Questo articolo fa parte dello speciale
Viaggio
in Italia
21 comuni, all’incrocio fra la via romana del grano e la via dei pellegrini Messina-Palermo, uniti oggi da un’alleanza come uniti furono (con altri centri) dentro la Contea, poi Marchesato, dei Ventimiglia. Sono le Madonie di Sicilia, massicci calcarei e dolomitici, inghiottitoi e pianori, fiumi, boschi e aree protette, e poi i borghi, piccoli e grandi, raccolti sotto i nomi di Geraci e Castelbuono, Gangi e le due Petralie, Polizzi e Pollina, Scillato e Collesano e altri dodici ancora. Una crisi demografica in accelerazione da decenni (gli abitanti, già scesi a 83.000 nel 1971, sono ora meno di 60.000, con una caduta in accelerazione). Ma anche, robusti segni di vitalità civile, imprenditoriale (stazionario il numero di giovani «conduttori agricoli», che invece in Italia è crollato del 30% in un decennio), amministrativa e culturale.
>> Le Madonie: i principali dati socio-demografici
Sono queste le due caratteristiche, gli scuri e i chiari, che, con pesi e accenti diversi, distinguono tutte le «aree interne» del nostro Paese. Dove quasi 5 milioni di italiani vivono lontani dai servizi fondamentali, di scuola, salute e mobilità ferroviaria, «a guardia» di un terzo del territorio nazionale. E dove da cinque anni è in atto una Strategia nazionale, monitorabile dai cittadini (è da qui, dal lavoro di una gran squadra, che vengono i dati e le idee di queste note).
Nelle aree interne si manifesta la versione italiana della nuova faglia città-campagna che segna il mondo intero, e che in Occidente è fonte di profondi sconvolgimenti politici (Brexit e Trump, Austria e Francia). Una faglia che vede i cittadini delle «aree rurali» fuori dall’orizzonte delle élite nazionali, penalizzati nei servizi pubblici e privati e nelle scelte di investimento, mortificati talora come luoghi di svago (amenities) e nostalgia. Torneremo altrove su questa faglia e sul peso che le minacce economiche, sociali e normative percepite nelle aree che si sentono «abbandonate» – assieme a tutte le «periferie» – hanno sui sentimenti montanti di intolleranza e sulla domanda di autorità forti. Qui le Madonie ci raccontano la peculiarità nazionale di questa vicenda globale: la potenzialità rigeneratrice e innovativa di queste aree. Che potrebbe fermare e invertire la degenerazione in atto.
Il declino demografico delle Madonie trova origine, come altrove, sia nell’accesso assai difficile e nella qualità dei servizi, sia nella carenza di lavoro.
La distanza media (per via stradale) dai poli che offrono l’intera gamma dei servizi essenziali è di 55 minuti, la mobilità pubblica sporadica o assente, la frammentazione dei plessi scolastici estrema (si vive di deroghe e gli alunni non hanno occasioni adeguate di socializzazione – oltre la metà degli alunni della primaria e un terzo della secondaria di I grado sono in classi con meno di 15 componenti, il triplo degli standard nazionali), i risultati delle prove Invalsi rivelano preoccupanti livelli di apprendimento, assai inferiori alla media nazionale. Quanto all’economia, essa si affida in larga misura alle costruzioni, mentre il turismo parte da una modesta capacità ricettiva e l’agroalimentare non compensa l’assenza di manifattura. Il Parco delle Madonie, che consente una gara automobilista nelle sue terre, non ha ancora i sentieri ben tracciati. E poi, tratto anche questo ricorrente, l’area «svende» le proprie risorse naturali. Dall’inizio di questo secolo l’area è tornata a essere produttrice di energia tramite un parco fotovoltaico diffuso e 8 impianti eolici, che producono circa il 50% del fabbisogno energetico, ma il territorio non ne ricava né lavoro né un minore costo dell’energia.
Eppure assieme a tutto ciò si stagliano i segni di vitalità, con un ruolo significativo dei giovani.
Le Madonie hanno sviluppato competenze nel trattamento delle patologie della senescenza per prendere in carico le fragilità della popolazione anziana, fino a farne una specializzazione dell’area. Tra i centri di riabilitazione e cura si è affermata un’esperienza che offre servizi all’esterno dell’area per i diversamente abili e di recupero delle fragilità giovanili, in particolare di minori ai quali il Centro per la Giustizia minorile di Palermo concede una misura rieducativa alternativa alla pena. Questa competenza si manifesta tanto a vantaggio della popolazione storica – con un tasso di ospedalizzazione evitabile inferiore, e dunque un’efficacia del presidio territoriale superiore, del 20% allo standard nazionale – quanto in una notevole capacità di accoglienza dei migranti (come avvenuto dal 2013, con migranti siriani): «tanto per noi che per loro».
E poi c’è il ritorno dei giovani alla terra. Da anni, con il contributo della Fondazione Slow Food per la Biodiversità, e poi con il contributo della Fondazione con il Sud, aziende e cooperative di giovani agricoltori lavorano per recuperare produzioni a rischio di «erosione genetica» come alcune varietà locali di grani antichi, la manna (linfa estratta dalla corteccia del frassino), il miele dell’ape nera sicula, l’albicocca di Scillato, il fagiolo «badda» di Polizzi Generosa. La novità è la capacità di costruire filiere corte che si sottraggano, come è avvenuto per il bergamotto delle fiumare dell’Aspromonte, al controllo dei rentier dell’intermediazione. Ad esempio, la raccolta della manna, dolcificante che non modifica il livello glicemico (e dunque adatto ai diabetici), era stata interrotta dalla produzione del mannitolo, ma è ora ripresa grazie a nuove tecniche di raccolta e alla vendita diretta. La sfida è ampliare un mercato che riconosca le specifiche caratteristiche nutraceutiche di questi prodotti. In questo processo di ritorno alla terra e alle colture tradizionali, hanno avuto un ruolo fondamentale alcuni anziani proprietari che hanno concesso in comodato d’uso gratuito i propri terreni, attivando con i neo-agricoltori anche uno scambio di saperi. I risultati positivi hanno predisposto altri proprietari alla concessione delle proprie terre, mentre alcuni giovani agricoltori interessati ai temi della permacultura e del «consumo critico» guardano alle esperienze madonite come esempi di economia delle relazioni che generano nuove opportunità lavorative.
L’apertura dell’area all’innovazione è simboleggiata dal Parco Astronomico. Il cielo delle Madonie è noto in campo astronomico per l’elevato numero di notti fotometriche, cioè notti in cui il cielo è scientificamente osservabile nel corso di un anno: questa risorsa è stata sfruttata, con intuito dell’amministrazione comunale, per realizzare il Telescopio Fly-Eye, unico al mondo, per la scoperta e il monitoraggio di detriti spaziali e asteroidi pericolosi per la Terra. La proiezione esterna viene anche da Ypsigrock, il festival di musica indie organizzato a Castelbuono dal 1997, con pubblico da tutta Europa, primo festival italiano candidato agli European Festival Awards. E, in potenza, dal Geopark delle Madonie, riconosciuto dall’Unesco per il valore geomorfologico e come sentiero geologico urbano europeo che crea continuità tra centri abitati e ambienti naturali.
Infine, c’è un segno non comune, la forte coesione fra i Comuni delle Madonie. Già sperimentata con il patto territoriale del 1996, che ha visto affermarsi competenze tecniche a disposizione permanente del territorio, questa coesione sta compiendo oggi un nuovo salto.
Per tutti questi tratti di innovazione e coesione c’è forse una radice storica. Anzi tre. Il lungo governo equilibrato dei Ventimiglia, che non hanno privilegiato Geraci, a lungo capitale dell’area, investendo in tutti i centri e favorendo la mobilità interna, foriera di matrimoni a cavallo dei borghi. E poi, proprio a Geraci, la disponibilità, dopo la fine del feudalesimo con la Costituzione siciliana del 1812, di vaste terre per uso civico, e dunque la pratica nell’uso di beni comuni per pastorizia e legname. E infine, a Gangi o nelle Petralie – dove al 1812 segue invece la concentrazione in latifondi – la lotta per la terra del dopoguerra, con la costituzione di cooperative agricole, in attuazione della legge Gullo-Segni per attribuire ai braccianti le terre incolte: come la Cooperativa La Madre Terra con 500 contadini, diretta dal sindacalista Cgil Epifanio Li Puma, ucciso il 2 marzo 1948 dalla mafia agraria mentre lavorava nei campi.
Ma l’ingegno e i sacrifici del passato a nulla valgono se manca la visione e il coraggio nel presente. Sta qui il salto, il modo forte, con cui l’area ha saputo cogliere il potenziale «destabilizzante», della Strategia aree interne (cfr. Uscire dal vecchio mondo). La visione del futuro, costruita in oltre due anni di serio lavoro, lontano dalla pratica dei «progetti cantierabili nel cassetto», è riassunta dalle parole secche scelte dal territorio: «sovranità alimentare e energetica». Esse non celano alcuna visione nostalgica, autoreferenziale e autarchica. Quella intravista dalle Madonie è il contrario della sovranità chiusa con cui i demagoghi rispondono oggi alle minacce avvertite dal mondo rurale. È una prospettiva di avanzamento sociale costruita recuperando potere negoziale e dignità e spendendoli per stare al tavolo della globalizzazione per costruire un modello di produzione, distribuzione e consumo degli alimenti e dell’energia che interessa alla comunità, per valorizzare le competenze, per non delocalizzare le catene di valore commerciale e offrire nuove opportunità di lavoro.
Ecco allora alcuni dei progetti concreti che ne derivano e che stanno per partire. Una «Rete Scolastica delle Madonie» per costruire un unico Piano triennale dell’offerta formativa e all’interno di questo sfruttare le intelligenze già presenti nel territorio per migliorare le competenze in matematica e scienze (grazie al lavoro con il Parco Astronomico), fare educazione ambientale nel Geopark o educazione alimentare, FabLab per produrre prototipi di impianti per le energie rinnovabili. E poi, impianti ibridi di piccola scala per sfruttare le risorse del sole e agroforestali, e piattaforme di raccolta, trattamento, confezionamento e stoccaggio di biomassa da filiere corte: per assicurare il 100% del fabbisogno da fonti rinnovabili. Un piano del cibo, che affronti salute e sicurezza ed educazione alimentare, completando due filiere, del grano e zootecnica, nelle quali accelerare l’innovazione. L’accesso di nuovi giovani alla terra, mappandone le disponibilità e sostenendone economicamente i processi di insediamento e apprendimento. Il potenziamento dell’assistenza domiciliare integrata, oggi carente, e l’investimento in rete nei servizi di cura alle persone anziane e di recupero delle fragilità giovanili, sfruttando le competenze già accumulate. E infine, con gradualità e senza illusioni, l’uso di tutto ciò per sviluppare il turismo con l’uso di metodologie moderne di protagonismo della comunità.
Settanta storie come questa – una per ognuna delle aree-progetto della Strategia aree interne – attendono di essere scritte per raccontare, con gli scuri e i chiari, un «Paese nel Paese» che sta esplorando una strada nuova di sviluppo.
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