L’effetto Martin Schulz. A meno di sette mesi dalle elezioni federali, sembra prendere consistenza l’ipotesi di una coalizione tra Spd, Verdi e Linke, la cosiddetta R2G, cioè rosso-rosso-verde. Non solo, ma una serie di sondaggi danno la Spd in ripresa e qualcuno azzarda persino la possibilità che sia addirittura in vantaggio rispetto all’Union di Cdu e Csu, uno scenario, fino a qualche settimana fa, del tutto irrealistico, visto che il partito socialdemocratico era in caduta libera nei consensi.
Si parla di «effetto Martin Schulz», il nuovo candidato socialdemocratico alla Cancelleria e segretario del partito, in seguito alle dimissioni di Sigmar Gabriel, ex segretario, da poco nuovo ministro degli Esteri, dopo una «staffetta» con il socialdemocratico Frank Walter Steinmeier, eletto nuovo presidente federale.
Schulz ha indubbiamente ricompattato il partito, rimasto per mesi attonito e incapace di fronteggiare la ricandidatura di Angela Merkel, confermata e approvata da un Congresso della Cdu già nello scorso autunno. Nelle scorse settimane Schulz ha detto, però, qualcosa di talmente importante da monopolizzare le prime pagine di quotidiani e settimanali tedeschi (dallo «Spiegel» a «WirtschaftsWoche»). Schulz ha ammesso che con Agenda 2010, il pacchetto di riforme volute dal governo socialdemocratico di Gerhard Schröder (1998-2005), sono stati fatti «errori» ai quali è necessario provvedere.
Nulla di particolarmente significativo, ma è la prima volta che un candidato cancelliere parla, seppur in termini molto blandi, di errori nei provvedimenti fatti dal governo rosso-verde tra il 1998 e il 2005: in ogni caso sono state sufficienti per dare nuova linfa all’ipotesi della R2G.
Le parole di Schulz sono state immediatamente commentate dalla Linke che – anche questa è a suo modo una notizia – le ha accolte con favore. Se Katja Kipping, segretaria del partito, ha chiarito che «l’uscita dalla Nato non è una precondizione per l’accordo con la Spd», Sahra Wagenknecht, da sempre tra le voci più critiche con la socialdemocrazia, si è detta soddisfatta delle parole di Schulz e non ha escluso una coalizione di governo se dovessero crearsi le condizioni per un accordo che vada nella direzione di poter effettuare politiche sociali più incisive nel senso della giustizia sociale.
Duri nei confronti di Schulz sono stati, invece, quasi tutti i media, che hanno provato a spiegare che la Germania non attraversa una fase poi così difficile, che le disuguaglianze alle quali il candidato socialdemocratico fa riferimento sono in realtà molto meno accentuate di quello che si pensi, sino ad affermare che le ricette di Schulz possono mettere in pericolo la stabilità e la tenuta del Paese.
Fin qui le dichiarazioni dei protagonisti. Tuttavia è bene forse qualche considerazione ulteriore per meglio precisare senso e portata di questo dibattito.
Innanzitutto le dichiarazioni di Schulz sono abbastanza generiche – lo ha fatto notare anche Wagenknecht – e ancora prive di un vero programma di governo. Certamente si tratta di un passaggio importante, ma rivolto più alla discussione tra forze politiche che all’elettorato tedesco. Non è chiaro, ad esempio, in cosa consistano questi errori e come s’intende provvedere: Schulz ha affermato, ad esempio, che si sarebbe dovuto introdurre da subito il salario minimo, una misura che, però, è stata realizzata dalla Grande coalizione nel corso di questa legislatura e ha taciuto sugli interventi da realizzare quanto agli aspetti più contestati delle riforme (ad esempio il sistema di sanzioni per coloro che beneficiano dell’assicurazione di base Alg II).
Il dibattito, dunque, è interamente tra specialisti della materia: in fondo si parla di una critica ad Agenda 2010, cioè una serie di provvedimenti con i quali, a inizio 2000, il governo rosso-verde di Gerhard Schröder tentava di riformare il Paese per renderlo più competitivo proprio nel 2010. La Linke è nata proprio in opposizione a quei provvedimenti ed è quindi ovvio che consideri un superamento di Agenda 2010 una precondizione per un ingresso nella compagine di governo.
Tuttavia oggi, a quasi dieci anni dall’inizio crisi, la questione se e in che misura Agenda 2010 contenga degli errori è in gran parte superata: lo stesso Tribunale costituzionale federale ne ha sanzionato alcune parti ed è opinione della stessa componente sociale della Cdu che urgano correttivi.
La sensazione, però, è che manchi ancora un’idea di Germania 2025, capace di mobilitare l’elettorato, di togliere consenso ad Alternativ für Deutschland, e rappresentare un’ipotesi credibile di governo alternativo non solo all’Union ma anche a una riedizione della Grande coalizione. Ancora nulla sulla questione abitativa, su quella sanitaria, sul problema del precariato: l’ipotesi di un governo R2G spaventa perché metterebbe a rischio la competitività e il bilancio federale con una crescita eccessiva della spesa pubblica (le critiche della stampa si sono concentrate su quest’ultimo aspetto) ma non riesce a trasmettere l’idea di una società diversa, più giusta e più equa.
Il rischio è, per la Linke, di restare una forza residuale, le cui proposte si rivolgono al reinserimento sociale di soggetti in grande difficoltà, come disoccupati di lungo periodo e assegnatari di aiuti dello Stato: un compito certamente encomiabile e necessario ma che, da solo, renderebbe il partito incapace di rivolgersi a una platea di soggetti più ampia. Mentre sulla Spd grava il rischio di non riuscire a convincere gli strati di salariati e autonomi a rischio proletarizzazione della bontà delle proprie ricette, sottraendo così voti non solo ai conservatori ma anche ad AfD. Tutto ciò, senza citare la totale assenza di una riflessione comune tra le forze progressiste sulla «questione europea», che a oggi è diventata, a tutti gli effetti, una questione di politica interna.
Sulle possibilità di una coalizione R2G, ci sono da considerare ancora tre aspetti. Non è ancora chiaro, innanzitutto, se la strategia di Schulz punti effettivamente a un cambio di governo o, più modestamente, a raccogliere più consensi dell’Union per poi riproporre l’ipotesi della Grande coalizione magari a guida socialdemocratica. Le dichiarazioni di Schulz, quindi, possono essere lette al momento come pura tattica politica: il candidato socialdemocratico sembra volersi lasciare aperta la strada della possibilità di un accordo a sinistra, forse per rendere più credibile la propria autonomia e distanza dall’attuale Grande coalizione, di cui la Spd è comunque parte, ed evitare l’errore di apparire un candidato privo di alternative all’accordo con i conservatori, errore che condannò quattro anni fa il socialdemocratico Peer Steinbrück.
In secondo luogo, c’è da considerare il ruolo dei Verdi (la G della formula sta per Grünen): il partito sino a oggi non si è espresso a favore di questa ipotesi e, anzi, i suoi principali esponenti non escludono la possibilità di un accordo con la stessa Union e con i liberali della Fdp che potrebbero rientrare al Bundestag. Attualmente coalizioni tra verdi e conservatori governano in due Länder molto importanti come Baden Württemberg e Hessen.
Infine, non è detto che un avanzamento della Spd costituisca un avanzamento complessivo delle forze di un’ipotetica coalizione R2G: è possibile, anzi, che una nuova crescita della Spd danneggi elettoralmente la Linke, finendo per rendere indispensabile l’ipotesi – ad avviso di chi scrive nefasta – di una nuova Grande coalizione.
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