All’inizio del XXI secolo Siena si presenta come una delle città più ricche e felici d’Italia. La banca di cui sono divenuti diretti gestori gli eletti degli enti locali è la quarta banca nazionale e sta procedendo a una vasta politica di acquisizioni che partendo da Banca 121 arriverà alla conquista di Antonveneta, poi croce e simbolo del grande crollo. L’Università è al massimo della sua espansione numerica (gli iscritti raggiungono le 20.000 unità), con rapporti e collaborazioni internazionali di prestigio e stabilmente tra le prime nelle classifiche di quantità e di qualità. Il policlinico si è definitivamente trasferito nella nuova sede delle Scotte e sta reclutando scienziati e studiosi in diversi campi. Dal punto di vista politico le forze eredi del vecchio Pci rimangono egemoni, governando Comune capoluogo, Provincia e 33 comuni su 36 della provincia.

Anche nel Welfare Siena si configura come una delle città più attive, con un esteso sistema di asili nido, scuole materne e case di riposo. Ha da poco sperimentato innovazioni di sistema come la creazione della cablatura della città e la nascita di un’Accademia del digitale; l’inserimento dell’arte contemporanea in una città che possiede estese collezioni dei grandi del Trecento, iniziando a progettare quella che da Cesare Brandi in poi è considerata come l’opera attorno alla quale far rifiorire l’acropoli senese: l’antico ospedale di Santa Maria della Scala. L’enorme quantità di moneta circolante dovuta alle erogazioni degli utili (una media di circa 200 milioni all’anno per il periodo che va dal 2002 al 2010) che la Fondazione bancaria ripartisce al territorio consente un benessere diffuso dal quale traggono vantaggio le piccole imprese, il commercio e le tantissime associazioni di carattere culturale e sociale che riescono a sopravvivere solo grazie a questi aiuti.

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Il turismo si sposta sempre più da un turismo d’élite (che visita la città per le iniziative delle sue prestigiose istituzioni culturali come l’Accademia Chigiana o per le mostre di rilievo internazionale come quella di Duccio, oppure in occasione del Palio) a un turismo giornaliero disordinato e non controllato che intasa per mesi il centro cittadino. Infine lo sport: la squadra di calcio che aveva per oltre vent’anni militato nei campionati di serie C si ritrova nel giro di due/tre anni a una doppia promozione e si stabilirà per più di un decennio nella massima categoria. Il basket, che vanta una grande tradizione, si pone anch’esso tra le squadre di vertice a livello nazionale ed europeo, vincendo una serie ininterrotta di scudetti e di coppe. Insomma: il bengodi o un pezzo di «socialismo reale» realizzato nel cuore del capitalismo. Così hanno vissuto i senesi quel primo scorcio di Duemila.

In questo contesto tutto sembra filar liscio. La grande forza di erogazione di contributi permette alle forze al governo della città una sorta di «controllo sociale» che garantisce un’occupazione anche giovanile ben più ampia che altrove, permette un alto tenore di vita, lasciando che vengano affittati in nero agli studenti gli appartamenti, e favorisce pratiche clientelari che in Veneto o Lombardia di direbbero di tipo «leghista». Controllando la Banca e la Fondazione, il potere politico locale orienta le scelte amministrative ma anche, indirettamente, gli stili di vita e i comportamenti dei senesi. Sono tutti concordi, in una logica miope e provinciale, a far mantenere alla Fondazione il 51% della proprietà della Banca, per paura di dover dividere o condividere quel controllo che si vuole assoluto (in tutto il mondo basta tra il 15% e il 25% per mantenere il controllo stabile di un ente simile) e l’operazione Antonveneta si dimostra non solo un’operazione errata e fallimentare, ma l’inizio del crollo dell’intero sistema. Il gruppo di vertice che governa la Banca – si scoprirà – attua un doppio percorso: ai bilanci ufficiali tutti rosei (che permettono l’erogazione degli utili) corrispondono in realtà bilanci disastrosi tenuti a galla con iniezioni di finanza inquinata (Nomura ecc). Il clima che sui respira in città è quello che Elizabeth Noelle-Neumann descrive ne La spirale del silenzio: tutti tacciono per paura di isolarsi rispetto al comportamento generale e alla visione dominante della città sentita come una sorta di «caput mundi», ma anche perché tutti, o quasi, sono di fatto complici consenzienti di un sistema che avvantaggia tutti. Solo qualche voce isolata si leva a denunciare il comportamento dei vertici della banca e dell’assetto di potere cittadino, di quello che, con enfasi, il direttore di un giornale locale definisce come «groviglio armonioso».

La prima ad andare in crisi (con un’accusa amplificata per colpire quello che da sempre è visto come l’ateneo «rosso» per eccellenza) è l’Università, che si ritrova con i bilanci in rosso di circa 200 milioni. In realtà tanti atenei si ritrovano nelle stesse condizioni, ma nella città ci sono forze che gioiscono di questo stato di cose perché hanno sempre malvisto l’autonomia dell’ateneo, una minaccia per la regola di consenso generalizzato alla cultura stracittadina. Pian piano, però, vengono a galla i grandi inganni della banca e, ancor più, le gravi responsabilità di chi ha governato Banca e Fondazione. In particolare va sotto schiaffo l’intero gruppo dirigente del Pd che, qui più che altrove, è nato dalla fusione a freddo tra la vecchia componente post-comunista ancora forte e la sinistra democristiana che da sempre ha agito sul sistema bancario nazionale e locale. L’entità del danno si rivela ogni giorno più rilevante (da considerare il fatto che Antonveneta è costata al Monte dei Paschi oltre 17 miliardi di euro in contanti, pronto cassa nel momento in cui la banca senese disponeva solo di 400 milioni di liquidi e che quindi cercò il restante occorrente sul mercato, dando avvio a un processo di indebitamento che ha provocato i drammatici effetti che conosciamo). Oggi un nuovo vertice viene chiamato a tentare di salvare la banca che dovrebbe essere garantita dall’intervento dello Stato: i provvedimenti legislativi sono stati varati ma manca il si definitivo della Banca centrale europea che intende verificare proprio la reale portata dell’indebitamento e il piano industriale. Negli anni della crisi la città (i suoi vertici ma anche tutte le sue componenti di rilievo) si chiude sempre più a riccio nella sua presunta unicità e specificità, evitando ogni apertura e scelta di internazionalizzazione e sprovincializzazione.

Dalla spirale del silenzio al travaglio di un’intera città che inizia a guardare (e guardarsi) con sospetto. Inizia la caccia alle streghe, con la corsa a smarcarsi e discolparsi e a recuperare uno spirito critico che era mancato in tutta la fase precedente. Tutti diventano grilli parlanti e la stagione dei social e della Rete incentiva un comportamento di massa di accusa e autoassoluzione. I partiti perdono la loro dimensione di massa e il partito (il Pd) che ha governato così a lungo la città e la provincia si divide in correnti e sottocorrenti, perdendo alle amministrative città e paesi che avevano rappresentato la storia della sinistra: Colle val d’Elsa, Chianciano, Pienza, Piancastagnaio, Casole d’Elsa ecc. Si bloccano tutti i grandi progetti (Santa Maria, in primis) e si vive alla giornata, incentivando il turismo che assume anche qui sempre più le caratteristiche del «mordi e fuggi». Perdono peso il policlinico e altre realtà e solo l’ateneo offre qualche timido segnale di risveglio, specie dopo che con una politica di lacrime e sangue è stato risanato il bilancio.

Ma sono avvenute anche altre trasformazioni che ancora non vengono colte nella loro pienezza: il polo farmaceutico, che vanta una antica tradizione, si è trasformato in un centro internazionale di ricerca e di produzione dei vaccini che dà lavoro a migliaia di senesi. Di fatto oggi Siena appare come una città ferita nel suo orgoglio: i senesi, infatti, continuano a considerarsi immeritevoli di tali disgrazie, di cui accusano la politica o i vertici della Banca, senza interrogarsi sulla natura di un sistema di potere e di consenso integrato che aveva bloccato – con rendite di posizione e un sistema allargato di assistenzialismo – ogni apertura all’esterno. Siena è rimasta chiusa dentro le proprie porte, vittima del proprio rivendicato provincialismo, a guardare con sospetto ogni novità che possa rigenerare la vita urbana. Città che si è intristita (nella classifica delle province più felici – una delle tante – pubblicata da «La Lettura» del «Corriere della Sera» di domenica 5 marzo 2017, è posta all’87° posto, ultima tra le toscane) e che non riesce a riprogettarsi.

 

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