Un film intero, ma in soli 84 secondi. Il merito va all’operatore che ha ripreso l’arrivo a Washington di Matteo Renzi, nelle vesti di presidente del Consiglio, e di Agnese Landini, in quelle della sua signora. Con un gruppo selezionato di amici, Matteo e Agnese stanno per presentarsi a cena da Barack e Michelle, rimasti a corto di commensali europei dopo la bollitura ormai completa di François e quella a mezza cottura di Angela. Ma questo è solo lo spunto narrativo. Quel che conta è il profilmico, come direbbero i pedanti. Ossia, conta ciò che sta davanti alla cinepresa, pronto per essere filmato: oggetti, spazi, volti e corpi. Volti e corpi in primo luogo. E conta l’occhio dell’operatore, la sua maestria nel cogliere il senso di ciò che ha di fronte, comico o tragico che sia.
L’inizio del film è nella tradizione. Agnese e Matteo scendono lungo la scaletta dell’aereo di Stato. Sulla fusoliera spicca la scritta Repubblica Italiana. E meno male. Di questi tempi potrebbe spiccar dell’altro. Magari J.P. Morgan Chase & Co.
Ma torniamo alla commedia. Agnese e Matteo scendono dall’aereo, si diceva. Lui è pimpante, alla faccia di quelli del «Financial Times» che lo vogliano rottamare (ma anche il Mario Monti non scherza). È così pimpante, l’ottimo Matteo, che assesta una pacca sul braccio del funzionario che lo accoglie in terra d’America. Comprensibilmente tesa, Agnese si limita a prudenti e sommessi good evening. Poi i coniugi e il funzionario s’incamminano lungo una passatoia rossa che più tradizionale non si potrebbe. Matteo cammina al centro, guardando verso un punto lontano e dondolando le braccia come neanche l’antico Nando Moriconi, ammerecano der Kansassiti.
Alla fine della passatoia c’è il momento tradizionalissimo degli inni, prima The Star-Spangled Banner e poi il nostro. la signora Agnese conserva calma e dignità. Il funzionario assume un’aria professionale e grave. E Matteo? Matteo è pimpante, troppo pimpante per contenersi. Memore di anni lontani in cui la maestra gli insegnava a stare sull’attenti, alza le spalle fin quasi a inghiottirci il collo, allunga le braccia e preme il palmo della mani contro le cosce. Alle emozioni non si comanda. E allora spalanca la bocca, l’ottimo Matteo, e canta a squarciagola come i calciatori prima del fischio d’inizio di una partita del mondiale.
Sconcerto degli altri due? Chissà. La telecamera non li inquadra. Nel profilmico c’è ben altro, e l’operatore ci si fionda. Con un lento, magistrale movimento verso destra, e con una zumata da manuale, torna a inquadrare l’aereo (Repubblica Italiana è ancora là, dove conviene resti). Ma guarda chi ti spunta dal portellone: Roberto il noto comico e Nicoletta la sua nota signora. Sono ancora in abiti dimessi e borghesi, per così dire. Certo non si presenteranno conciati in questo modo da Barack e Michelle, che saranno anche democratici, ma non fino a questo punto. In ogni caso, i due scendono la scaletta con aria tra il furtivo e il giulivo. Come dargli torto? A parte la mise, Roberto è inappuntabile: neppure un cenno alle sue antiche giravolte da giullare, né ai perduti maramei da Pinocchio. Lo si vede a occhio nudo, che è diventato un Bambino per bene, come tutti gli altri. Fra l’altro, si dice che il cuoco italiano di Barack e Michelle sia una favola, e che il 4 dicembre forse voterà «sì». Insomma, meglio di così non potrebbe andare.
Cioè no, potrebbe, eccome. Invece di tenere a fuoco il faccione ormai paonazzo del Matteo canterino, l’operatore si distrae e mette a fuoco il premio Oscar e la sua signora, seguendoli ben nitidi finché vanno a infrattarsi dietro un piccola folla. Ecco la tragedia, o la tragicommedia. Per quanto non ci sia abituato, e ancor meno ci si rassegni, il povero Matteo perde il centro della scena. Ormai non è che una presenza dai contorni sfocati, una silhouette opaca che se la canta (e se la suona) tutta da sola. E tutto questo in soli 84 secondi.
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