Quest'estate ho incontrato un frate no-vax. Sosteneva che la pandemia fosse una punizione mandata dal Signore onnipotente per i peccati commessi dall'umanità, e i vaccini un'invenzione del demonio per convincere gli uomini che ci si può opporre all'autorità divina. Mi era passata per la testa l'idea di sfidarlo in un confronto pubblico; poi ho desistito, un po' per pigrizia, un po' perché non volevo approfondire la spaccatura che la sua predicazione aveva generato nella piccola comunità in cui era stato confinato. Tuttavia voglio tornare sulla questione per cercare di spiegare le ragioni del diffondersi tra un'ampia minoranza della popolazione, e non solo in Italia, della sindrome no-vax. Un fenomeno che non conosce confini, è trasversale alle classi di età, al genere, al livello di istruzione, alle ideologie, alle fedi religiose.
Le pandemie non sono un fenomeno nuovo. Ci sono sempre state, si diffondevano più lentamente, in modo più localizzato, lasciavano dietro di sé migliaia di morti, una parte cospicua delle popolazioni colpite. Solo un secolo fa, l'ultima grande pandemia, la «spagnola», procurò un numero enorme di decessi, le stime vanno da 20 a 100 milioni su una popolazione mondiale che non raggiungeva i 2 miliardi. Oggi siamo poco meno di 8 miliardi e finora la pandemia da Covid-19 ha causato poco più di 5 milioni di morti. Con un po' di memoria storica, questo dato dovrebbe rassicurarci. Vorrebbe dire che l'umanità è riuscita ad arginare questi fenomeni. Al contrario, c'è spesso sfiducia nei confronti della scienza, si diffonde un senso di incertezza che in molti casi sfocia in paura, collettiva e individuale.
La pandemia? Una punizione mandata dal Signore onnipotente per i peccati commessi dall'umanità e i vaccini, un'invenzione del demonio per convincere gli uomini che ci si può opporre all'autorità divina
L'incertezza nasce dall'accelerazione. Già l’avevo intuito Baudelaire: «la forma della città cambia più rapidamente del cuore di un mortale». Un tempo, quando la vita media di un essere umano era più breve, il mondo esterno non cambiava tra il tempo della nascita e il tempo della morte. Oggi, chi come me ha vissuto più di ottant'anni nell'arco della propria vita ha visto tante trasformazioni, anche nella quotidianità: la motorizzazione di massa, i voli low cost e l'esplorazione dello spazio extraterrestre, i treni ad alta velocità, la plastica, il tramonto della macchina da scrivere e l'avvento del computer, la diffusione degli antibiotici, la fine dei dischi in vinile e la loro sostituzione con le cassette e poi i compact disk; per non parlare dell'elettronica, della digitalizzazione e delle macchine intelligenti; e ancora, la bomba atomica, la fine del colonialismo, il crollo dell'impero sovietico, l'ascesa della Cina, l'esplosione demografica, le emissioni crescenti di CO2 e il cambiamento climatico. E potrei continuare. Molto ha a che fare col cambiamento scientifico-tecnologico e con i suoi effetti. In realtà da un paio di secoli si è messo in moto un processo vorticoso e accelerato di cambiamento che sembra inarrestabile e, soprattutto, largamente imprevedibile.
Una volta c'era chi pensava che tutto questo mutamento avesse un senso, che l'umanità si fosse messa in cammino verso qualche meta, forse lontana ma immaginabile. Oggi non ne siamo più certi. Alcuni hanno perso la fede nel progresso, altri annunciano la catastrofe e arrivano quasi a pensare che la specie stia correndo verso la propria estinzione. Chi ha ragione? Quali saranno i saperi utili per il domani? Quali saranno le professioni e i mestieri che sopravviveranno ai cambiamenti futuri? Difficile a dirsi. Dobbiamo imparare a vivere nell'incertezza e ad educare figli e nipoti a vivere nell'incertezza.
L'accelerazione infatti aumenta drammaticamente l'incertezza. Ma fa parte intrinseca della condizione umana. Le società umane hanno reagito all'ansia prodotta dall'incertezza elaborando, ognuna a suo modo, delle credenze religiose. Credenze che, postulando l'esistenza di un aldilà, di qualcosa dopo la morte, hanno placato (anche se mai del tutto eliminato) l'ansia dell'incertezza. Personalmente non posso dirmi credente, ma neppure non-credente. Cerco di fare a meno della religione. Mi accontento della fiducia (non della fede) nella scienza: fiducia e fede sono due modi diversi di accostarsi all'incertezza. Chi vuole certezza – diceva un mio maestro – vada in chiesa, non si rivolga alla scienza. La scienza non dà certezze, è una piccola lampadina che ci illumina la strada e ci permette di andare avanti a tentoni, il che è sempre meglio che andare avanti al buio.
Per molti, anche scienziati, la scienza è diventata un sostituto della religione e quindi hanno sviluppato una «fede» nella scienza, come se la scienza potesse fornire anch'essa delle certezze. Questo tipo di «fede» nella scienza ha ormai fatto il suo tempo (almeno dalla «relatività» einsteiniana e dal «principio di indeterminazione» di Heisenberg in poi). Se ciò vale per la fisica vale a maggior ragione per le scienze che studiano i comportamenti degli uomini, individuali e sociali. In ogni campo, gli scienziati possono al massimo offrire «ragionevoli certezze», formulare enunciati probabilistici, avanzare congetture che varranno fino a quando non verranno efficacemente confutate.
Non è vero che il conoscibile sia finito e che gradualmente e sistematicamente la scienza aumenti la conoscenza del mondo, in modo che progressivamente aumenta il conosciuto e si riduce l'ignoto. Semmai è vero paradossalmente il contrario
Gli enunciati della scienza non hanno solo limiti intrinseci ai suoi modi di conoscere (dopo tutto, la scienza è fatta da uomini che, singolarmente o collettivamente, sono fallibili). La conoscenza scopre sempre nuovi territori della propria ignoranza. Non è vero che il conoscibile sia finito e che gradualmente e sistematicamente la scienza aumenti la conoscenza del mondo, in modo che progressivamente aumenta il conosciuto e si riduce l'ignoto. Semmai è vero paradossalmente il contrario. Ogni scoperta individua ambiti di realtà di cui non sapevamo neppure l'esistenza. Mano in mano che procediamo con la conoscenza scopriamo la nostra ignoranza. Saggio non è chi sa tante cose, ma chi sa quanto grande sia la propria ignoranza, chi sa di non sapere. Ignorante è chi pensa di saperne abbastanza, chi non sa di non sapere.
In parte sono gli scienziati stessi i responsabili di una visione esageratamente ottimistica della scienza. Dal XV secolo in poi hanno accumulato quasi sempre solo successi, spesso accecati dal giustificato orgoglio per i risultati raggiunti; si sentono sull'onda del progresso e si ritengono i grandi benefattori dell'umanità. E non si può non dar loro ragione: tra l’altro hanno vinto molte malattie e consentito di raddoppiare la durata della vita media. La scienza medica ha talvolta assunto il volto della religione, con i suoi sacerdoti, onorati e celebrati nella facoltà mediche delle università. I medici, soprattutto, nel quotidiano esercizio della professione clinica, devono nascondere eventuali dubbi o incertezze perché devono ottenere fiducia dai loro pazienti e in fondo devono nascondere anche a sé stessi i dubbi, le incertezze e anche i limiti del loro sapere. Ci sono anche medici che sanno bene i limiti del loro sapere, ma il loro compito è dare ai loro pazienti ragionevoli certezze; il rapporto medico paziente si basa sulla fiducia.
La fiducia non è mai assoluta (se lo fosse, ripeto, sarebbe fede e sconfinerebbe nel terreno della religione), ma non può neppure scendere oltre una certa soglia, altrimenti non è più fiducia ma si trasforma nel suo contrario, cioè in sfiducia. Questo è il caso dei no-vax: in loro la sfiducia nella scienza ha preso il sopravvento. Non sono in grado di vivere nell'incertezza: e se il vaccino mi fa male, se da gravi effetti secondari, se comunque non mi garantisce l'immunità? Queste domande evidenziano il nesso tra incapacità di sopportare l'incertezza e paura. La paura, non dimentichiamolo, è un sentimento umano utilissimo, ci avvisa dei pericoli che sono reali, ci fa prendere delle misure per evitarli o almeno per evitare i danni maggiori. Il problema è quando la paura deriva dalla incapacità di sopportare l'incertezza e quindi costruisce dei pericoli immaginari.
Questa paura è un sentimento di chi evoca un forte bisogno di certezze e, in quanto tale, alimenta narrazioni alternative: le big pharma, oppure l'America, la Russia o la Cina, il terrorismo islamico, potenze alle quali, inconsapevolmente o colpevolmente, la big science si è di fatto asservita. Le visioni complottistiche rispondono alle paure e al bisogno di certezze. Non diversamente dal frate che nei vaccini anti-Covid19 vedeva lo zampino del demonio. Intendiamoci, non è che i complotti non esistano, siano solo invenzioni di menti attanagliate dalla paura. Esistono eccome e la storia ce ne offre un notevole repertorio. Qui mi interessano solo quelle visioni che sono legate alla sfiducia, che costruiscono pericoli e rischi immaginari e cercano così di sopperire alle certezze che la scienza, per sua intrinseca natura, non è in grado di dare.
L'interrogativo al quale rispondere non è perché sono diffusi il senso di incertezza e il sentimento della paura, ma piuttosto come mai in una quota della popolazione delle società avanzate questi tratti «normali» assumano una intensità tale da generare sfiducia generalizzata nella scienza (e forse anche in altre istituzioni) e quindi comportamenti, come quelli adottati dai no-vax, dannosi non solo per sé ma anche per il resto della collettività e refrattari a qualsiasi evidenza empirica. Ormai sappiamo con dati empirici sufficientemente fondati che i vaccini riducono la diffusione dei contagi, che i non vaccinati hanno una probabilità assai più alta di essere contagiati, ricoverati in ospedali, sottoposti a terapie intensive e anche alla fine di lasciarci le penne. Tutte fake news agli occhi dei no-vax.
Come accennavo all'inizio, l'armamentario delle variabili con le quali in genere si cerca di spiegare alcuni comportamenti collettivi (età, genere, grado di istruzione, origini sociali, appartenenza etnica ecc.) non sembrano assolutamente in grado di illuminarci sulla genesi e lo sviluppo del fenomeno no-vax. Può darsi che gli psicologi siano in grado di proporci qualche ipotesi di spiegazione. Può darsi che le ragioni siano remote, riconducibili ad esperienze infantili nel rapporto madre-bambino o padre-bambino che non hanno reso possibile la formazione di una fiducia primaria nei confronti del mondo. Non sono in grado di valutare l'affidabilità di queste spiegazioni e mi fido delle ricerche della psicologia infantile.
È comunque assai plausibile che l'eventuale predisposizione alla sfiducia che favorisce la sindrome no-vax sia alimentata e rafforzata dal fatto che i no-vax fanno comunità, molto spesso attraverso i social, e quindi elaborano collettivamente la loro visione del mondo che in tal modo trova continue conferme interpersonali e diventa impermeabile ad ogni smentita. Una comunità che, di nuovo, assume i tratti di una setta religiosa in un mondo di infedeli.
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