Questo articolo fa parte dello speciale La pandemia degli altri
Il Coronavirus ha coinciso con i miei 40 anni. Le mie amiche dovevano venire dall’Italia a Parigi il 7 marzo per la mia festa di compleanno. Non sono venute perché la settimana prima hanno deciso ‒ tastando il terreno molto più saggiamente di me ‒ di non partire «per sicurezza», perché «non è il momento»: in Italia le scuole erano già chiuse, al nord. In Francia era tutto normale.
Infatti, io non l’ho capito: mi è sembrato eccessivo ed esagerato. Né io né i miei amici a Parigi (italiani e francesi) abbiamo capito perché fosse necessario annullare un viaggio perché c’era «un’influenzona». Era il 27 febbraio e stavo bevendo un bicchiere di vino con la mia amica Elisa e il suo fidanzato, appena arrivato da Padova, dove risiede, mentre Elisa vive e lavora a Parigi.
E invece, passata la mia festa, che abbiamo fatto in un bar strapieno, bevendo e mangiando, abbracciandoci e baciandoci, in Italia hanno chiuso le «zone rosse». Da un giorno all’altro la nostra percezione ‒ e quando dico «nostra» parlo di me e degli amici italiani che ho qui ‒ ha cominciato a cambiare: arrivavano le telefonate preoccupate da casa, arrivavano i messaggi, leggevamo la stampa. E non capivamo. Abbiamo iniziato a stare più attenti tra di noi, un po’ almeno, a parlarne ai francesi che invece, esattamente come noi una settimana prima, continuavano a vivere la loro vita. Qualcuno, per qualche giorno, ci ha preso per paranoici (esattamente come io avevo fatto con le mie amiche), altri si preoccupavano sinceramente, restando convinti che «qui non arriverà così» e che «la sanità italiana si sa…».
La vita era normale ma tutto era fatto con un po’ d’ansia, con l’idea che presto ci saremmo trovati bloccati anche noi, in un rapporto di reale e irreale sovrapposto, dove «sai», dove «vedi». E dove non credi. Un po’ il contrario di San Tommaso, non basta toccare la piaga. Non basta sentire la puzza. Perché questa cosa non è nella logica della realtà che conosciamo. Tocchi la piaga, senti la puzza. E pensi che ti stiano comunque prendendo per il culo.
Nonostante i morti in Italia raddoppiassero un giorno dopo l’altro, nonostante gli ospedali fossero al colmo, nonostante la stampa francese raccontasse quello che succedeva in Italia, la Francia ha vissuto in una bolla altri dieci giorni. Lo iato tra i racconti di persone in lacrime in Italia e le cene al ristorante o gli aperitivi a Parigi era stridente: mi sentivo in colpa, mi sentivo stupida, mi sentivo irresponsabile e mi sentivo viva, anche.
«Ma perché sono così lenti a reagire?», «La gente è scema», «Non capiscono nulla», «Si meritano quello che arriverà», ... Quante volte l’abbiamo già sentito, tutti quanti, questo ritornello? In quanti lo abbiamo pensato? Non mi piace pensare che la gente sia cretina, nonostante mi capiti su base quotidiana. O meglio, penso che siamo tutti cretini. Con l’aggravante che lo sono pure i nostri governanti. In un misto di stupore, incredulità, opportunismo e inadeguatezza il governo francese ha comunicato poco, male e in maniera contraddittoria. E non ha agito quando il tutto era evidente. Con l’Italia alle porte, con i contagi in aumento, non ha capito.Chi può prendere sul serio l’ipotesi che il mondo si metta, nel giro di tre mesi, in quarantena?
Il 6 marzo scorso, per esempio, Emmanuel Macron è andato al teatro Antoine con la moglie per ricordare ai francesi che «la vita continua, non ci sono ragioni, a esclusione delle persone fragili, di modificare le nostre abitudini di uscita». La Francia aveva «solo» 613 casi accertati e 9 decessi, più o meno gli stessi della Spagna. L’Italia 4.636 nello stesso momento. Il 7 marzo in Italia Giuseppe Conte firmava il decreto sulle zone rosse, le scuole erano chiuse dal 24 febbraio al Nord, quando ancora i contagiati erano meno di 1.000.
La chiusura delle scuole in Francia è stata annunciata il 12 marzo (a partire da lunedì 16), quando il Paese aveva 2.876 casi dichiarati. Il ministro dell’Istruzione, Jean-Michel Blanquer, fino alle 12 dello stesso giorno continuava a ripetere che le scuole non avrebbero chiuso. L’annuncio della chiusura delle scuole di Macron è andato in parallelo con quello del normale svolgimento delle elezioni amministrative previste per domenica 15 marzo. «Ho consultato gli scienziati a proposito delle elezioni municipali, il cui primo turno si terrà tra qualche giorno ‒ dichiarava incredibilmente Macron ‒ e secondo loro nulla impedisce che i francesi, anche i più vulnerabili, si rechino alle urne». Il 13 marzo, ancora, Blanquer ha ribadito che i concorsi pubblici non sarebbero stati annullati. L’annuncio ufficiale della sospensione è arrivato il 15 marzo. Il 14 marzo hanno chiuso tutto: negozi, bar, ristoranti. Solo il necessario (alimentari, farmacie, tabacchi, stazioni di servizio…) resta aperto.
Lunedì, passate le elezioni, Macron ha annunciato ai francesi che si passava alla fase tre: non ha mai pronunciato la parola «confinement», ma ha usato ben nove volte «guerre», pur presentando il tutto con toni delicati. Ha lasciato il resto al suo ministro degli Interni, Christophe Castaner, che un’ora dopo il discorso di Macron, in tono greve e un pelino autoritario, ha annunciato il lockdown dei francesi. E, in un sussulto di celodurismo, ha sottolineato che quelle delle Francia erano le misure «più dure d’Europa».
Quali sono queste misure? Restare in casa, anche qui. L’uscita è permessa solo per motivi di salute, per fare la spesa, per andare in farmacia o in aiuto a qualcuno, per una limitata attività sportiva. Come per l’Italia è necessaria un’autocertificazione, in mancanza della quale viene applicata una multa di 135 euro (38 euro iniziali passati a 135 dopo 5 giorni; in caso di recidiva si passa 1.500 euro e si arriva a 3.700 e fino a sei mesi di prigione). Nel frattempo da settimane non si trovano più mascherine (requisite dal governo), e il gel idroalcolico è un bene raro. Di fronte a una comunicazione governativa di questo tipo ‒ frammentata, contraddittoria, ambigua ‒ la domenica delle elezioni Parigi era piena di persone al parco e l'astensione alle amministrative ha toccato il record del 55,25% (era del 36,5% nel 2014).
Per quanto riguarda invece il leitmotiv «la sanità italiana, si sa…»: l’Italia pre-crisi contava 5.324 posti in terapia intensiva e 2.974 nei reparti di malattie infettive; la Francia è agli stessi livelli, se non inferiori: 4.500 posti in terapia intensiva. Qui, come in Italia, la sanità pubblica è profondamente, gravemente in crisi. Intanto perché i tagli sono costanti dagli anni Ottanta (obiettivo: abbassare le spese e ridurre di 100 mila letti il parco ospedaliero). E in secondo luogo perché, da marzo del 2019, il personale sanitario, soprattutto alle urgenze, è in sciopero: sono troppo pochi e mal pagati. Ci sono zone del Paese dove mancano i medici e le strutture, e in quelle esistenti non si fa abbastanza prevenzione, i letti non bastano. Per dare due numeri: oltre 60 mila posti letto sono stati eliminati tra il 2003 e il 2016, la metà dei quali in medicina e chirurgia.
Edouard Philippe e Agnès Buzyn sono stati denunciati da un collettivo di medici e altri rappresentanti del personale ospedaliero perché «erano coscienti del pericolo e disponevano dei mezzi per agire e hanno deciso, comunque, di non farlo». Agnès Buzyn è l’ex ministro della Salute (LREM): ha recentemente lasciato il suo posto per presentarsi alle elezioni per la carica di sindaco di Parigi dopo che l’ex candidato, Benjamin Griveaux, ha lasciato la corsa in seguito a uno scandalo di natura sessuale del quale avrete sentito parlare. Buzyn, in un’intervista ‒ patetica suo malgrado ‒ rilasciata a «Le Monde», ha dichiarato di aver allertato Philippe in gennaio sul fatto che le elezioni non si sarebbero dovute tenere a causa dell’epidemia di Coronavirus.
Mercoledì 18 marzo, secondo giorno del lockdown in Francia, ho ricevuto un pacco da mio fratello, che vive in Romagna. Mi ha fatto un po’ sorridere sul momento, ma non gliel’ho detto. Poi l’ho trovato di una tenerezza infinita. E infine mi ha commosso. Oggi mi dico che mi farà molto comodo, nonostante resti talmente lontano dalla realtà di ieri che ancora non si incastra in quella di oggi. Contiene 5 mascherine e una bottiglietta di gel idroalcolico.
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