«L’opinione espressa da chi ha competenza in un certo campo, quando essa è stata acquisita con decenni di studi ed esperienza, ha più valore e pesa di più di quella di altri che in quel campo non ne hanno». Questa affermazione, sebbene così ovvia da sfiorare il lapalissiano, è sempre più controversa nel dibattito pubblico, tanto che talvolta viene denigrata con ostentato orgoglio. Nell’attacco che le è rivolto, le opinioni degli esperti sono descritte come meri appelli al principio di autorità, le loro posizioni come forme di elitismo, il loro atteggiamento come irrispettoso delle idee altrui. In sintesi, l’accusa che viene mossa è che quell’affermazione è contraria al dialogo democratico.
Questo attacco alla scienza non è nuovo, tanto quanto l’insofferenza del pubblico verso i risultati scientifici. Di recente, tuttavia, esso ha cambiato dimensioni nutrendosi e amplificandosi grazie al mezzo in cui l’informazione si propaga oggi molto frequentemente, cioè Internet. All’interno di questa piazza virtuale si trova di tutto, dalle nozioni scientifiche più raffinate alle teorie cospirazionali più strampalate: il luogo sembra non favorire né riflessione né confronto. Studi recenti hanno mostrato che in Rete si è animati solo dal pregiudizio di conferma delle proprie convinzioni pregresse e che ci si chiude nelle proprie cerchie come in camere di risonanza polarizzate che comunicano pochissimo. In quei rari casi in cui ha luogo, lo scambio di opinioni è teso e intriso di emozioni negative. Per usare una metafora calcistica, l’intero fenomeno è simile al peggior tifo da stadio.
Si assiste quindi al proliferare di tutta una serie di bufale complottiste di diversa natura e grado. Tra le più incredibili c’è la rediviva credenza che la terra sia piatta, o la teoria delle scie chimiche. Limitandosi a considerare casi simili si potrebbe essere tentati di pensare che la reazione migliore sia un’alzata di spalle. Ma non è così. La diffusione della disinformazione è una minaccia alla cultura scientifica e la scienza non è solo potere e ricchezza, ma anche e soprattutto benessere e salute. Lo si capisce dagli eventi che ruotano intorno alla polemica sui vaccini e alla (falsa!) correlazione tra essi e l’autismo o altre patologie. Il medico Roberto Burioni sta conducendo una straordinaria battaglia per smascherare le tesi complottiste sui vaccini, fare chiarezza e diffondere informazione scientifica attraverso conferenze, interventi nei media tradizionali e nella sua pagina Facebook. Leggendo le argomentazioni che espone si capisce che la sua posizione è molto solida perché i risultati di cui riferisce sono stati ottenuti con metodo scientifico: sono ben documentati, pubblicati su riviste specialistiche con referaggio e raccolgono il consenso della comunità degli studiosi di professione.
Che cosa fare dunque nei casi in cui la disinformazione mina la salute pubblica? La questione è complessa. Sembra difficile pensare di oscurare selettivamente la Rete, se non altro perché la censura rischia di essere controproducente e fortemente polarizzante. Invece che immaginare un fact-checking a tappeto, conviene agire sul fruitore di notizie, più che sulle notizie stesse o su chi le ha prodotte. L’informazione scientifica va trattata con lo stesso rispetto e attenzione con cui trattiamo l’acqua potabile, perché come quella è essenziale alla nostra sopravvivenza. Non possiamo pretendere che tutta l’acqua intorno a noi sia potabile, conviene invece identificare alcune fonti sicure e facilmente accessibili. Una possibile soluzione va quindi cercata nella difesa e nel rafforzamento dell’istruzione scientifica pubblica, oltre che nel miglioramento della comunicazione scientifica da parte degli addetti ai lavori.
Di recente alcuni studiosi, messi sotto accusa perché rifiutavano dibattiti pubblici alla pari coi non esperti, si sono espressi con l’iperbole «La scienza non è democratica», generando reazioni diverse. Premesso che chi scrive è in completo accordo con il loro diniego, vanno fatte alcune precisazioni. Anzitutto la vulgata che «democrazia» significhi «uno vale uno», sempre e comunque, è una delle peggiori bufale in circolazione da sempre. Basta rileggere il Discorso agli Ateniesi di Pericle riportato da Tucidide: «Per quanto riguarda le leggi per dirimere le controversie private, è presente per tutti lo stesso trattamento; per quanto poi riguarda la dignità, ciascuno viene preferito per le cariche pubbliche a seconda del campo in cui sia stimato, non tanto per appartenenza a un ceto sociale, quanto per valore». Il rispetto per la competenza è chiaramente affermato e le pubbliche responsabilità sono assegnate secondo i meriti.
Secondariamente, la scienza e la ricerca scientifica sono strutturalmente democratiche. Al loro interno il principio di autorità viene costantemente sfidato e messo nel banco degli imputati al fine di perfezionare la conoscenza. Il passo avanti può essere fatto da chiunque, non serve essere ricco, famoso, potente, o avere conoscenze altolocate: se si presentano nuove evidenze sperimentali o nuovi paradigmi concettuali e si supera il test di attendibilità, questi divengono un nuovo contributo scientifico, piccolo o grande che sia. È così che la teoria gravitazionale di Einstein ha migliorato quella di Newton, che le nuove terapie per il trattamento dei tumori risultano più efficaci di quelle di un decennio fa, che l’intelligenza artificiale ha già prodotto automobili che si guidano da sole.
Infine, è bene rimarcare che dietro alle controversie a cui abbiamo brevemente accennato si agita uno spauracchio allarmante alimentato da una visione aberrante della democrazia: l’idea di dirimere questioni scientifiche complesse ricorrendo al voto referendario. Quello è lo scenario futuro più terribile che la propaganda populista potrebbe generare.
Riproduzione riservata