"Italian drama!": questo è il commento degli olandesi e degli italiani ad Amsterdam tra fine febbraio e i primi giorni di marzo, quando le regioni del Nord Italia prendono misure forti, come la chiusura delle scuole e la creazione di “zone rosse”, a causa dei casi di Coronavirus riscontrati. Un'espressione che sintetizza un’idea sugli italiani che esiste già da prima dell’emergenza Covid-19: per i cittadini dell’Europa del Nord noi siamo sentimentali, melodrammatici, più inclini a seguire le emozioni che la ragione. Un'espressione che marca una differenza culturale reale fra l’approccio italiano e quello olandese su molti aspetti della vita quotidiana, ma che non ha una connotazione negativa. Agli olandesi piace l’Italia e piacciono gli italiani, i film che produciamo e tutto il resto. Riferita all’emergenza Coronavirus, invece, “Italian drama” acquisisce un’altra sfumatura, direi ironica, che potremmo tradurre con il nostro modo di dire “i soliti esagerati”.

Eh sì, da Amsterdam, a inizio marzo, era davvero difficile comprendere appieno quello che stava accadendo in Italia. Lo era anche per me, che vivo ad Amsterdam ma lavoro per un ente locale in Italia, grazie a un progetto di smart working attivato già prima dell’emergenza Covid-19. Lo era anche per me, dicevo, perché vedere che la vita degli abitanti di Amsterdam non stava minimamente cambiando e che c’era un’idea diffusa che l’Italia “si stava distruggendo da sola dal punto di vista turistico ed economico” non poteva non condizionarmi. Nei primi giorni di marzo, come gli olandesi, prendevo il tram praticamente ogni giorno (ero ancora restìa all’idea di andare in bicicletta con la pioggia, mentre adesso non ho dubbi sulla scelta...). Lo facevo con più attenzione, coprendomi la bocca, stando distante dalle persone e usando il gel igenizzante per le mani quando scendevo. Utilizzavo però i mezzi pubblici, come tutti, senza che a bordo fosse presa alcuna misura di tutela.

Ci tengo a dirlo: non è colpa degli olandesi. Il governo olandese, come altri governi, ha scelto in quei giorni la linea comunicativa del minimizzare la questione Coronavirus. Il premier olandese ha detto chiaramente che l’Olanda non è l’Italia, che la situazione non è paragonabile e che non ci sarebbe stato bisogno di prendere le stesse misure. Pertanto, nonostante qualche olandese iniziasse a preoccuparsi per quello che stava accadendo negli altri Paesi d’Europa (nel frattempo stavano iniziando a girare anche i numeri di Spagna e Francia) cercando di capire di più, la maggioranza dei cittadini riceveva messaggi rassicuranti dal governo e dai direttori di ospedali, che addirittura hanno detto che in Italia la situazione era degenerata perché gli italiani non avevano rispettato a sufficienza i protocolli di igiene (poi ritrattando dopo le proteste degli italiani nei Paesi Bassi e dell’Ambasciata italiana all’Aia).

La cosa sconcertante per me era sentir pronunciare simili dichiarazioni da chi dovrebbe tutelare la salute dei cittadini dei Paesi Bassi, mentre nei parchi e nei pub della città tutti continuavano ad ammassarsi, incuranti delle distanze.

Con il decreto del 10 marzo del governo italiano, la mia vita cambia anche ad Amsterdam: io e le persone vicine a me iniziamo a comportarci esattamente secondo le regole italiane. Evitiamo i pub affollati e teniamo la distanza dalle persone nei supermercati.

L’Italia è il primo Paese in Europa a prendere le decisioni più drastiche, ma dalla stampa internazionale si capiva che la stessa cosa sarebbe successa a breve anche in altri Paesi, come Francia e Spagna. Tant’è che l’11 marzo l’Organizzazione mondiale della sanità definisce l’Italia un modello e dichiara che “il Coronavirus è pandemia”.

Una dichiarazione che viene ripresa dai media di tutta Europa e che incide forse anche sul governo olandese che – sempre con qualche giorno di ritardo perché è evidente che smetterla di fare spallucce gli rimane proprio difficile – cambia posizione: il 15 marzo chiudono scuole, pub, bar, caffè e ristoranti (va detto però che alcune attività avevano già chiuso, esponendo cartelli con su scritto: “Chiudiamo per aiutare la lotta al Covid-19”). Gli eventi fino a un massimo di 100 persone rimangono invece ancora consentiti.

Nei giorni precedenti la serrata, un po’ di olandesi hanno chiesto a noi italiani com’era la situazione in Italia, esprimendo solidarietà e anche preoccupazione. Ci facevano capire che avevano chiaro che il loro Paese non era immune, e che volevano sapere come attrezzarsi per evitare il contagio. Gli olandesi, o almeno una buona parte di loro, hanno compreso prima dei propri governanti la situazione. Una comprensione tutt’altro che scontata, visto che la comunicazione del governo olandese fino al 15 marzo era ancora netta, senza sfumature: le scuole possono stare aperte perché i bimbi non sono a rischio, non c’è bisogno del lockdown come negli altri Paesi europei.

Posizioni che però anche gli esperti hanno iniziato a mettere in discussione, di fronte ai numeri dei contagi che crescevano ad Amsterdam, a Utrecht e in altre città densamente popolate.

Perché entrino in vigore misure più restrittive nei Paesi Bassi bisogna attendere il 19 marzo: la regola della distanza di un metro e mezzo gli uni dagli altri inizia a essere scritta in ogni luogo, ad esempio sulle vetrine dei negozi (che indicano anche quante persone al massimo possono entrare contemporaneamente), ai cancelli d’ingresso dei parchi, sui display luminosi di solito utilizzati per le pubblicità lungo le strade.

Sabato 21 marzo e domenica 22 accade però una cosa non così frequente ad Amsterdam: c’è il cielo azzurro, c'è il sole (anche un po’ di vento, ma sappiamo che la perfezione metereologica non appartiene al Nord Europa, per cui è top così) e gli amsterdamesi si dimostrano “sentimentali” quanto gli italiani e si ammassano sui treni per andare nelle spiagge più vicine. Le immagini di quel weekend sono immortalate dai giornali locali e dalle Tv, così il governo olandese, tutto a un tratto, diventa severo, come se non avesse fatto altro che ripetere – fin dall’inizio – i rischi di salute legati al Covid-19.

Il giorno dopo, lunedì 23, il governo vieta tutti i meeting e gli eventi fino al primo di giugno, e stabilisce multe salate per chi non rispetta la distanza del metro e mezzo.

Per tutta la settimana che va dal 23 al 28 marzo, il governo ripete che se gli abitanti non comprendono la situazione prenderà misure ancora più restrittive, tanto che qualche giornale titola Ultimo avvertimento. Musica per le orecchie di chi vive nei Paesi Bassi, che però suona decisamente tardiva; non essendo stato il primo Paese europeo colpito, avrebbe potuto muoversi assai prima. Chi governa dovrebbe sapere che per radicare un messaggio importante fra i cittadini – diversi per storia, istruzione, attenzione alla politica – ci vuole tempo. Occorre ripeterlo e ripeterlo ancora, in più modi e su più canali. Comunque meglio tardi che mai.

Alla fine, per passare dall’Italian drama” a “Tutto il mondo è paese” sarà questione di un mese.

 

 

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