Il compromesso rosso-rosso-verde. Dopo circa sei settimane di trattative, è stata pubblicata la Koalitionsvereinbarung, l’accordo tra Spd, Grünen e Linke per definire il programma della coalizione che guiderà il governo di Berlino nei prossimi cinque anni. Ora i partiti dovranno approvare la stesura finale del documento, tramite un referendum tra gli iscritti nel caso della Linke e congressi dei partiti per la Spd e i Grünen. A quel punto Berlino avrà un nuovo governo, rosso-rosso-verde, che sostituirà la Grande coalizione dell’ultimo mandato.
Sia il voto degli iscritti sia l’esito dei congressi appaiono scontati ed erano stati anticipati dall’esito delle scorse elezioni, nelle quali la Cdu era uscita pesantemente indebolita per via di una campagna elettorale disastrosa.
Il documento è all’insegna della continuità con l’amministrazione dell’attuale borgomastro, Michael Müller, e si caratterizza per una buona dose di pragmatismo e per la presenza di molte proposte di buon senso. A mancare è, invece, un’idea di città e di politiche urbane di lungo respiro.
L’accordo presta molta attenzione alla scuola: la coalizione intende investire nell’edilizia scolastica, avviare progetti di recupero dei soggetti più a rischio di emarginazione, sostenere l’autonomia delle singole istituzioni scolastiche. È, indubbiamente, la sezione più interessante e con maggiori spunti programmatici e «progressisti». Sul lavoro gli impegni diventano più sfumati: importante, ma priva di un’adeguata tempistica e di una maggiore precisazione, è la proposta, per combattere il precariato, di lavorare a un allineamento ai contratti collettivi per tutti i lavoratori impiegati in aziende facenti capo, seppur indirettamente, alla città-Stato.
Sulla casa, una delle piaghe della Germania e in particolare di Berlino che ancora vive la transizione dalla relativa sicurezza della Repubblica democratica al costante aumento degli affitti, l’accordo individua molti interventi (da un aumento delle case da destinare a soggetti privi di mezzi, alla promozione delle cooperative per la costruzione e la gestione degli immobili, all’impegno di riqualificare gli edifici esistenti con tecnologie d’avanguardia per ottenere risparmi nelle utenze) ma sembra privo di una visione di insieme e di misure in grado di fermare l’attuale tendenza e, dunque, incapace di dare risposte concrete a una popolazione preoccupata.
Molta attenzione è attribuita anche al trasporto pubblico, individuando priorità e tempistiche precise per interventi di riqualificazione e potenziamento delle linee, rinviata a una commissione ad hoc la verifica di introdurre tariffe speciali per determinate categorie di utenti (giovani, etc.). Da segnalare è il (coraggioso) impegno a completare, il più velocemente possibile, i lavori per l’apertura del nuovo aeroporto, bocciando contestualmente l’ipotesi di una terza pista.
La sensazione è che la coalizione riesca a immaginare interventi per i soggetti più a rischio, davvero lontani da quel minimo indispensabile a garantire un’esistenza rispettosa della dignità umana, come prevede il Grundgesetz. Tuttavia, servirebbero ben altri interventi per immaginare e realizzare una città diversa, più vivibile anche per quella consistente fascia di persone che, pur avendo un lavoro e un’assicurazione sanitaria e, cioè, essendo, di norma, esclusa dagli interventi previsti per i soggetti più deboli, ha vissuto negli ultimi quindici anni un oggettivo peggioramento delle sue condizioni materiali. Ed è esattamente in questa enorme fascia di persone che si radicano gli scontenti e i delusi delle politiche progressiste come pure quelle della cancelliera Merkel e che guardano con crescente interesse al partito antisistema Alternativ für Deutschland (AfD). È dunque questo il difetto maggiore dell’accordo: indubbiamente un buon testo per l’amministrazione della città-Stato, attenta a interventi solidaristici e di giustizia sociale (come la reintroduzione di una tassa sui patrimoni) ma del tutto inadeguato anche solo a intravedere un’idea diversa di città.
Ovviamente la coalizione rosso-rosso-verde a Berlino non può non evocare la suggestione di una sua esportazione al Bundestag. Il fatto che il prossimo presidente federale sarà probabilmente l’attuale ministro degli Esteri, il socialdemocratico Frank Walter Steinmeier, sembra ipotizzare un nuovo marzo 1969, quando l’elezione di un presidente federale della Spd fu il primo passo per quel cambiamento che di lì a qualche mese avrebbe portato alla cancelleria Willy Brandt.
Tuttavia le analogie finiscono qui: l’elezione di Steinmeier come presidente federale (frutto di un accordo Cdu-Csu e Spd) sembra voler ulteriormente marcare quell’ansia di mostrarsi idonei alle responsabilità di governo, che ormai da anni paralizza la Spd. È stato l’attuale segretario del partito e vicecancelliere, Sigmar Gabriel, a scegliere Steinmeier, per accreditare l’idea di un partito privo di remore nell’accettare incarichi di governo e di rappresentanza istituzionale. Un partito, cioè, pienamente radicato nel sistema politico, con l’ambizione di continuare a governare il paese con una coalizione con la Cdu, magari esprimendo lo stesso cancelliere. Esattamente il contrario di quanto avvenne nel 1969, quando la scelta di Gustav Heinemann rappresentò la messa in crisi della Grande coalizione e l’elezione di una personalità attenta a quanto di nuovo emergeva nella turbolenta società della Germania occidentale.
Al tempo stesso anche la Linke sembra preoccupata di difendere esclusivamente i soggetti più deboli e a rischio di emarginazione, obiettivo certamente importante e nobile ma incapace quindi di parlare a un pubblico più ampio. Il discorso non va tanto ai ceti medi, ma a una crescente parte del mondo salariato che, pur essendo formalmente fuori dalla povertà, se ne sente pesantemente minacciato. L’attuale divisione nel partito tra i cosiddetti «realisti», favorevoli a un accordo con la Spd, e l’ala più oltranzista non sembra in grado di offrire una valida risposta a questa strutturale difficoltà del partito.
Il rischio è l’assenza di temi strategici sui quali concentrare la discussione con la Spd e definire una dimensione programmatica chiara e di alto profilo per i prossimi anni: l’incontro tra la Spd e Fdp nel 1969 nacque esattamente a partire dall’insoddisfazione dei liberali per la politica estera dei conservatori, mentre la Ostpolitik di Willy Brandt definiva un orizzonte completamente nuovo.
Inoltre, in attesa di capire meglio il ruolo che avrà nella politica tedesca Martin Schulz, a meno di dieci mesi dalle prossime elezioni federali Spd e Linke non solo non hanno definito un programma comune ma non sono nemmeno in grado di esprimere una personalità che possa seriamente confrontarsi elettoralmente con Angela Merkel che, annunciando la sua quarta candidatura, ha ribadito che le difficoltà maggiori della campagna elettorale verranno da AfD, cioè da destra.
I Grünen, infine, appaiono l’anello debole della coalizione: sono interessati a Berlino a un cambio di coalizione perché potrebbero avere ruoli di governo, ma sperimentano attualmente in Länder importantissimi (come l’Hessen, dal 2014, e, da quest’anno, il Baden-Württemberg) governi con la Cdu, senza escludere la possibilità di un accordo con i conservatori anche sul piano federale.
Alla Koalitionsvereinbarung berlinese non si poteva chiedere di risolvere tutti i problemi che assillano le forze progressiste tedesche e l’accordo raggiunto, pur perfettibile, è indubbiamente, allo stato attuale, un buon compromesso. Tuttavia, solo uno scatto in avanti, nell’analisi della crisi e nella definizione di proposte per superarla, oltre le formule sin qui adoperate, avrebbe potuto far sperare nella possibilità di un cambiamento a Berlino, come sul piano federale. Difficile che la Koalitionsvereinbarung possa evolvere questa direzione.
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