In un contesto caratterizzato da un crescente numero di migranti sbarcati a Lampedusa (140.586 al 17 ottobre scorso), il 15 settembre Giorgia Meloni ha annunciato tramite un videomessaggio che intende guidare un "cambio di paradigma" nella politica migratoria italiana ed europea. La presidente del Consiglio italiano ha sottolineato l’intenzione di fermare l’immigrazione a monte, tramite (fra le altre cose) una missione europea per far cessare le partenze dalle coste africane, e la verifica direttamente in Africa del diritto di asilo. Inoltre, ha annunciato l’intenzione di accelerare i rimpatri e di velocizzare l’implementazione del recente accordo tra Unione europea e Tunisia. La Commissione europea, da parte sua, ha adottato due giorni dopo un piano in 10 punti per Lampedusa, incentrato sull'aumento dei rimpatri, sul controllo delle frontiere, sulle campagne informative, nonché sull'attuazione dell'accordo migratorio con la Tunisia. Per Meloni è dunque necessario un cambio di paradigma: dalla redistribuzione dei migranti all'interno dell'Europa, all'arresto delle migrazioni verso la regione stessa. In altre parole, un paradigma basato sulla deterrenza.

Ma che cos'è esattamente la deterrenza? Si tratta di una strategia volta a scoraggiare le migrazioni irregolari verso un Paese, facendo leva sulla paura dei migranti di eventuali sanzioni. Le politiche di deterrenza sono basate sul concetto di razionalità, ossia sul presupposto che le persone agiscano calcolando i costi e i benefici delle proprie azioni. Pertanto, l’aspettativa è che, se le sanzioni per l’immigrazione irregolare (come multe o detenzione) diventano più severe, risulterà più costoso per le persone spostarsi e, di conseguenza, si asterranno dal farlo. La deterrenza è alla base di diverse riforme migratorie del governo Meloni, tra cui l’estensione del periodo di detenzione nei centri di rimpatrio e l’introduzione di criteri più stringenti per le richieste di asilo. L’enfasi sulla deterrenza è particolarmente evidente nelle ultime frasi del suo videomessaggio: "Se entrate illegalmente in Italia sarete trattenuti e rimpatriati".

L'enfasi sulla deterrenza non è nuova. Al contrario: è stata alla base della decisione di sostituire Mare Nostrum con l'operazione Triton nel 2014. È stata alla base dei numerosi accordi con la Libia (tra cui quello firmato da Berlusconi nel 2008 e da Minniti e Gentiloni nel 2017). È stata anche alla base della decisione di introdurre il reato di migrazione irregolare nel 2009. Tuttavia, oggi vediamo un'enfasi nettamente maggiore sul coinvolgimento di Paesi terzi (cioè sull’"esternalizzazione" del controllo delle migrazioni).

L'enfasi sulla deterrenza non è nuova. Tuttavia, oggi vediamo un'enfasi nettamente maggiore sul coinvolgimento di Paesi terzi

Meloni sembra ambire alle politiche migratorie del Regno Unito, decisamente basate sull’idea di deterrenza. Nei mesi scorsi, Meloni e Sunak si sono incontrati in India e poi nuovamente in Spagna per discutere la questione dell’immigrazione, e gli accordi con i Paesi di transito o di origine sono sempre più prominenti nell'agenda di entrambi i politici. Il recente (e dibattuto) discorso della ministra dell'Interno britannica Suella Braverman chiede esplicitamente una maggiore enfasi sulla deterrenza (nelle parole di Braverman, "dissuadere le migrazioni illegali deve essere un obiettivo") e fa riferimento all'Italia in diverse occasioni (anche nel caso del Regno Unito, l'efficacia delle politiche è però oggetto di contestazione).

Come già sottolineato, la deterrenza, nell’ambito dell’immigrazione, non è nulla di nuovo. Ed è senz’altro fondamentale considerare le conseguenze di questa scelta. La deterrenza fermerà le migrazioni? Aumenterà la sicurezza? Questo è l'argomento su cui si focalizza il mio ultimo libro dove, analizzando l'efficacia delle politiche di deterrenza e il reato di clandestinità, sostengo che dobbiamo essere consapevoli di quattro trappole principali che rendono la deterrenza non solo inefficace, ma anche controproducente.

Innanzitutto la deterrenza non risolve le cause profonde delle migrazioni. Questo è il punto più sostanziale, poiché le misure di deterrenza cercano unicamente di aumentare i costi delle migrazioni, senza però considerarne o risolverne le cause ultime. Le migrazioni sono un fenomeno strutturale, guidato da fattori economici e politici che vanno ben oltre le politiche di deterrenza attuate dai Paesi di accoglienza. Pertanto, è necessario un approccio più completo.

In secondo luogo, le misure di deterrenza portano a un “effetto di sostituzione”: anziché fermare le migrazioni, la deterrenza le ridirige verso altri punti di ingresso. Ad esempio, dopo che la Francia ha reintrodotto i controlli alle frontiere nel 2015, i flussi migratori dall'Italia verso il Paese transalpino non si sono interrotti. Invece di attraversare il confine italo-francese a Ventimiglia (che era molto controllato), molti migranti hanno deciso di farlo più a Nord, sulle montagne vicino a Bardonecchia. Molti altri hanno cercato percorsi più rischiosi, attraversando le colline e i boschi dietro Ventimiglia, o camminando sull'autostrada. Quindi, mirare a dissuadere le migrazioni (invece che affrontare le cause profonde di tali spostamenti) tende a ridirigere i flussi migratori verso altri punti di ingresso, anziché fermarli.

Le misure di deterrenza portano a un “effetto di sostituzione”: anziché fermare le migrazioni, la deterrenza le ridirige verso altri punti di ingresso

In terzo luogo, il livello di conoscenza delle politiche restrittive e delle sanzioni – da parte dei migranti – è sistematicamente sopravvalutato. Intervistando oltre 100 immigrati in Italia, ho rilevato che due terzi di loro non erano a conoscenza di nessuna delle sanzioni previste per l'ingresso o la permanenza irregolare (come multe, detenzioni ecc.). Inoltre, i pochi migranti che erano a conoscenza delle sanzioni, le avevano apprese solo una volta arrivati in Italia. Sorprendentemente, solo il 12% si è affidato a Internet per ottenere informazioni su come migrare, mentre la maggior parte si è basata su informazioni fornite da familiari e amici.

Infine, la dimensione politica della deterrenza potrebbe avere effetti controproducenti. Più le politiche di deterrenza si rivolgono all’elettorato (piuttosto che ai migranti), più rischiano di essere inconsistenti e svantaggiose. In Italia, ad esempio, il reato di clandestinità è stato ampiamente criticato da numerosi giudici e pubblici ministeri per la sua inefficacia, ma il governo (di centro-sinistra) si oppose alla sua revoca nel 2014, temendo che "la gente non capirebbe". L'Italia si è ritrovata con una legge inefficace e controproducente, finita per prolungare le indagini contro i trafficanti. Perché le politiche migratorie siano efficaci, devono basarsi su una comprensione olistica delle migrazioni, anziché essere mirate a obiettivi elettorali.

In conclusione, la deterrenza è una strategia inefficace: non riduce le migrazioni irregolari, ma crea più irregolarità e insicurezza. Se questo è davvero un nuovo paradigma della politica migratoria italiana, prendendo ispirazione dal caso britannico, non è promettente. Un approccio più sostenibile implicherebbe abbandonare il paradigma della deterrenza e impegnarsi invece a creare più vie legali, sia per i rifugiati, sia per chi emigra per ragioni economiche.