La crisi finanziaria greca è una brutta storia da raccontare e da commentare poiché rivela gravi errori, o addirittura malversazioni, nella nascita e gravi limiti nell’accertamento e nella gestione di un problema dentro Eurolandia. Cioè in un’area economico-monetaria che ha fatto della trasparenza dei bilanci pubblici dei Paesi aderenti e della coesione interna centrata sull’euro il suo punto di forza. Limiti ed errori riguardano sia la pessima gestione delle finanze pubbliche di un Paese membro dell'Unione economica e monetaria, sia la miopia della Germania; ma anche l’incapacità decisionale e di supervisione dell'Unione europea e della Uem. La nostra tesi è che la Grecia, una economia piccola il cui debito pesa il 3,6% di quello di Eurolandia, andava aiutata subito e nel contempo sanzionata dalla Uem. Adesso potrebbe essere troppo tardi per evitare una sua (parziale) insolvenza.
La gestione irresponsabile, e forse anche fedifraga delle finanze pubbliche attuata da questo Paese non ha scusanti. Nell’ottobre 2009, dopo la vittoria delle elezioni del partito socialista Pasok, cominciano a emergere grosse rettifiche sui conti pubblici comunicate dalle autorità greche a quelle della Unione europea. La stima fatta in primavera, validata da Eurostat, circa il deficit sul Pil del 2008 è alzata dal 5% al 7,7% e il deficit programmatico del 2009 viene alzato dal 3,7% al 12,5%. La lievitazione prosegue, in seguito a ulteriori approfondimenti di Eurostat, fino a giungere nell’aprile del 2010 quasi al 14% (ma potrebbe lievitare ancora). Il debito sul Pil dal 99% del 2008 viene portato al 115% nel 2009, con previsioni al 125% per il 2010 e al 135% per il 2011.
Per correggere questa situazione la Grecia ha prefigurato un piano di rientro che dovrebbe portare il deficit sul Pil sotto il 3% nel 2012. Ciò non è bastato a tranquillizzare i mercati poiché la Grecia deve rifinanziare il suo debito per 50-60 miliardi nel 2010. Perciò i suoi titoli di Stato hanno avuto il declassamento a «spazzatura» e il tasso di interesse sui decennali si è avvicinato al 10%.

La Germania, o meglio Angela Merkel, per ragioni elettorali interne (le elezioni nel Nord-Reno Westfalia) ha impedito che la Uem aiutasse la Grecia, adducendo come ragione formale il fatto che questa non aveva chiesto aiuti ufficialmente. Tuttavia, anche dopo che ciò è accaduto, il 23 aprile, la posizione tedesca non è cambiata. In tal modo Merkel si è assunta la responsabilità di mettere a rischio l’euro. Anche perché, senza un accordo della Germania, le decisioni dell’Eurogruppo di cui diremo in seguito non possono essere rese esecutive. Eppure la Germania non sarebbe sola nel fare sacrifici.
E la Uem? I vertici dei capi di Stato e di governo di Eurolandia (e dell’Unione europea) hanno discusso del tema Grecia per ben due volte, in febbraio e in marzo, senza giungere a sostanziali conclusioni. In questi vertici è apparsa anche la grande inconsistenza del presidente della Commissione, Barroso, e del presidente del Consiglio Europeo, Van Rompuy. Al contrario l’Eurogruppo, composto dai ministri dell’Economia dei Paesi di Eurolandia, è stato l’unico soggetto istituzionale europeo che ha dimostrato in questa situazione un notevole senso di responsabilità unitamente alla Banca centrale europea.
Non possiamo in questa sede ripercorrere tutti i suoi interventi nel corso della crisi greca: ci concentriamo perciò su quello più importante. In un metteing domenicale, l’11 aprile scorso, reso ancora più riservato dall’uso della videoconferenza, i ministri dell’Economia della Uem, in piena consonanza con la Bce, hanno deciso un corposo e operativo piano di sostegno alla Grecia. Lo stesso prevede che i Paesi di Eurolandia forniscano su base bilaterale e in quote proporzionali alla loro partecipazione al capitale della Bce un prestito totale alla Grecia di 30 miliardi di euro al tasso del 5% (che oggi per la Grecia è un tasso di gran favore) e che il Fondo monetario internazionale presti fino a 15 miliardi a condizioni e tassi da determinare. Il prestito avrà durata triennale. L’onere del prestito a carico dei singoli Stati (in euro: Germania 8,38 mld, Francia 6,29 mld, Italia 5,53 mld, Spagna 3,69 mld, Olanda 1,76 mld, Belgio 1,07, poi tutti gli altri con somme progressivamente minori) non andrà a gravare sul calcolo del parametro di debito su Pil previsto dagli Accordi europei.
Questo è un buon accordo anche se noi (così come Tremonti e Prodi) da tempo abbiamo proposto la creazione di un «Fondo europeo di sviluppo» che, finanziandosi sul mercato e avendo a sua garanzia sia quella degli Stati sia le riserve auree ufficiali di Eurolandia, avrebbe potuto essere utilizzato tanto in operazioni di sostegno a Paesi della Uem in difficoltà quanto allo scopo di fare investimenti.

A questo punto non resta che chiedersi come finirà la crisi greca e se la stessa si diffonderà ad altri Paesi di Eurolandia, come già sembra con il declassamento dei titoli del debito pubblico del Portogallo. A meno che d’improvviso la Germania cambi parere e venga reso esecutivo il piano dell’Eurogruppo, l’ipotesi a breve termine più probabile e che la Grecia debba attuare una ristrutturazione del proprio debito pubblico posponendo il pagamento degli interessi e il rimborso del capitale. In assenza di un appoggio europeo, è probabile che toccherà al Fmi assistere la Grecia in queste operazioni, anche con un sostegno finanziario. Cosa tutto ciò possa significare per l’euro e per la Uem è difficile immaginare adesso.

È certo comunque che la Uem sarà segnata per lungo tempo dalla crisi della Grecia, Paese irresponsabile al salvataggio del quale la Germania, bloccando la Uem, ha preposto le votazioni in un suo Land. Fino a un estremo: un nuovo vertice dei capi di Stato e di governo di Eurolandia potrebbe essere convocato per il 10 maggio, il giorno dopo le elezioni nel Nord-Reno Westfalia!

 

[Sul tema l’autore ha in preparazione un articolo che uscirà sul numero 3/2010 della rivista]