“There are no words I could scream to drown you out”, recita una canzone della giovane artista Phoebe Bridgers. Nella vita privata, a tutti noi a volte mancano le parole per esprimerci. Nella sfera pubblica, tuttavia, usare le parole giuste è fondamentale: è tramite le parole che manager, insegnanti, politici raccontano una storia chiara e coerente nel suo significato e nella sua morale. Le scienze sociali ci insegnano quanto la ricerca di senso e i fondamenti morali producano motivazioni, senso di appartenenza e consenso come e più degli incentivi strettamente materiali. E le storie che più trasmettono questi sentimenti profondi hanno il potere di diffondersi nello spazio e nel tempo e trasformarsi in cultura condivisa, paradigma per interpretare la realtà e strumento di coesione sociale.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni sembra saperlo bene. Nei suoi discorsi di insediamento alle Camere e nelle prime settimane di governo ha adottato un linguaggio netto, evocativo di una certa visione del mondo. Un linguaggio che si è rivelato coerente con le prime scelte della nuova maggioranza.
Le nomine di Lorenzo Fontana, sostenitore oscurantista della superiorità della famiglia “naturale”, alla presidenza della Camera dei deputati, della sua analoga femminile Eugenia Roccella proprio al ministero della “famiglia e natalità”, e di un capogruppo FdI al Senato che, nel 2022, considera l’omosessualità un biblico abominio, rendono concrete le allusioni alle “devianze” o alla donna come “fattrice” ripetute da Meloni più volte in campagna elettorale. Altrettanto evocativa è l’aggiunta del “merito” alla denominazione del ministero dell’Istruzione, volta a contrapporsi a un presunto approccio egualitario al ribasso della sinistra, ma che dietro la retorica nasconde la cristallizzazione del privilegio in una società con livelli di povertà, disuguaglianza e immobilità sociale inauditi da decenni. E coerenza tra parole e azione c'è stata anche riguardo l’immigrazione: all’ostilità verso le Ong (e qualche brutta figura diplomatica) si sono accompagnate la definizione delle persone rimaste sulle navi come “carico residuale” e la costante puntualizzazione “non sono profughi, ma migranti”, a sottolineare la diffidenza riguardo al reale stato di estrema precarietà e costante pericolo in cui versano le persone che prendono il mare.
La richiesta di Giorgia Meloni, infine, di declinare la sua carica al maschile segnala ancora una volta che una donna, per ricoprire ruoli di prestigio, deve accettare le regole del gioco stabilite da uomini. Ribadire questa adesione tranquillizza chi guarda con rimpianto al vecchio mondo patriarcale, ordinato, più semplice nelle sue immutabili gerarchie e valori. Quel mondo semplice a cui Giorgia Meloni si ispira apertamente da oltre vent’anni, nobilitandolo con riferimenti alla cultura popolare e alla letteratura, in particolare allo scrittore J.R.R. Tolkien che nei suoi libri immagina mondi ideali in cui piccole creature difendono la loro terra da qualsiasi ingerenza che possa modificare lo stato delle cose.
Non è un caso, d’altra parte, che nessuno dei termini che popolano il microcosmo ideologico della destra al governo si riferisca alla sfera economica di più immediata attualità, o alle relazioni internazionali. I gradi di libertà sulla politica economica sono limitati; la congiuntura, gli impegni con l’Europa e un debito pubblico arrivato al 160% del Pil, a sua volta stagnante, rendono l’Italia un Paese, de facto, commissariato. Ne è prova la legge di bilancio da poco approvata dal Consiglio dei ministri: per larga parte dettata da vincoli europei e per la restante parte composta da piccole concessioni a certe categorie (pensionandi, evasori fiscali) e sottrazioni propagandistiche ai più deboli. Sulla politica estera pesano poi le ambiguità presenti e passate, a partire dalle dichiarazioni di Berlusconi sul suo immutato dolce legame con Putin; e poi i rapporti con ambienti tradizionalisti, di destra radicale e oltranzisti religiosi internazionali, e l’ammirazione per i regimi illiberali dell’Europa orientale che la destra (tutta) ha coltivato negli anni. Nonostante questi trascorsi e ambivalenze, i margini di azione sono ristretti almeno fintanto che la Russia continuerà la sua guerra all’Ucraina. Da una parte quindi il governo Meloni enfatizza i temi sociali e civili identitari per mantenere il consenso di una parte del Paese; dall’altra si pone come custode dello status quo in campo economico e internazionale, cercando di tenere questi temi lontani dall’attenzione pubblica.
Da una parte il governo Meloni enfatizza i temi sociali e civili identitari per mantenere il consenso di una parte del Paese; dall’altra si pone come custode dello status quo in campo economico e internazionale
Tra le opposizioni, quella liberale-centrista appare accondiscendente col governo. I valori ottocenteschi che ispirano il “terzo polo” hanno peraltro molti punti in comune con quelli della destra odierna. La logica del dominio del più forte, sia esso dovuto al rispetto delle tradizioni o alle “forze di mercato”. Una conseguente visione gerarchica della società, con al vertice leader carismatici o mitologici “produttori” che “danno lavoro”, come se fosse una gentile concessione al popolo. La famiglia borghese tradizionale come garanzia di questo ordine. Il mito della proprietà privata nella sua immutata forma, di nuovo, sette-ottocentesca, che interpreta ogni tentativo di redistribuzione come un esproprio inaccettabile. E da qui, la viscerale opposizione alle forze politiche e sociali progressiste che, in nome dello spettro del comunismo, malcela l’avversione all’idea di una società più giusta. Di fronte a una destra che così rapidamente ha saputo mostrare la sua natura reazionaria, il centro liberale, rassicurato dal mantenimento dello status quo economico e internazionale, sembra quindi disposto ad accettare (quasi) tutto.
La via imboccata dal governo è, invece, quanto mai irricevibile per tutti coloro che si riconoscono in una cultura progressista e socialdemocratica. Ma proprio in virtù della nettezza con cui si è imposta la visione della presidente del Consiglio, c’è finalmente spazio per fare chiarezza ideologica, tanto più che l’unica opposizione credibile non può che venire da sinistra.
Viviamo in una fase storica di laceranti e ormai strutturali disuguaglianze che si dipanano su vari piani e si intersecano tra di loro, tanto che anche la letteratura economica è tornata a interessarsene. La ricerca più recente ha infatti dimostrato che economie troppo diseguali e con limitata mobilità sociale crescono meno, e che la rivoluzione tecnologica digitale mette a rischio posti di lavoro e tende a esacerbare le disparità; ha evidenziato i costi di un’apertura indiscriminata del commercio internazionale e della deregolamentazione finanziaria, specie per i più deboli; ha spiegato che le persone sono legate alla loro terra per una moltitudine di motivi, e che quindi abbandonare i territori per concentrarsi sulle grandi città smart, cool e creative verso le quali tutti dovrebbero convergere genera invece povertà diffusa e un divario culturale incolmabile fra il centro e la periferia; ha mostrato che salari più alti, migliori condizioni lavorative e maggior apertura ai flussi migratori non riducono il lavoro ma al contrario generano più attività economica e stimolano l’innovazione; ha sfatato il mito secondo cui l’ingresso di privati in settori come istruzione e sanità genera automaticamente benefici per tutti.
Se l’attenzione alla ricerca più avanzata e aggiornata è necessaria, la parabola ascendente della destra e quella calante della sinistra ci insegnano che la politica non è solo tecnica in cui contano solo le proposte concrete. Affinché il sale della politica non perda sapore, sono necessari valori condivisi e la capacità di elaborarli e raccontarli.
I valori in cui si è identificata la sinistra sono presenti nella società, da centinaia di anni: innanzitutto, il principio guida dell’uguaglianza, indicato da Norberto Bobbio come obiettivo che più definisce e distingue la sinistra
E i valori in cui si è identificata la sinistra sono presenti nella società, da centinaia di anni; si sono, certo, evoluti e adattati, ma hanno mantenuto una radice comune. Innanzitutto, il principio guida dell’uguaglianza, indicato da Norberto Bobbio come obiettivo che più definisce e distingue la sinistra, e la cui centralità e valore evocativo attraversa i secoli, dalle prime comunità cristiane alla rivoluzione francese, fino ai moti ottocenteschi e alle lotte operaie, studentesche e femministe. Principio da interpretare non come un livellamento verso il basso, ma come propedeutico a un’inclusione che arricchisce e riappacifica. E poi l'indissolubilità tra diritti sociali e civili – senza gli uni, il raggiungimento degli altri è solo parziale; e alcuni diritti, come istruzione e salute ugualmente garantite a tutti, non sono nemmeno separabili nella loro dimensione civile e sociale. Le diversità come risorse. La garanzia non solo del “pane”, cioè di condizioni materiali dignitose, ma anche delle “rose”, ovvero buone condizioni di lavoro, accesso alla cultura e a un tempo libero di qualità, aria, acqua e terra pulite – insomma, il diritto di tutti a una vita che sia degna di essere vissuta. La pace non solo come obiettivo, ma anche come mezzo primario di un’attività diplomatica che non riguardi solo i dignitari e il complesso industriale-militare, ma coinvolga la società civile.
Questi valori sono più che mai vivi: indagini e questionari recenti, ad esempio, mostrano che soprattutto i più giovani pongono al centro della loro attenzione e preoccupazione temi progressisti come il lavoro, i diritti sociali e civili, la scuola pubblica, la questione ambientale e climatica e non certo le minacce di sostituzione etnica, gli attacchi alla famiglia tradizionale, o i danni delle politiche di contrasto alla povertà. Sono le generazioni nate troppo tardi per farsi ingabbiare dalle logiche della Guerra fredda, che collocavano dalla parte sbagliata della storia chi invocava certi ideali e priorità.
Nel buio degli anni che verranno, la sinistra dovrà coniugare l’umiltà di apprendere e ascoltare i risultati della ricerca sociale più avanzata così come le istanze, paure e speranze delle persone, a partire dai più fragili, e il coraggio di riscoprire, rielaborare e raccontare valori in cui una larga parte della società si riflette e per la cui applicazione non trovano rappresentanza politica. Solo così facendo potremo prepararci a riaccendere le luci su un Paese migliore.
Riproduzione riservata