto. Non l’avevo mai visto così vuoto di giorno, nemmeno sotto la peggiore delle piogge. La statua dell’eroe locale Giovanni Caboto guarda verso l’orizzonte dove sfocia il fiume Avon, le acque che nel 1498 lo spinsero verso la misteriosa scomparsa nell’Atlantico. Con molta ironia, qualcuno gli ha piazzato una mascherina in faccia. Io gli dico «Riguardati, Giovanni, e non stringere le mani a nessuno».
:: La pandemia degli altri :: Parigi [Francesca Barca] / Barcellona [Steven Forti] / Bruxelles [Eleonora Medda] / Philadelphia [Massimo Faggioli] / Berlino [Fernando D’Aniello] / Tirana [Stefano Romano] / Amsterdam [Maria Panattoni] / Nur-Sultan [Stefano Raimondi] / Essen [Pasquale Guadagni] / Istanbul [Filippo Cicciù] / Umeå [Simone Scarpa] / Mosca [Loris Marcucci] / Bristol [Iacopo Di Girolamo] / Lugano [Eleonora Failla] / Zagabria [Giovanni Vale] / Lisbona [Simone Tulumello] / Toronto [Nicola Melloni] / Washington DC [Lorenza Pieri] / Leiden [Adriano Martufi] / Melbourne [Chiara De Lazzari] / Buenos Aires [Gioia Greco] / Okinawa [Eugenio Goi] / Maputo [Andreea R. Torre, Alessio Cangiano] / Chapel Hill [Serenella Iovino] / Londra [Elena Besussi] / Oslo [Roberta Cucca] / Rio de Janeiro [Gustavo Siqueira]
Riproduzione riservata