Il 7 gennaio in diverse regioni d’Italia le scuole hanno riaperto dopo la pausa natalizia; domani, 10 gennaio, riaprono ovunque. Come tutti sappiamo, l’emergenza epidemiologica si è aggravata: la curva dei contagi si è impennata, toccando numeri mai raggiunti. Sappiamo anche che, grazie alla diffusione dei vaccini, la situazione è meno grave rispetto alle altre ondate: l’incidenza di malati gravi e decessi è più bassa. Il governo ha appena varato un decreto legge che, tra le altre cose, regola il rientro a scuola in questa situazione. In primo luogo, ha mantenuto il rientro in presenza per tutti i gradi di scuola; inoltre, ha definito le nuove regole per le quarantene delle classi in caso di contagi, cercando di preservare il più possibile la didattica in presenza.
Si è aperto subito un fronte di conflitto: diversi dirigenti scolastici hanno firmato un appello per chiedere invece un periodo di didattica a distanza, data la difficoltà di gestire i contagi in questa situazione. Questo ha portato alle solite contrapposizioni nette, Dad sì, Dad no, e a divisioni nel mondo della scuola che non aiutano nell’emergenza.
Che cosa non va, però, in questo decreto?
I tempi. Il decreto è stato approvato il 5 gennaio; alla mattina del 7, quando diverse regioni riportano in aula gli studenti, non era ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Forse i tempi della politica nell’emergenza giustificano una decisione talmente a ridosso del rientro, ma allora era forse necessario valutare un piccolo periodo di compensazione. Senza entrare nella discussione generale sulla Dad, si poteva rimandare fino al 10 gennaio il rientro in aula per tutte le regioni. Ogni scuola avrebbe potuto gestire la situazione in modo più efficace. Questo piccolo rinvio avrebbe permesso anche alle Asl di riprendere le attività, dopo il blackout del periodo natalizio, in cui sono saltati tutti i tracciamenti.
Il rientro in presenza. Il governo ha deciso per il rientro in presenza, nonostante l’aumento vistoso dei casi. Questo è giustificato dal fatto che, grazie ai vaccini, la situazione è più facilmente controllabile. Le opinioni sono divise, ma quello che manca è un discorso pubblico che sostenga e renda condivisibile questa posizione. Manca una «pedagogia politica», per capirci. Non basta fare dei decreti, delle leggi; bisogna articolare, sostenere e diffondere un discorso pubblico che diventi patrimonio condiviso, perché le regole possano essere accettate e applicate. L’immensa lacuna della nostra classe politica rende impossibile questo. Al di là del governo presente, il problema sono le forze politiche, che non sono capaci di farsi carico di un discorso di ampio respiro, e lungimirante, non legato al ritorno elettorale immediato.Non basta fare dei decreti, delle leggi; bisogna articolare, sostenere e diffondere un discorso pubblico che diventi patrimonio condiviso, perché le regole possano essere accettate e applicate
In questo contesto si pone il rapporto con i non vaccinati. L’impianto del decreto, combinato con l’ultimo del 2021, estende l’obbligo vaccinale in molte situazioni (lavoro, trasporti ecc.), sulla base del presupposto, statisticamente fondato, che le situazioni più gravi (ospedalizzazioni, decessi) si registrano tra i non vaccinati. Si tratta cioè di ridurre i rischi, pur mantenendo aperte le scuole. Anche questo è del tutto sensato, però bisogna saper presentare e rendere condivisibile un’idea, non imporla soltanto senza un discorso pubblico. Con i cosiddetti «no vax» non serve una contrapposizione netta, ma un dialogo rispettoso, se vogliamo preservare l’integrità del tessuto sociale.
La gestione del rientro. Una volta deciso di rientrare in presenza, bisogna dare gli strumenti per realizzarlo. In primo luogo, bisogna garantire maggiore flessibilità alle scuole. È evidente che ci saranno molti assenti non solo tra gli studenti, ma anche tra i docenti e in tutto il personale. Se i modi e i tempi per chiamare dei supplenti restano quelli che sono, lunghi e farraginosi, l’unico strumento sono sostituzioni interne, improvvisate ogni giorno; e difficili da fare con poco personale. Questo è solo un esempio. Ci vuole flessibilità nella gestione del calendario, anche, per esempio: lasciare alle scuole la possibilità di chiudere e recuperare dei giorni in altri momenti, data l’emergenza. E così via. Invece non sono stati presi in considerazione questi problemi organizzativi.Se vogliamo salvare la scuola in presenza dobbiamo garantire un alto numero di tamponi in tempi rapidi. Con decisioni e strutture di emergenza, da attuare subito a fianco del decreto appena approvato
Dove fare i tamponi. Il decreto prevede delle forme di «sorveglianza con testing» che richiedono l’esecuzione rapida dei tamponi, appena segnalato il caso, per poter restare in classe se si è negativi. I tamponi, ovviamente, servono nei tempi debiti anche per le quarantene. Tuttavia, con numeri così alti di contagi, la prenotazione dei tamponi nelle strutture delle Asl è diventata quasi impossibile, se non dopo lunghissime attese; e anche il ricorso ai tamponi in farmacia non sembra bastare. Se vogliamo salvare la scuola in presenza dobbiamo garantire un alto numero di tamponi in tempi rapidi. Con decisioni e strutture di emergenza, da attuare subito a fianco del decreto appena approvato. Per esempio, dei presìdi davanti alle scuole per garantire immediatamente i tamponi agli studenti, magari gestiti direttamente dall’esercito. In ogni caso, bisogna pensare soluzioni rapide e di emergenza, altrimenti gli studenti staranno a casa in attesa di fare il tampone, non perché la scuola è chiusa. Ma il risultato è lo stesso.
Far arrivare gli studenti a scuola. Un’ultima cosa, un dettaglio che rischia di essere una forma di discriminazione. Sulla base del decreto già approvato a fine dicembre, nei trasporti pubblici sarà necessario il «green pass rafforzato». Questo vuol dire che tutti gli studenti sopra i 12 anni che non lo hanno non potranno prendere i mezzi pubblici. Per molti studenti delle superiori (ma non solo) questo significa non poter andare a scuola. Non si può contare sul fatto che vengano accompagnati dalla famiglia. Sulle conseguenze di questa disposizione bisognerebbe riflettere, e vedere se è possibile correggerla.
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