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in Italia
Alla ricerca di un'identità oltre il centralismo milanese e oltre una storia, ormai lunga un secolo, a vocazione industriale: Brescia è entrata nel secondo decennio del XXI secolo con molte delle contraddizioni che segnano gran parte del Nord Italia.
La Leonessa d'Italia sta, prima di tutto, faticosamente cercando di ritagliarsi un proprio spazio di competitività territoriale da contrapporre all'ingombrante capoluogo regionale. Questo in virtù anche della sua condizione di seconda città lombarda, ma anche forte di una provincia che è tra le più estese d'Italia.
Negli ultimi dieci anni, tuttavia, il processo che ha caratterizzato la città è stato quasi di sottrazione dei cosiddetti «gioielli di famiglia»: dalla fusione della municipalizzata Asm con la milanese Aem è nata A2A, oggi secondo player italiano per la produzione di energia, con un iniziale forte sbilanciamento di potere e interessi a favore della sponda meneghina, parzialmente riequilibrato. Un processo analogo, ma con attori differenti, è avvenuto con il Banco di Brescia e la nascita di Ubi Banca che, pur mantenendo a Brescia una porzione di storia e di management, ha visto spostare su Bergamo l'equilibrio di forza.
Depotenziata sul versante economico-finanziario e ridimensionata per ciò che riguarda il proprio ruolo in una multiutility troppo grande per essere governata semplicemente secondo le indicazioni dei due Comuni azionisti, Brescia per reazione cerca altrove la sua fortuna. L'obiettivo dei prossimi anni sarà quello di diventare baricentro politico ed economico della Lombardia orientale e traino per i territori di Mantova e Cremona, magari unendo le forze anche con Bergamo. Il tutto in una logica di competizione di territori, in cui la città cerca di giocare il suo ruolo oltre la vocazione industriale.
Queste grandi operazioni sono avvenute negli anni dell'esplosione della crisi economica che ha investito l'Italia, la Lombardia e anche la provincia di Brescia. Nonostante il calo occupazionale e la crisi delle piccole e medie imprese che compongono parte del suo tessuto produttivo, il sistema Brescia mostra ancora la sua forza economica attraverso il settore manifatturiero, che si colloca al terzo posto nel Paese, dietro solo a Milano e Torino, con un valore aggiunto attorno ai 9 miliardi di euro (mentre, da un punto di vista più generale, dal territorio bresciano parte il 3,5% dell'export italiano, con un valore pari a 14,49 miliardi di euro). La crisi ha picchiato duro, con un tasso di disoccupazione che è passato dal 3,2% del 2008 all'8,6% del 2016. A complicare ulteriormente la lettura di una provincia geograficamente complessa e variegata (che, incastonata tra il lago di Garda e quello d'Iseo, va dal passo Tonale a quasi 2.000 metri sulle Alpi Retiche fino al cuore della bassa Pianura Padana) non va dimenticato che si tratta della prima provincia agricola d'Italia.
>> Brescia e provincia: i principali dati socio-demografici
All'interno di questa cornice va poi inserito il fenomeno migratorio, che dall'inizio degli anni 2000 ha investito il territorio bresciano e che ha contribuito a mantenere positivo anche l'indice di crescita naturale della provincia. Politicamente si è assistito a uno scontro tra le concezioni contrapposte di accoglienza e rifiuto, un processo che prosegue anche oggi e che si è acuito a partire dall'emergenza profughi all'indomani delle primavere arabe e che tuttora vede l'Italia come unico punto d'approdo dei flussi migratori provenienti dal Nord Africa. A Brescia sono stati ormai sperimentati i percorsi di accoglienza diffusa (come il sistema degli Sprar), ma la pressione migratoria ha spinto molti amministratori locali a palesare il rifiuto all'accoglienza (che fino a oggi resta su base volontaria e non prevede obblighi da parte del Viminale). L'immigrazione è diventata quindi terreno di scontro politico, e negli anni Brescia è stata al centro delle cronache nazionali o per scelte di amministratori della Lega Nord (come nel caso della mensa scolastica del comune di Adro o del cosiddetto caso White Christmas a Coccaglio), o per le proteste degli immigrati, la più eclatante delle quali sicuramente nel 2010, quando un gruppo di sei extracomunitari salì su una gru di un cantiere della metropolitana leggera, nel centro cittadino, per protestare contro i ritardi nella regolarizzazione dei loro documenti. Quell'azione di protesta dette il via ad analoghe iniziative nel resto d'Italia, e da allora le «proteste verticali» sono state sdoganate. Situazioni che raccontano di un percorso complesso che la società bresciana sta comunque affrontando tra stop e ripartenze per ciò che riguarda l'accoglienza e l'integrazione: molto meno pubblicizzate che nelle città metropolitane, anche nelle scuole dell'obbligo di Brescia da qualche anno si registrano classi formate quasi interamente da stranieri. Saranno questi giovani scolari, la seconda generazione, su cui si misurerà la vera capacità di integrazione culturale della società bresciana; per certi versi una strada obbligata se si considera che gli stranieri sono oggi oltre 160 mila in tutta la provincia, di cui quasi 40 mila solo nella città capoluogo.
Qui l'era post industriale ha coinciso con la ricerca di una nuova identità, che si divide tra la terziarizzazione e il desiderio di diventare centro di prospettiva europea e a vocazione universitaria.
Il banco di prova per lo sviluppo dei servizi passa necessariamente attraverso lo sviluppo infrastrutturale che ha coinvolto questa porzione di Lombardia orientale. L'apertura della nuova autostrada A35, la cosiddetta Bre.Be.Mi, e il futuro arrivo dell'Alta velocità dovrebbero coincidere con la riduzione delle distanze dal centro direzionale lombardo: l'obiettivo e l’ambizione di Brescia sono di poter essere attrattiva per realtà imprenditoriali di servizi che oggi orbitano su Milano. Su questo fronte, per ora resta al palo l'aeroporto di Montichiari, che è sotto il controllo veronese e che per gli interessi complementari da un lato di Verona e dall'altro di Sea (il triangolo Linate-Malpensa-Orio al Serio) resta di fatto profondamente sottoutilizzato, se non quasi deserto. Fino a oggi i tentativi di rilancio, anche attraverso l'iniziativa degli industriali bresciani, non hanno dato i frutti sperati; se nel futuro prossimo, quando saranno avviati i lavori del tratto dell'Alta Velocità da Brescia a Verona, lo scalo aeroportuale dovesse essere bypassato, allora le prospettive di rilancio saranno ulteriormente frustrate.
Altro fronte di sfida è quello della cosiddetta «vocazione europea», legato innanzitutto al tentativo di proporre un'offerta culturale che sia in grado non solo di rilanciare la vita cittadina, ma anche di essere motivo di attrazione per i turisti nell'intera provincia: l'esperienza del 2016 sul Sebino con l'installazione Floating Piers dell'artista Christo ha dimostrato di poter fungere da volano per l'intero comparto del turismo, più di quanto abbia fatto l'anno prima l'Expo. Ma se il lago di Garda resta un costante punto d'approdo per tedeschi e olandesi, la presenza in città resta maggiormente ondivaga. Negli ultimi quindici anni il tentativo di togliersi di dosso il nomignolo di città del tondino si è tradotto nel susseguirsi di mostre d'arte, prima basate sulla logica delle grandi mostre-evento grazie alla collaborazione con Marco Goldin, poi nella valorizzazione del patrimonio archeologico cittadino (soprattutto all'indomani del riconoscimento nel 2011, da parte dell'Unesco, del complesso monumentale di Santa Giulia e San Salvatore all'interno del percorso dei Longobardi). Per ritornare successivamente su esposizioni temporanee d'arte contemporanea. Un approccio quindi ondivago, probabilmente inevitabile, per una città che sta ancora cercando di costruire una propria identità che non sia necessariamente legata alle grandi industrie che ne hanno fatto la storia e la fortuna nel XX secolo, dalla Beretta alla Lucchini passando per il grande stabilimento Iveco, che occupa una consistente porzione di territorio comunale a Ovest del centro storico, solo per citare alcuni casi molto noti.
Allo stesso modo l'aspirazione di Brescia è quella di abbinare a una vocazione culturale anche quella universitaria, grazie alla presenza di due atenei. Alla sede bresciana dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, aperta nel 1965, si è aggiunta nel 1982 l'Università Statale. Quest'ultima, in particolare, essendo una realtà accademica relativamente giovane, non è ancora percepita nella vita cittadina: non esiste ancora un solido e continuativo interscambio positivo tra la città di Brescia e il mondo accademico che sta prendendo forma all'ombra del Cidneo. Questo nonostante la scelta di aprire alcune delle facoltà nel centro storico, dopo poderosi lavori di ristrutturazione di palazzi storici che hanno consentito nel contempo un percorso di rigenerazione urbana di un'area del centro cittadino per decenni rimasta in condizioni di degrado.
Negli ultimi dieci anni, infine, si è fatto largo nella società bresciana una nuova consapevolezza ambientale, la provincia per il suo passato (e anche il suo presente) di grande concentrazione di produzioni industriali si presenta come un territorio antropizzato e saturo, con grossi problemi di inquinamento industriale. Il civismo ambientale e il grande movimentismo ambientalista a livello territoriale è forse il tratto politico più caratteristico per un territorio che per il resto è sempre stato specchio fedele del Paese, con punte forze avanzate nel corso del Novecento per ciò che riguardavano le esperienze del cattolicesimo democratico. Per il resto fino agli anni Novanta Brescia è stata caratterizzata dalla dinamica Dc-Psi, ma successivamente è stato laboratorio del primo centrosinistra prodromico dell'Ulivo con l'esperienza da sindaco di Mino Martinazzoli in città, ma al contempo ha rappresentato uno dei territori della grande affermazione leghista, che in coalizione con Forza Italia ha sempre fornito una consistente base elettorale per la maggioranza in Regione Lombardia.
La Leonessa d'Italia si trova dunque nel bel mezzo di un percorso di trasformazione e di ridefinizione sociale ed economico e delle proprie vocazioni, schiacciata tra il protagonismo milanese e la costruzione di un'identità che combini la lunga tradizione industriale e le rinnovate ambizioni di centro di riferimento per la regione orientale della Lombardia.
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