Con un valore aggiunto pro capite di 26.516 euro nel 2015 (superiore a quello di Torino), un tasso di disoccupazione «tedesco» (5,3%) e una disoccupazione giovanile (17%) che è meno della metà della media italiana, il Cuneese è la vera sorpresa dell’economia e della società del Nord, in particolare del Nord Ovest.

Pochi se ne sono accorti, ma è una crescita che dura da decenni, nonostante la crisi abbia colpito anche qui: ma con un recupero più veloce e flessibile.

>> Cuneo e provincia: i principali dati socio-demografici 

Eppure da anni accumuliamo evidenze che il Cuneese, periferico nella dislocazione geografica e nell’attenzione politica, sta al centro del Nord. Le classifiche sulle città, prodotte dal Progetto Nord e pubblicate nel volume La crisi italiana nel mondo globale. Economia e società del Nord (Einaudi, 2010), ponevano Cuneo insieme a Bergamo tra le migliori città in termini di performance economia-sostenibilità-ambiente. Anche la classifica del capitale territoriale (un indice sintetico di dotazione e di attività dei territori) contenuta nel volume collocava in bella evidenza Cuneo, che pur perde posizioni per via del deficit infrastrutturale e soprattutto per la ridotta dotazione di capitale cognitivo.

Le ricerche territoriali recenti condotte dal Progetto Nord hanno evidenziato inoltre che Cuneo è, insieme a Torino, l’area piemontese in cui è continuata la dinamica complessivamente positiva della popolazione insediata, mentre altre province piemontesi sono caratterizzate da un declino demografico di lungo periodo dei loro comuni. Oggi il Cuneese è in sostanziale equilibrio demografico, frutto di un saldo naturale migliore rispetto al resto del Piemonte e di una crescita maggiore della componente di immigrazione straniera (cresciuta fino al 10% della popolazione).

Nel Nord «mosaico territoriale», quindi, Cuneo (città di 56.000 abitanti in una provincia vicina ai 600.000) è una tessera preziosa e pregiata, ma sottovalutata. Eppure il 40% del prodotto agroalimentare piemontese si produce nel Cuneese (oltre 30.000 imprese in questo cluster): nella sua provincia (Alba/Bra/Langhe/Roero) sono ospitate solidamente alcune imprese leader nazionali della filiera agroalimentare (che include anche, tanto per capire, la produzione di vetro per il vitivinicolo e la logistica, oltre tutto l’indotto del confezionamento e della conservazione). I prodotti Dop e Igp piemontesi sono concentrati nel Cuneese. Il 52% delle aziende biologiche piemontesi si trova nel Cuneese, che è in testa anche per energie rinnovabili (fotovoltaico e idroelettrico), e per aziende che investono nel green. Anche il turismo è in crescita, come risorsa per uno sviluppo sostenibile, specie nelle valli Maira, Grana, Gesso e Varaita, che soffrono di spopolamento (mentre nelle più note aree vinicole e di paesaggio Unesco, Langhe e Roero, il 60% dei turisti sono visitatori stranieri).

"Ad Alba la Ferrero del cioccolato cresceva a vista d'occhio come una torta ricca di lievito", scriveva Nuto Revelli descrivendo la Cuneo degli anni Sessanta. Oggi non tutto è agroalimentare; pur essendo il rapporto tra industria e agricoltura la vera cifra del territorio, esistono altri settori avanzati come la meccanica soprattutto a Fossano e Savigliano, con la Alstom Ferroviaria, paragonabile a colossi come Ansaldo (Genova) e Bombardier (Savona), e la logistica (con Lannutti): altri cluster sono la filiera del legno-carta (a Saluzzo e Mondovì), mentre i servizi alle imprese si concentrano nella città di Cuneo. Un fattore-chiave è quello della connessione trasportistica, oggi quasi integralmente su gomma (solo il 3% viaggia su ferro, nonostante la possibile implementazione di trasporti ferroviari che richiedono carri refrigerati). L’idea di connettere il Cuneese ai porti liguri, Genova e Savona, con una più forte componente ferroviaria sull’asse Alba-Genova, Cuneo-Mondovì-Savona, e la formazione di un compact porti-ferrovie-dogane-imprese è stato al centro dei lavori di ricerca promossi in questi anni dalla Fondazione Cr di Cuneo. Un Living Lab ha sviluppato negli ultimi anni proposte progettuali e un metodo di lavoro apprezzato dalle imprese, che meritano di essere ripresi e messi in attuazione.

Ma è singolare il ritardo della politica, e specie della Regione, nel cogliere le novità dei contesti territoriali e dello sviluppo locale. Non fa eccezione Tecnogranda, centro di ricerca e polo tecnologico regionale dell’industria agroalimentare, mai decollato e sempre con i bilanci in rosso.

Le ricerche condotte fanno il quadro di questo settore agroalimentare per molti aspetti decisivo e trascurato. Decisivo perché concorre in modo significativo al nuovo made in Italy, all’export di qualità, all’accumulazione nelle filiere pregiate. Trascurato perché la politica agricola italiana è stata a lungo inchiodata ai sussidi, alle venature localiste e a lobbies rumorose e coreografiche. Non che la politica agricola comunitaria aiuti: essa è stata a lungo la collezione di politiche nazionali di assistenza a ceti «premoderni» in chiave elettoralistica (un vecchio testo di Suzanne Berger e Michael Piore sul dualismo economico e la politica in Italia e Francia è ancora utile a farcelo capire).

E invece a Cuneo troviamo molti elementi per dire che il modello che si è realizzato in questa parte del Nord, insieme ad altri territori che stanno tra Emilia, bassa Lombardia e Veneto, rappresenta un peculiare percorso di sviluppo verso una «seconda modernità» dell’agroindustria. Quella basata su innovazione e certificazione dei prodotti, sulla tracciabilità delle filiere, su nuovi impieghi di tecnologie, in alcuni casi, su ricerca e sviluppo sofisticati per la produzione, la conservazione, il packaging e la commercializzazione dei prodotti. E nel Cuneese è sorta non per caso una prestigiosa struttura universitaria, quella di Pollenzo, interamente dedicata allo sviluppo incisivo, sostenibile e internazionalizzato dell’agroalimentare di qualità.

Le reti di Cuneo, reti imprenditoriali ovviamente, rendono visibili – ma pochi lo sanno – accanto a reti corte (che pure sono utili e importanti) anche reti lunghe proiettate nell’intero Nord e nel mondo. Da un lato Cuneo, che fino a pochi anni fa esportava le proprie materie prime che sarebbero state lavorate in altri luoghi e lì avrebbero creato la maggior parte del valore (l’esempio della produzione suinicola cuneese destinata alla stagionatura nel parmense e al marchio Dop emiliano), ha invertito a proprio favore il trend. Oggi Cuneo importa materie prime, le lavora ed esporta prodotti finiti di qualità con il proprio marchio. Dall’altro lato, le reti di Cuneo, grazie a medie imprese numerose e dinamiche e a leader mondiali qui presenti (la più nota è Ferrero), si allungano su scala globale e l’export cuneese ha spinto in alto il dato piemontese (anche negli anni di severa flessione appena trascorsi). Per seguire questo percorso di sviluppo, le imprese hanno avuto bisogno di creare consorzi, di selezionare verso l’alto l’offerta tecnologica, di sviluppare la filiera, di far crescere l’ufficio tecnico e di investire in ricerca.

«Siamo come l’Emilia di 15 anni fa»: la frase di uno degli imprenditori intervistati in una ricerca sulle reti imprenditoriali coglie bene l’orgoglio per questo avanzamento virtuoso dell’intero sistema. È un sistema sociale prima ancora che economico a essere indicato con questa frase: fatto di relazioni fiduciarie e di norme di cooperazione. Forse con questo riconoscimento cade un’altra barriera della vecchia distinzione tra Nord Ovest e Terza Italia: Cuneo è un pezzo di economia e società ben radicato nel Nord Ovest ma talmente simile alla Terza Italia di qualche anno fa da farne parlare come di una replicazione di quel modello un tempo vincente.

Con questa contaminazione tra elementi diversi (filiere e medie imprese dinamiche, settori tradizionali, marginalità geografica e politica) Cuneo contribuisce a mettere in chiaro quello che a proposito di Nord sta emergendo anche altrove: è un sistema integrato, fatto di flussi e dinamismi che il localismo non è più in grado di rappresentare e di contenere. Si spera che con questa riflessione strategica sappiano fare i conti le élite locali e regionali, e siano consapevoli anche dei punti di debolezza e delle incognite tuttora aperte. Prima fra tutte, la dotazione assolutamente insufficiente di capitale cognitivo: a Cuneo vi è il tasso di abbandono scolastico più alto del Piemonte, e anche in questo record negativo sembra simile al Nord Est di qualche anno fa. E la spesa in cultura, del tutto insufficiente, è stata ulteriormente tagliata a causa della crisi. Tutto ciò rende urgente aumentare l’investimento in capitale umano, formazione, università. In secondo luogo, il già ricordato svantaggio logistico: che rende altrettanto urgente completare le infrastrutture e i servizi del trasporto su ferro, della logistica delle merci e delle reti intelligenti.

 

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