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«Treviso is open» è il nuovo brand della città. Dopo un lungo processo di consultazione, l’amministrazione comunale ha scelto questo messaggio di apertura – al mondo, all’innovazione, all’inclusione – per segnare una discontinuità con l’immagine che Treviso si è trascinata per anni: città gradevole, ben organizzata ed economicamente vivace, ma socialmente e culturalmente chiusa in se stessa.
La città conquistò le prime pagine della cronaca nazionale a metà degli anni Novanta, in occasione delle colorite uscite dell’allora sindaco leghista Giancarlo Gentilini, le cui affermazioni intransigenti nei confronti degli immigrati accesero i riflettori su un territorio che si presentava con due facce opposte: da un lato, intraprendente e tra i più aperti agli scambi internazionali; dall’altro lato, introverso, intollerante, arroccato a difesa di un’identità indisponibile al cambiamento. Un’immagine fissata efficacemente nella descrizione che John Grisham propose in un suo romanzo del 2005, The Broker: «Una città prosperosa che non è cambiata granché negli ultimi 500 anni»! Per lo scrittore americano, Treviso è una società locale così ancorata alle proprie tradizioni da rendere impossibile integrarsi a chiunque venga da fuori.
>> Treviso e provincia: i principali dati socio-demografici
Oggi la città è diversa. Da qualche anno ha compiuto una metamorfosi, cambiando, con le elezioni del 2013, non solo colore politico, ma anche clima sociale e culturale. A ben vedere, non è tanto la spinta della nuova amministrazione ad aver impresso la svolta, quanto il fatto di aver liberato le forze vitali della componente più giovane e cosmopolita della società locale. L’economia trevigiana è infatti contraddistinta da una rilevante apertura internazionale, misurata sia dalla propensione all’export, che supera il 50% del valore aggiunto, sia per la presenza di importanti gruppi industriali globali, basti pensare a Benetton, Geox, De Longhi. Treviso è dietro solo a Milano e Torino per incidenza dell’occupazione multinazionale sul totale della popolazione, con tutto ciò che questo implica per la presenza sul territorio di manager, tecnici e professionisti che operano quotidianamente in ambienti internazionali.
Treviso rimane comunque una città di 85 mila abitanti, capoluogo di una provincia grande dieci volte tanto e davvero policentrica, dove le polarità urbane sono distribuite lungo tutti gli assi principali – Castelfranco a Ovest, Montebelluna a Nord, Conegliano e Vittorio Veneto a Est, Mogliano a Sud – ognuna gelosa della propria identità e per nulla disposta a cedere «sovranità» al capoluogo. Tuttavia continua a svolgere una funzione di riferimento di una vasta area che include non solo i comuni di cintura, ma uno spazio urbano diffuso che si salda alle polarità di Padova e Venezia. La città è infatti da tempo parte integrante del sistema metropolitano del Veneto centrale, un sistema insediativo che ha sviluppato una crescente interdipendenza funzionale, sul quale non si è tuttavia mai riusciti a esprimere una progettualità condivisa. Al pari di altre città del Nord Est, la cintura di Treviso è cresciuta molto negli ultimi decenni, evidenziando una forte spinta centrifuga verso la cosiddetta «città diffusa». Nell’ultimo decennio, tuttavia, ha mostrato un’inversione di tendenza, avviando un nuovo periodo di concentrazione urbana, con una ripresa di attrattività residenziale generata sia dalla borghesia industriale e professionale, sia dalle popolazioni di recente immigrazione. Questo fenomeno non ha tuttavia creato rilevanti conflitti sociali e, al di là di sporadiche manifestazioni, ha finora prevalso la capacità sociale e istituzionale di governarlo. A differenza di altre città di dimensioni maggiori, continua a essere caratterizzata da una qualità urbana diffusa, che non si limita al centro storico ma si estende ai quartieri e a buona parte della cintura, denotando l’assenza di una vera e propria periferia.
Incoronata tra gli Ottanta e i Novanta come una delle migliori espressioni della manifattura e delle eccellenze del made in Italy (e tra gli artefici del cosiddetto miracolo del Nord Est), Treviso si è al contempo affermata quale una delle capitali italiane degli sport di squadra. A un’economia di successo corrisponde spesso un’attività agonistica di primo piano, favorita dall’intervento delle imprese stesse nello sport, attraverso forme di sostegno e sponsorizzazione. Basket, volley e rugby si sono a lungo accompagnati al nome di Benetton, le cui squadre hanno primeggiato nei rispettivi campionati, ottenendo numerosi titoli nazionali e internazionali. Il sodalizio si è però interrotto pochi anni fa, e oggi il supporto di Benetton è limitato solo al rugby, la cui squadra comunque gareggia, unica in Italia insieme a Parma, in un campionato europeo.
Negli ultimi anni Treviso si è poi affermata anche come luogo in cui la cultura può recitare un ruolo di prim’ordine. La consapevolezza maturata sull’importanza degli investimenti culturali è in funzione sia del loro ritorno economico, sia dell’impatto sul benessere sociale. Anche le esposizioni di Linea d’Ombra ospitate tra 2015 e 2017 al Museo di Santa Caterina si inseriscono nell’ambito di una strategia culturale di più ampio respiro, che include la riapertura del museo Bailo (che custodisce le opere di artisti trevigiani di altissimo valore, quali Arturo Martini e Gino Rossi), la Collezione Salce, oltre ai numerosi festival cittadini.
Treviso potrebbe ora ambire a sviluppare un progetto di intrattenimento culturale più in linea con le caratteristiche e le vocazioni del proprio territorio, costruendo, attorno alla cultura, un percorso in grado di «comunicare» la città in rapporto ai propri valori. È territorio di elezione dell’incontro fra cultura e manifattura. Si prenda Pinarello, azienda leader mondiale delle biciclette di alta gamma, entrata da poco nell’orbita Louis Vuitton. Questa capacità di «cristallizzare» caratteri culturali in prodotti di elevata qualità si esprime anche in altri settori: dal design (con il maggior distretto italiano dell’arredo tra Livenza e Quartier del Piave), alle tecnologie per l’automazione della casa e della sicurezza (con i leader italiani Came e Nice), alle calzature sportive (attorno a Montebelluna è cresciuto uno dei più importanti cluster europei dello sport-system), alle eccellenze enogastronomiche (il prosecco è di gran lunga il vino italiano più venduto al mondo).
Di fronte alla crisi che ha colpito anche questo ricco lembo del Nord-Est – dal 2008 sono state perse in provincia di Treviso 6.000 imprese e il tasso di disoccupazione è salito in pochi anni dal 3 all’8% – la società locale ha dovuto rivedere molte certezze del passato. La rovinosa caduta di Veneto Banca – la cui sede centrale è situata 15 chilometri a Nord di Treviso – si è fatta pesantemente sentire su tutto il territorio. Non solo per la rilevante perdita delle ricchezze investite, ma anche per l’umiliante smacco morale. Anche la locale Fondazione Bancaria, Cassamarca, naviga da anni in cattive acque a causa di una scarsa diversificazione degli investimenti finanziari e di scelte non sempre avvedute sul fronte immobiliare. Sia Veneto Banca, sia Fondazione Cassamarca sono state a lungo governate con il consenso e la diretta partecipazione dei gruppi dirigenti dell’economia civile. Una situazione che oggi ridimensiona molto quel profilo di efficienza e moralità che tali forze potevano vantare fino a un recente passato.
Nonostante i dati congiunturali segnalino una ripresa finalmente robusta, molte ferite rimangono ancora aperte. La presenza dei distaccamenti di due università – Padova con Giurisprudenza, Ca' Foscari con Economia internazionale e Linguistica applicata – non sembra vissuta dalle forze economiche come asset strategico su cui investire seriamente. Due anni fa l’Istituto universitario di Architettura di Venezia ha infatti dovuto abbandonare Treviso, sebbene i corsi di design e moda riscuotessero da vent’anni un grande successo in termini di iscrizioni e placement. Quando si è trattato di mettere mano al portafoglio, tutti si sono girati dall’altra parte, avendo evidentemente altre priorità. Docenti e studenti dello Iuav hanno così ripiegato su Venezia.
In realtà, una cooperazione rafforzata con Venezia dovrebbe diventare terreno elettivo per diversi progetti di sviluppo e innovazione a scala metropolitana. Già accade sul fronte del turismo, essendo da tempo l’area compresa fra Mestre e Treviso un corridoio alberghiero per i visitatori della città lagunare. Così come per il trasporto aereo, con la gestione congiunta da parte di Save dei due aeroporti internazionali di Venezia e Treviso. Un po’ meno nell’istruzione, venendo ancora oggi Treviso vissuta come «sede periferica» invece che polo specializzato di una rete per gli studi superiori. Ancora meno nel campo dei servizi pubblici locali, dove l’integrazione di trasporti, reti idriche e ambientali, per quanto possa apparire scontata a qualunque osservatore, rimane tuttavia lontana dalle priorità di aziende gelosamente controllate dalla politica locale. Per nulla nelle politiche urbanistiche, per le quali la divisione dei confini provinciali resiste a causa anche dell’assurda delimitazione della città metropolitana di Venezia.
Proprio la mancanza di una visione metropolitana da parte delle amministrazioni locali sembra oggi l’ostacolo maggiore alla soluzione di molti problemi reali vissuti da cittadini che vivono e si muovono in uno spazio di relazioni sempre più integrato. Per Treviso questa visione non significa affatto negare la propria identità storica, quanto semmai recuperare i suoi antichi legami con Venezia, quando ancora nel XIV secolo i patrizi della città lagunare decisero di investire in terraferma, individuando proprio nella gioiosa marca trevigiana la prima area di insediamento. L’impianto urbano e architettonico di Treviso – con il prevalere dello stile gotico su quello rinascimentale e con la rete estesa e funzionale di vie d’acqua – rende ancora oggi visibile questo antico legame. Riprendere e rilanciare oggi tale relazione vorrebbe dire sfruttare le economie di scala e la visibilità di Venezia per accrescere lo spazio di opportunità a disposizione dei trevigiani. Sacrificare questa opportunità sull’altare del localismo è un errore il cui prezzo rischia di essere pagato dalle future generazioni.
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