L’Emilia-Romagna ha approvato la legge che introduce il Reddito di solidarietà per residenti in regione. Si tratta di un intervento a favore della povertà più estrema destinato a tutti i nuclei familiari con Isee inferiore a 3.000 euro annui e consiste in un trasferimento monetario che può raggiungere al massimo 400 euro al mese. Il trasferimento è inoltre condizionato all’accettazione di un progetto di reinserimento sociale o lavorativo. Dura al massimo un anno; poi, se la condizione di bisogno permane, si può di nuovo riceverlo dopo che siano trascorsi almeno sei mesi.
Sono stati stanziati 35 milioni di euro all’anno, che si sommano ai 37 previsti per l’Emilia-Romagna dalla misura nazionale entrata in vigore lo scorso settembre, il Sia (Sostegno per l’inclusione attiva). Anche questo provvedimento va a famiglie con Isee inferiore a 3.000 euro, ma a differenza del Reddito di solidarietà pone altre due condizioni: in famiglia deve essere presente almeno un minore o un figlio adulto disabile o una persona in stato di gravidanza; inoltre la famiglia deve raggiungere almeno 45 punti in una scala di misurazione del disagio che tiene conto ad esempio del numero di minori, della presenza di invalidi, dell’assenza del partner, del numero di percettori di reddito. Nelle intenzioni del legislatore regionale, il Reddito di solidarietà dovrebbe «completare» il Sia: mentre quest’ultimo va alle sole famiglie povere con almeno un minore, il Reddito di solidarietà è disponibile a tutti i nuclei sotto i 3.000 euro, e non richiede il calcolo del punteggio della scala multidimensionale. L’Emilia-Romagna è tra le prime in Italia a prendere una iniziativa di questo tipo, assieme al Friuli e alla Puglia, con regole diverse, ma sempre integrate con il Sia nazionale.
La combinazione tra i due provvedimenti costituisce un vero e proprio reddito minimo di inserimento universale contro la povertà, una misura che come ben noto ancora non esisteva in Italia, a differenza di quasi tutti gli altri Stati europei. Ora si può dire che c’è, anche se solo in alcune regioni. È sicuramente un risultato molto positivo, soprattutto perché in questi anni la povertà è aumentata sensibilmente non solo nelle regioni meridionali. Anche se la via principale per ridurla è l’aumento dei posti di lavoro, che può provenire solo dalla crescita economica, non c’è dubbio che vi sia un’area di povertà che resiste alla crescita, con rischi soprattutto per il futuro dei più giovani.
Non si tratta di un basic income, perché va solo ai più poveri e non a tutti i cittadini indipendentemente dal reddito, ed è lontano dalla misura proposta dal M5S, che impropriamente viene chiamata Reddito di cittadinanza, mentre in realtà sarebbe un grande assegno al nucleo familiare, che oggi porrebbe più problemi di quanti ne risolverebbe: costo molto elevato, rischi di trappola della povertà associati a trasferimenti molto significativi, impossibilità di seguire davvero con progetti personalizzati i milioni di famiglie che in Italia lo riceverebbero. Chi scrive non è certo contrario a un aumento dei trasferimenti per i poveri, ma la priorità oggi deve essere la povertà assoluta più che quella relativa, che si può efficacemente affrontare anche migliorando la qualità dei servizi, a partire dall’integrazione scolastica, o con trasferimenti monetari fissi per ogni minore.
Il Reddito di solidarietà presenta anche alcuni problemi, che proviamo a riassumere.
Il primo è il volume delle risorse impiegate. 75 milioni sono tanti, però non bastano per raggiungere tutti i poveri assoluti in Emilia-Romagna, ma solo quelli nelle peggiori condizioni. Nella fase iniziale è giusto essere prudenti, ma in futuro sarà necessario investire di più, e ciò dipende da scelte che vanno prese dal governo centrale.
Il secondo problema consiste nel rapporto tra la misura regionale e quella nazionale. Sembra che finora in regione siano ben poche le famiglie ammesse al Sia, perché molte di quelle con Isee inferiore a 3.000 euro non riescono a raggiungere i 45 punti nella scala multidimensionale. Le famiglie escluse dal Sia possono però presentare domanda per il Reddito di solidarietà, con il rischio che lo stanziamento per quest’ultimo si esaurisca in fretta e non si riesca a raggiungere il numero di famiglie previsto (il denaro non speso con il Sia non si può trasferire alla misura regionale). Requisiti molto stringenti per il Sia possono essere adeguati per evitare truffe in contesti particolarmente difficili, ma rischiano di svuotare il Sia in alcune regioni.
Il terzo problema sta nella natura mista di questo strumento: non solo trasferimento di denaro ma anche progetto di attivazione e reinserimento sociale e lavorativo. Questa seconda componente è fondamentale come la prima, ma per funzionare richiede un sforzo notevole da parte dei comuni, sia per dare un contenuto adeguato a questi progetti specifici per ogni famiglia, sia per garantire personale e impegno sufficienti per seguirli efficacemente, in un contesto di risorse molto scarse. Si sta comunque creando una rete che coinvolgerà comuni, terzo settore, scuole e volontariato: anche questo è un effetto benefico della misura.
Sono problemi che nei prossimi mesi richiederanno un attento monitoraggio degli effetti del Reddito di solidarietà, da cui sicuramente avremo molto da imparare per introdurre aggiustamenti e correttivi. Malgrado questi rischi, però, il passo avanti rispetto agli interventi precedenti contro la povertà, incerti e dispersi, è notevole.
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