Continua a infuriare la battaglia del decretino. Sabato scorso è scesa in piazza l’opposizione; sabato prossimo lo farà pure la maggioranza. Nel frattempo i sondaggi segnalano cali della popolarità del governo e del premier, ma soprattutto che il centrosinistra, come al solito, non se ne avvantaggia: se tutto va bene, perderà meno regioni di quelle previste qualche mese fa. E il bello è che tutta questa tempesta in un bicchier d’acqua nasce solo dalla pretesa del Cavaliere di trasformare un appuntamento elettorale regionale nell’ennesimo plebiscito pro o contro la propria persona: un po’ come Napoleone imperatore, che aveva bisogno di sempre nuove guerre per puntellare la propria dubbia legittimità.

La differenza, ovviamente, è che Napoleone ha fatto anche l’omonimo codice, ancora vigente in Francia due secoli dopo, mentre Berlusconi si limita a sfornare decreti e decretini: così generando solo valanghe di decretinate, anche da parte dell’opposizione, e distraendo definitivamente il paese da discussioni più serie. Personalmente – per quel che conta – non riesco più neppure a indignarmi: come fanno, o fingono di fare, quasi tutti. Intanto, uno non può restare indignato ininterrottamente per quindici anni: d’ogni tanto deve anche respirare.  Ma soprattutto, rispetto alle tante illegalità già consumate, dal conflitto di interessi in giù, tutti questa storia sembra solo uno scherzo poco divertente.
Prendiamo la legge elettorale: la regola stessa della democrazia, diranno alcuni. In realtà, come ha mostrato Simona Viola su questo sito, la legge elettorale regionale, per mettere i bastoni fra le ruote alle formazioni minori, ha finito per rivelarsi troppo esigente anche per quelle maggiori: che si sono sempre procurate le firme contraffacendole o clonandole, e comunque sfruttando la compiacenza degli autenticatori. Non sorprende che la pentola sia stata scoperchiata dai radicali: i quali, a differenza degli altri, non hanno sindaci, assessori o consiglieri disposti a chiudere entrambi gli occhi sulle irregolarità. Sorprende, semmai, che a registrare gli abusi siano stati i giudici amministrativi: e non quelli ordinari, nonostante i soliti strilli governativi contro il complotto delle toghe rosse.
Anche sul decretino d’interpretazione autentica della legislazione elettorale, con tutta la buona volontà, non riesco a scandalizzarmi; l’unica cosa davvero desolante mi sembra l’insipienza degli autori, capaci di produrre un provvedimento inutile per la Lombardia, invalido per il Lazio, e che nondimeno occupa da settimane le prime pagine dei giornali. Meno ancora riesco a prendermela con il Presidente Napolitano: che se davvero avesse dovuto rifiutare la propria firma a tutti i provvedimenti incostituzionali del governo, non avrebbe fatto altro in tutto il settennato. Invece, sforzandosi di ricondurre alla ragione il nostro Bonaparte, e rifiutando la propria firma solo in casi clamorosi come quello di Eluana, Napolitano ha mostrato cosa voglia dire avere il senso delle istituzioni.