Con la lettera apostolica in forma di Motu proprio Ad charisma tuendum resa nota lo scorso 8 agosto, papa Francesco, in attuazione della Costituzione apostolica Praedicate Evangelium del 19 marzo 2022, ha modificato i canoni 295-296 del Codice di diritto canonico relativi alle prelature personali. Siccome l’unica con questa configurazione era la Prelatura personale denominata Santa Croce e Opus Dei, su questa è calato il provvedimento. Esso pone la Prelatura alle dipendenze del Dicastero per il clero (art. 1); impone al prelato di presentare ogni anno una relazione sullo stato della Prelatura a detto dicastero (art. 2); sottopone i suoi riformandi statuti all’approvazione dei competenti organi della Santa Sede (art. 3); stabilisce che il prelato non sia e non possa essere un vescovo (art. 4) e che tutte le questioni relative alla Prelatura, in precedenza trattate dalla Congregazione per i vescovi, passino sotto la giurisdizione del Dicastero per il clero (art. 6).

Calato nella rovente pausa estiva, non si può dire che i media abbiano prestato al documento la necessaria attenzione. Che, invece, riveste notevole importanza qualora lo si valuti in relazione alla storia dell’Opus Dei e nel contesto dell’attuale pontificato.

Siamo nel 1928 quando, a partire dall’idea che si possa pervenire alla santità attraverso l’impegno in campo lavorativo e professionale, un giovane sacerdote aragonese di nome José María Escrivá de Balaguer concepisce il proprio progetto. L’intuizione è originale perché coniuga con spregiudicatezza l’immersione sine glossa nel mondo così com’è con l’obbedienza piena all’insegnamento del magistero e la mortificazione corporale. Ma è soprattutto moderna per la formula della “santificazione del lavoro”, che richiama quel significato riverenziale, morale e religioso del denaro di cui scrive proprio negli stessi anni uno degli ideologici della destra reazionaria spagnola, Ramiro de Maeztu, dopo essere rimasto folgorato, durante un viaggio dell’estate del 1925 negli Stati Uniti, non dalla democrazia, ma dalle virtù del capitalismo. Sarà poi ambasciatore della dittatura di Primo de Rivera in Argentina dal 1928 al 1930, divenendo l’apprezzato interlocutore e suggeritore del nuovo nazionalismo cattolico platense.

Influenzato da Max Weber, Maeztu individua la causa dell’arretratezza dei popoli latini negli ideali cristiani di povertà e nel mancato intreccio tra economia, morale e religione che contraddistinguerebbe, sia pure in modo diverso, l’etica di protestanti ed ebrei. Se «il genio economico può paragonarsi alla santità» – scrive – si deduce che i Ford e i Rockfeller, che sanno arricchirsi arricchendo gli altri, «sono i veri santi del Paese». Di qui l’enunciazione che la modernizzazione della Spagna e dell’America Latina debba passare attraverso la conciliazione del cattolicesimo con il capitalismo: adattamento e tentativo di trasposizione nel contesto cattolico di quanto messo a fuoco dal sociologo tedesco ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo.

Il giovane Escrivá de Balaguer, non si sa se a conoscenza di quanto va scrivendo Maeztu, ne riprende, di fatto, il pensiero. Lo fa con una serie di aforismi che pubblica con il titolo Camino nel 1934, e nel 1939 nella versione definitiva. Un testo che bilancia la povertà teologica con l’autoritarismo clericale di cui è intriso, il cui impatto rappresenta un caso di studio su come il rapporto tra la montagna e il topolino possa presentarsi storicamente in modo capovolto. Dagli anni Quaranta, infatti, l’Opus Dei ha una crescita esponenziale in Spagna, in Sud America e poi nel resto del mondo. Durante gli anni della dittatura franchista uomini dell’Opus Dei occupano il Consiglio superiore delle ricerche scientifiche, ottengono numerose cattedre universitarie e conquistano posti di primo piano nel regime. Carrero Blanco, l’uomo di fiducia di Franco, promuove alla fine degli anni Cinquanta l’ascesa al governo di alcuni uomini dell’Opus Dei: i cosiddetti tecnocrati che avviano la fase tecnocratica del regime. L’errore fu allora quello di pensare che fossero guidati dai vertici dell’Opus Dei, mentre agivano in piena autonomia, essendo per formazione del tutto estranei al cattolicesimo democratico, dunque plasmati per risultare organici a un sistema illiberale e autoritario. Alcune personalità dalla stessa appartenenza, poi esibite a riprova del pluralismo politico dell’Opus Dei, dissentirono dal franchismo, ma di veri e propri oppositori non ve ne furono.

La compromissione con il franchismo e l’opacità dell’organizzazione alimentano un immaginario collettivo negativo sull'Opus Dei

Nel frattempo, dal giugno del 1946, Escrivá de Balaguer è in Italia, dove da Roma intesse per trent’anni, fino alla morte, nel 1975, una fitta rete di rapporti con gli ambienti della curia romana a vantaggio della propria creatura e, superfluo dirlo, di se stesso. Il suo compito è tutt’altro che facile perché la compromissione con il franchismo, l’opacità dell’organizzazione, la nomea di “mafia bianca”, miti e narrazioni poco fondati, ne ostacolano il cammino. Facendo leva sulla modernità di cui s’è detto, l’Opus Dei, prodotto tipicamente spagnolo della Chiesa di Pio XI e Pio XII, approfitta del rinnovamento conciliare raccontando di esserne precorritrice e parte, ma basta leggere il ruolo subalterno che Camino assegna ai laici per rendersi conto dello sproposito. E, non bastasse, basterebbe aggiungere la lettura della testimonianza dell’ex numeraria (il grado più alto degli affiliati) Emanuela Provera, Dentro l’Opus Dei (Chiarelettere, 2009).

Comunque sia l’attività romana di Escrivá de Balaguer sortisce, sia pur lentamente, gli effetti da lui auspicati. Nel 1969, regnando Paolo VI, prende avvio il processo di istituzionalizzazione della sua creatura, ma è papa Wojtyła a compiere il passo decisivo riconoscendo all’Opus Dei lo statuto di Prelatura personale con la Costituzione apostolica Ut sit del 28 novembre 1982. A cui segue nel 1992 la beatificazione del fondatore e, con sfarzo inusitato, la sua canonizzazione il 6 ottobre 2002. Non un episodio, ma una precisa linea politica, pastorale ed ecclesiale.

Regnando il papa polacco, infatti, nel 1982 Comunione e liberazione è riconosciuta come “Associazione di diritto pontificio”, l’anno dopo sono approvati gli statuti dei Legionari di Cristo, il 30 agosto 1990 è il Cammino neocatecumenale a ricevere l’avallo del pontefice con la lettera Ogni qualvolta, mentre i suoi statuti saranno approvati nel 2002. Intanto, nel giorno di Pentecoste del 1998, si è svolto a Roma il Congresso internazionale dei movimenti ecclesiali. I nuovi (si fa per dire, perché la loro nascita risale a diversi anni prima) “eserciti del papa”, tutti con i propri seminari preposti a sfornare un ceto sacerdotale parallelo.

Occorre riconoscere che l’Opus Dei non ha goduto di buona stampa. Ad alimentare negativamente l’immaginario collettivo sono anche il romanzo di Dan Brown Il Codice da Vinci (2003), seguito nel 2006 dall’omonimo film di successo diretto da Ron Howard, solo assai parzialmente bilanciati dal film goffamente agiografico del 2011 There Be Dragons (Un santo nella tempesta, nella versione italiana) di Roland Joffé, guarda caso il regista del ben più riuscito The Mission (1986).

Nonostante il generale disinteresse per il provvedimento di papa Francesco, non sono mancate, da parte degli ambienti cattolici più ostili all’attuale pontificato, allusioni a una presunta ricaduta nel centralismo vaticano

Nonostante il generale disinteresse per il provvedimento di papa Francesco, non sono mancate, da parte degli ambienti cattolici più ostili all’attuale pontificato, allusioni a una presunta ricaduta nel centralismo vaticano, innervato di autoritarismo. E neppure chi ha rispolverato il rapporto concorrenziale e il tradizionale cattivo sangue storicamente intercorso tra i gesuiti e l’Opus Dei, entrambi di origine spagnola, entrambi dediti alla formazione delle future élite pubbliche. Nessuna delle due spiegazioni convince. Meno ci si allontana dal vero quanto più si resta attaccati ad alcuni dati di fatto: la riforma della Curia romana in corso, l’anomala configurazione giuridica dell’Opus Dei e la stravagante autonomia di cui ha goduto.

Volendo, invece, andare più a fondo e scorgere nel provvedimento il riverbero della linea caratterizzante l’attuale pontificato, è del tutto pertinente il riferimento all’allarme in più occasioni lanciato da papa Francesco contro i rischi del clericalismo, ribadito nella lettera al clero romano del 5 agosto scorso, laddove si legge che si può assumere uno spirito clericale «nel portare avanti i ministeri e i carismi, vivendo la propria chiamata in modo elitario, chiudendosi nel proprio gruppo ed erigendo muri verso l’esterno, sviluppando legami possessivi nei confronti dei ruoli nella comunità, coltivando atteggiamenti boriosi e arroganti verso gli altri». Un ammonimento a tutti i movimenti e gruppi carismatici particolarmente in auge durante il pontificato di Giovanni Paolo II, promotore di un cattolicesimo identitario e trionfale, poco compatibile con la Chiesa “ospedale da campo” e punto di riferimento dell’umanità spaesata, del papa argentino. Un chiaro segno di discontinuità, dunque, rispetto ai due precedenti pontificati. Entrambi poco consapevoli che incoraggiando e istituzionalizzando, a partire dall’ultimo scorcio del Novecento, i “novi” movimenti ecclesiali, non davano risposta alla decantazione della fede cattolica in base alle diverse sensibilità e ai peculiari carismi, ma facilitavano la sua frammentazione, con conseguente nascita di un arcipelago di isole e isolotti autosufficienti e autoreferenziali.