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in Italia
Non v’è dubbio che nell’immaginario collettivo, fuori ma anche entro i confini del Molise, alla città di Campobasso si faccia fatica ad associare un’idea diversa da quella di piccolo e periferico capoluogo di una regione e di una provincia del Centro Sud, scarsamente abitate e a impronta prevalentemente rurale. Si tratta di una percezione radicata e diffusa, anche perché alimentata da schede descrittive sommarie e banali propinate sin dalla scuola primaria. Così per lo più si tende a ignorare completamente quanto la storia di Campobasso sia lunga, ricca e interessante. Per certi versi unica. Si dimentica spesso quante tracce di vicende umane, antiche anche di millenni, siano presenti sul suo territorio; quanto intenso sia stato il coinvolgimento della città e della sua gente in tutti gli snodi decisivi dell’epoca moderna e contemporanea, dal punto di vista politico, sociale, artistico e culturale. Qui si sono potute incontrare e fondere culture, modi di vivere, tradizioni che altrove non hanno avuto modo di venire in contatto.
Per la sua particolare posizione, al centro tra il Tirreno e l’Adriatico – tra le vette del Matese e la piana del Biferno, tra Campania, Lazio e Puglia – Campobasso è da sempre crocevia strategico, centro e punto di riferimento di una vasta area ricca di risorse agricole e idriche, collocata alle porte di due grandi e antiche capitali europee come Napoli e Roma. Una città, dunque, che ha vissuto pienamente, sia pur da un angolo visuale appena defilato, tutti i più significativi processi di cambiamento, talvolta drammatici, che hanno interessato l’Italia e l’Europa.
>> Campobasso e provincia: i principali dati socio-demografici
I fatti che Campobasso racconta e può raccontare non sono perciò pochi. Anzi, la sua particolare e poco nota condizione di protagonista e testimone di vicende assai significative della storia del nostro continente, dalle guerre sannitiche alla dominazione longobarda e poi normanna, dalla rivoluzione napoletana del 1799 alla Seconda guerra mondiale, la rendono una città ricca di tesori, alcuni disvelati, ma tanti altri ancora nascosti, nel campo artistico, architettonico, musicale, culturale, archeologico.
A chi ha la fortuna di conoscerla, Campobasso perciò si rivela come meta d’inaspettato fascino. Una città in cui, lontanissimi dal caos delle aree metropolitane, si può ancora avvertire, quasi fisicamente, in un’atmosfera di sospensione del tempo, il respiro di un passato lungo, nobile e discreto, che riemerge con forza in alcune cerimonie pubbliche di rara suggestione, come quelle del Venerdì Santo e dei cosiddetti Misteri, macchine processionali settecentesche, che sfilano nelle vie della città il giorno del Corpus Domini. Gli ingegni, sorretti da decine di portatori, sono dei veri e propri tableaux vivants, che rappresentano momenti di vita della Chiesa ed episodi biblici.
Capoluogo del Molise (la più giovane regione italiana, istituita soltanto nel 1963), oggi Campobasso conta più di 50.000 residenti e un numero di gran lunga maggiore di abitanti; in opposta tendenza rispetto a tanti paesi e centri urbani delle aree interne, che hanno visto e vedono progressivamente decrescere la propria popolazione, Campobasso è in continua espansione sia sotto il profilo demografico sia, in modo parallelo e corrispondente, sotto quello edilizio. Non solo: negli ultimi decenni la città ha conosciuto un nuovo impulso culturale. E questo – se mi è consentito dirlo, da Rettore – grazie alla presenza di una Università giovane ma molto viva e dinamica, con diversi corsi di laurea, biblioteche e una Scuola di specializzazione per le professioni legali. Molti sono gli studenti provenienti da altre regioni che scelgono di iscriversi all’Università del Molise, un Ateneo a misura d’uomo come la città che lo ospita.
In uno scritto apparso nel 1941 sulla terza pagina del “Giornale d’Italia”, intitolato Urbanità di Campobasso, Francesco Jovine, scrittore molisano tra i più rappresentativi del Novecento, così descriveva la parte nuova della città, quella che si sviluppa ai piedi del monte alle cui pendici vi è l’antico borgo medioevale con belle chiese romaniche: «Quando vi arrivi essa allinea davanti ai tuoi occhi tutti i suoi edifici pubblici, i suoi monumenti, le sue scuole, i suoi alberghi: tutto è comodo, a portata di mano come nei quartieri europei delle grandi città orientali». E questo modo di essere – aggiungeva Jovine – «allevia il peso del vivere, dà alla personalità un senso di signorile sufficienza che le metropoli europee non conoscono».
La città nuova ha preso forma negli ultimi due secoli, da quando, agli inizi dell’Ottocento, Campobasso divenne capoluogo di provincia e nacque la cosiddetta «città murattiana» (dal nome di Gioacchino Murat, che nel 1814 acconsentì alla costruzione della parte nuova della città), con ampi viali, piazze alberate, giardini, ville, edifici pubblici e di culto. Ma anche esempi interessanti di edilizia otto-novecentesca, tra i quali spiccano per sobrietà architettonica e, insieme, per imponenza la Chiesa Cattedrale, il Teatro Savoia, il Palazzo della Prefettura, quello della Banca d’Italia e il Convitto nazionale «Mario Pagano», che fu sede di uno storico Liceo classico nel quale, tra il 1898 e il 1900, insegnò un giovanissimo Giovanni Gentile. Proprio Gentile così si esprimeva, in una sua lettera: «Campobasso è degna che ci si venga almeno una volta in vita». Essa è «composta da una parte nuova, in via di formazione, e da una parte vecchia che giace sulla costa di un monte», da cui si gode «uno dei panorami più magnifici e più belli su cui possa girare l’occhio umano». Al centro della «città murattiana» vi è la maestosa statua bronzea di Gabriele Pepe, che fu scelto dagli abitanti di Campobasso a simbolo della partecipazione molisana alle lotte del Risorgimento.
Di altre lotte, molto più antiche ma non meno sanguinose, fu testimone il Castello Monforte, in cima al monte che domina la città. Costruito su una precedente fortificazione sannitica (secondo alcuni) o longobarda (secondo altri), venne ricostruito interamente dopo il terremoto del 1456 da Cola di Monforte, conte di Campobasso. Cola di Monforte ebbe un biografo d’eccezione: Benedetto Croce, che ricercò con dotta e minuta pazienza i fatti della sua vita e li illustrò con rigorosa efficacia (Un condottiero italiano del Quattrocento: Cola di Monforte conte di Campobasso e la fede storica del Commynes, 1934). Nella primavera del 1932, Croce si recò a Campobasso per vedere il luogo del dominio feudale del Monforte e per svolgere ricerche d’archivio. Di questa visita parla egli stesso, ricordando che la nonna paterna apparteneva a una famiglia di Campobasso e che di tanto in tanto da lì veniva a trovarla un fratello di lei, il quale portava in dono forbici e coltelli e temperini e altri oggetti pregiati dell’artigianato locale. Ancora oggi sopravvive qualche artigiano che si dedica a questa antica arte dell’acciaio lavorato e finemente cesellato a mano (che è ciò che resta di un’ancora più antica manifattura molisana delle armi).
Una forma di artigianato diversa, ma non meno importante, è quella che si esprime nei prodotti gastronomici, molti dei quali continuano a essere realizzati secondo antiche tradizioni: paste fatte a mano di varie dimensioni e forme, solitamente accompagnate a legumi, a funghi e tartufi (di cui abbonda il territorio fitto di boschi); polente e pizze di granturco, che si insaporiscono con verdure e carne di maiale; salsicce, salami e prosciutti; formaggi secchi e freschi dei pascoli d’altura. Alla base dell’alimentazione molisana vi è un ambiente naturale ancora in gran parte preservato da processi di degenerazione e di inquinamento, in grado di garantire purezza, integrità, sapori autentici.
Certo, anche Campobasso ha difetti e manchevolezze: costruzioni disordinate e anarchiche nelle periferie, anche qui come in molte altri parti d’Italia, proliferate a partire dalla seconda metà del Novecento; un’inefficiente rete di trasporti e comunicazioni; un’atmosfera a tratti ancora provinciale di città cresciuta troppo in fretta. Ma gode anche un suo innegabile incanto: è facile uscire dalla città e ritrovarsi nella prossima campagna, oppure allontanarsi dalla città nuova per immergersi nel borgo medioevale, che si inerpica con le casette grigie, i vicoli tortuosi, le sue interminabili scalinate verso il Castello, in un silenzio interrotto soltanto da qualche voce o da rumori di attività antiche. In questa compresenza di natura e cultura, di storia e modernità, risiede il fascino della città e al tempo stesso sta il suo nutrimento intrinseco.
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