Elly Schlein rilascia la prima intervista a un magazine e sceglie “Vogue Italia” online. Ed è subito polemica. Certo, si può immaginare che sotto ci sia una qualche strategia, ma perché proprio “Vogue”, magazine considerato l’ammiraglia della moda italiana, rivolto a un pubblico femminile di età e classe medio-alta?
Vorrei provare a mostrare che forse non si è trattato di un passo falso come hanno commentato alcuni osservatori. Forse, anzi, fa parte del lavoro per cui Schlein è stata chiamata a rivestire la posizione di segretaria del Pd, un lavoro che nessun altro dei candidati avrebbe potuto fare, soprattutto per ragioni anagrafiche e di percorso politico.
Ma, prima di tutto, di che cosa si è trattato? Una ampia intervista in cui Federico Chiara le rivolge una trentina di domande con l’obiettivo di far emergere il profilo di una donna giovane e impegnata in una professione difficile e coinvolgente, che costituisce anche una sfida per la propria vita personale e privata e richiede sforzo, equilibrio e passione. Restituisce però molto in termini di soddisfazione, se senti che con il tuo impegno puoi fare la differenza, anche per la società di cui fai parte.
Solo una di queste domande ha riguardato gli abiti e ha meritato una risposta di quattro righe. Del resto c’erano alcune altre domande sulle sue preferenze e sui suoi gusti personali: cinema, hobby, musica. Nessuna delle risposte della segretaria è parsa fuori luogo ai commentatori, solo quella dedicata alla scelta dell’abbigliamento. Ma non è questo il punto principale.
Ci sarà stata una strategia sotto? Ne sono convinta, e nemmeno tanto difficile da individuare: in questo Paese abbiamo bisogno di riportare alla partecipazione una parte di cittadini che fatica a riconoscersi nelle forme tradizionali della politica. E sappiamo bene che si tratta perlopiù di donne e giovani. E sappiamo anche che per il maggiore partito della sinistra italiana questo è uno dei nodi principali, se non il principale, in questa stagione di rifondazione.
Ma allora il punto è: perché proprio “Vogue” Italia nei suoi canali online? Che cosa ci azzecca una rivista patinata come “Vogue” con il popolo della sinistra? Per capirlo occorre mettere a fuoco chi legge i canali online di “Vogue” e qual è l’approccio della testata ai temi della politica e dell’attualità.
Come per molte altre testate presenti sui canali online, anche “Vogue” ha tra i suoi lettori soprattutto giovani; si tratta di donne e uomini, interessati a tutto ciò che è di tendenza e innovativo, con uno sguardo inclusivo e curioso delle diversità, se si deve valutare dal contenuto e dal taglio degli articoli che popolano i canali online della rivista, soprattutto su Instagram: celebrazione delle giornate contro discriminazioni e razzismi, discussione dei diritti Lgbtq+, recensioni di libri, film, canzoni e gruppi musicali, il tutto spesso attraverso la storia di persone e personaggi che possono essere di ispirazione per i lettori.
“Vogue” Italia si è guadagnata una posizione peculiare nel panorama delle riviste di moda proprio per la capacità di affrontare temi di natura politica
Del resto, “Vogue” Italia si è guadagnata nel corso dei decenni una posizione peculiare nel panorama delle riviste di moda proprio per la capacità di affrontare temi di natura politica, quando questi in quel mondo non avevano ancora acquisito piena cittadinanza. Sotto la direzione di Franca Sozzani, sono rimasti particolarmente emblematici due numeri: la black issue del luglio 2008, in cui Steven Meisel fotografò solo modelle nere per la maggior parte dei servizi; la plus size issue del luglio 2011, che rappresentò un primo autorevole segnale di attenzione alla questione della mancanza di diversità nei modelli di bellezza imposti dall’industria e dalla comunicazione di moda.
Certo, oggi, queste azioni editoriali possono apparire piccole cose e potremmo ovviamente criticarle come operazioni di washing e addomesticamento, di cui il capitalismo è maestro. Ma con la direzione di Emanuele Farneti e quella artistica di Ferdinando Verderi questa linea fa un ulteriore passo avanti. Escono almeno altre due issue rimaste emblematiche: quella del gennaio 2020, dedicata alla sostenibilità, senza foto ma illustrata solo da disegni di artisti, è una scelta che consente di risparmiare emissioni inquinanti e denaro, quest’ultimo devoluto per la ristrutturazione della fondazione Querini Stampalia di Venezia, danneggiata dall’acqua alta di qualche mese prima; quella dell’aprile 2020 con la copertina completamente bianca, in segno di silenzioso rispetto per il lavoro di medici e infermieri nel combattere la prima ondata della pandemia, e i servizi interni illustrati da contributi di artisti che hanno lavorato rispettando le limitazioni del lockdown. Come mi disse Farneti nei mesi successivi, “Vogue” è un giornale di moda, ma quando si occupa di temi politicamente rilevanti può farlo in modo che sia credibile, non solo attraverso delle belle immagini. Se dunque pensiamo ai modi con cui gli immaginari si formano e alle fonti che li distribuiscono, appare meno paradossale che la segretaria del Pd abbia scelto una testata così lontana da quelle che normalmente ospitano le interviste dei politici per cercare di incrociare sguardi e curiosità di una parte di cittadini che sono indifferenti e persino ostili verso chi fa politica nei partiti. E mentre cerca di riposizionare a sinistra il Pd e riempie di folla i luoghi tradizionali di quest’ultima, le piazze, ha voluto parlare anche altri linguaggi e intercettare così anche la sensibilità di altri elettori: i giovani professionals sensibili ai temi dei diritti civili e dell’ambiente.
“Vogue” è un giornale di moda, ma quando si occupa di temi politicamente rilevanti può farlo in modo che sia credibile, non solo attraverso delle belle immagini
Quello che mi colpisce, di questa intervista, è che in un certo modo si tratta di una azione politica diretta da parte di Elly Schlein mirata a coinvolgere giovani e donne di questi “mondi”. Realizzata, non tanto illustrando un programma politico, ma semplicemente mostrandosi nella sua identità di donna giovane politicamente impegnata e appassionata del suo lavoro. Lo ha fatto in un modo e in un luogo dove altre persone biograficamente simili a lei possono incontrarla ed essere attratte da quello che lei incarna.
Ovviamente restano delle domande aperte e qualche dubbio.
Tra questi, per esempio, il fatto che “Vogue” rappresenta un deposito di immaginario per i giovani, di tipo inclusivo, attento ai diritti e alle tendenze più innovative delle culture giovanili, ma certamente non è il luogo della quotidianità di giovani socialmente, economicamente e culturalmente marginali. Ci sono altre riviste, altri spazi, altri riferimenti culturali per questo. Una domanda per Schlein allora potrebbe essere: compreso e apprezzato il metodo, quali altri luoghi e spazi di costruzione e abitazione degli immaginari e della quotidianità di giovani, donne e stranieri sta progettando di frequentare?
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