editoriale
Con le elezioni europee quest’anno è in gioco qualcosa di più importante del solito: un censimento pro o contro il tentativo di procedere e insistere sulla strada dell’unità europea. È in questo modo che gli autori degli articoli europei qui presentati leggono la crisi del grande progetto di Unione. È quanto fa Yves Mény nella sua sintesi magistrale dei problemi che la costruzione di un percorso unitario affronta; mentre, sulla stessa lunghezza d’onda, Nadia Urbinati tratteggia la mancata formazione di un demos europeo, insieme causa ed effetto del deficit democratico e dell’incapacità delle istituzioni europee di incidere sui problemi che affliggono gran parte del Paesi dell’Unione. Burocratismo, autoritarismo e autoreferenzialità, certo. Ma anche il nazionalismo degli Stati membri e l’operare dei sistemi politici nazionali contribuiscono ad ostacolare la formazione di un demos che possa esprimere un vero Parlamento e si senta da esso rappresentato. Vanno in questa direzione critica, tra gli altri, anche le analisi di Giuseppe Berta e di Richard Bellamy. Oltre i temi europei, vanno segnalati almeno il profilo di Max Weber, nel centocinquantesimo della nascita, e l’analisi di Enzo Cheli che prende spunto dal lavoro della commissione di esperti sulla riforma costituzionale.
Il saggio d’apertura di Francesco Tuccari è una guida densa ed efficace alle ragioni profonde della crisi attuale; ad esso sono utili complementi l’articolo sul ritorno della diseguaglianza di Melloni e Soci e la recensione di Magali Sarfatti Larson all’importante libro di Block e Somers su The Power of Market Fundamentalism.
Il saggio d’apertura di J.H.H. Weiler chiarisce subito una verità drammatica: sta crollando un quadro relativamente stabile e prevedibile di rapporti di forza internazionali. E non sono good news per noi europei.
I lettori avranno tra le mani la rivista dopo le ferie estive, mentre questo editoriale viene scritto prima: ci auguriamo che il clima sarà allora cambiato, perché quello che si percepisce adesso, e trapela da questo numero, non è certo entusiasmante.
Apriamo con Avishai Margalit e la sua tesi originale e profonda, che fa riflettere se si pensa all’Europa e all’assenza di un demos europeo: la vera libertà si può esercitare solo quando «ci si sente a casa», nel proprio Paese.
Il numero è aperto da un saggio di Michele Salvati che, richiamandosi ironicamente ai vecchi standard da congresso di partito, tenta quella che si sarebbe detta un tempo l’«analisi della fase».