Anche a Berlino gli equilibri politici cambiano. È stata una campagna elettorale particolarmente brutta, dominata dalla noia e dall’insipienza dei principali partiti che hanno governato Berlino dal 2011. Spd e la Cdu hanno perso malamente entrambi, ma la prima (22%, in calo di oltre 6% sebbene resti il primo partito) quasi certamente continuerà a governare, anche se con quale alleanza non è ancora chiaro. Al Parlamento di Berlino sono confermati anche i Grünen (15,4,%, oltre due punti in meno rispetto al 2011), la Linke (15,6%, quasi il 4% in più) e, dopo cinque anni di assenza, tornano i liberali della Fdp (6,6%).
Spd e Cdu non dispongono più dei numeri per continuare a governare insieme. Esclusa quindi una nuova Große Koalition, sono aperte tutte le altre opzioni: quella più probabile, a detta dello stesso candidato della Spd, il sindaco uscente Michael Müller, sembra essere un governo tra Spd, Grünen e Linke: una cosiddetta coalizione rosso-rosso-verde. Esclusa, invece, è un’alleanza con Alternative für Deutschland (AfD), che entra al Parlamento ottenendo un risultato apprezzabile, 13,6%. Ma sarebbe sbagliato leggere queste elezioni come una questione nazionale: si tratta di una questione interamente berlinese e i vincitori e gli sconfitti vanno cercati esclusivamente qui.
Cinque anni fa a vincere fu la Spd di Klaus Wowereit, borgomastro in carica e rivelazione della socialdemocrazia (poteva anche aspirare a essere candidato alla cancelleria). Qualcosa, però, non ha funzionato: il nuovo (sic!) aeroporto di Berlino, mai inaugurato e mai completato, ancora oggi continua a drenare enormi quantità di risorse. Wowereit aveva sperato che l’aeroporto fosse il sigillo della sua amministrazione, la porta della nuova Berlino: doveva aprire i battenti nel 2012, si è trasformato in uno scandalo senza fine, il vero calvario del Borgomastro. Wowereit decise di dimettersi (sino ad oggi è stato l’unico a pagare per quel disastro) e nel 2014 gli è succeduto proprio Michael Müller.
Müller ha condotto una campagna elettorale noiosissima, priva di una visione complessiva della città. È stato certamente un buon amministratore – anche se Berlino è famosa per i ritardi nella costruzione delle opere pubbliche e nell’aumento sconsiderato dei costi finali rispetto a quelli preventivati – ma, almeno fino ad ora, non sembra particolarmente ispirato. La campagna è stata giocata interamente sul presunto buon governo della Spd, su quanto fatto fino a ora e sulla necessità che Berlino resti così, sempre uguale: davvero poco per una città che attraversa trasformazioni rilevantissime e che ha sempre aspirato ad avere uno sguardo sul resto del mondo, come ripeteva spesso il borgomastro più famoso di Berlino, Willy Brandt. L’elettorato ha punito questa scelta e la Spd ottiene il suo peggior risultato di sempre.
Frank Henkel, il candidato della Cdu, fino ad oggi titolare degli Interni della Città-Stato, ha invece condotto una campagna del tutto anacronistica. Ha ripristinato lo slogan – utilizzato già da Adenauer negli anni Cinquanta – Keine Experimente, per scongiurare il rischio di una coalizione interamente di sinistra. Tuttavia, sembra aver dimenticato che Berlino è già stata governata da una coalizione di questo tipo appena cinque anni fa: i berlinesi non devono essere stati particolarmente impressionati dal rischio paventato da Henkel. Ha poi individuato i suoi nemici negli occupanti di case – un fenomeno a Berlino molto meno consistente rispetto agli anni passati ma comunque molto interessante – e ha cercato di sgomberare alcuni stabili, tra i simboli delle case ancora occupate. Il tentativo è stato patetico: un enorme dispiegamento di forze, interi quartieri sorvegliati dalla polizia sin quando, lo scorso luglio, è stato lo stesso Tribunale di Berlino ha sancire l’illiceità dello sgombero. Frank Henkel ha provato a far credere che il mondo fosse quello di quarant’anni fa, con una sorta di «pericolo rosso» da scongiurare e che lui potesse essere l’uomo giusto a questo incarico. Il risultato, per la Cdu, è stato catastrofico (17,9%, oltre cinque punti in meno rispetto al 2011 e peggior risultato di sempre) e ha poco a che fare con le scelte del governo federale.
Anche a Berlino, Alternative für Deutschland ha conseguito un risultato non banale e non scontato, superando agevolmente con il 12,2% dei voti la soglia di sbarramento. AfD ha intercettato il malcontento dei berlinesi, soprattutto di quelli che vivono in periferia (in particolare a est, dove AfD raccoglie i migliori risultati, con punte intorno al 20%) e sfruttato l’onda lunga dell’ostilità alle politiche di Angela Merkel sui rifugiati, ma non ha rinunciato a declinare il suo nuovo programma, approvato pochi mesi fa: attenzione alle famiglie (perché ci siano più bambini), più scuola e più asili, più sicurezza, modifica (che vuol dire inasprimento) della normativa sull’asilo e sull’immigrazione. Rispetto all’atteggiamento di Henkel, AfD è sembrato un partito più attrezzato per dare una risposta alle ansie dei berlinesi.
La tendenza, quindi, sembra ancora una volta essere orientata a destra: la Linke ottiene molti voti dalla Spd e dai Pirati, ma perde – seppur con minore intensità rispetto ad altri Länder – voti a vantaggio di AfD, che toglie molti voti anche alla Cdu e alla Spd.
La Linke ottiene, complessivamente, un buon risultato, con il 15,6% è la terza forza a Berlino e il risultato va al di là delle aspettative. Tuttavia, il risultato va letto all’interno dell’emorragia di voti dalla Spd e, soprattutto, dalla scomparsa dei Piraten (cinque anni fa ottennero quasi il 9%, oggi meno del due, e sono dunque fuori da Parlamento) che pure hanno condotto una campagna vicina alle questioni apprezzate dall’elettorato di sinistra (accoglienza per i migranti, legalizzazione delle droghe ecc.). La Linke può a questo punto immaginare di tornare al governo di Berlino e di lavorare a un programma comune con la Spd e con i Grünen: se questo possa essere un primo passo per una coalizione nazionale è presto per dirlo, ma alle elezioni federali manca ormai un anno e forse è addirittura troppo tardi.
Da queste elezioni esce comunque una città divisa, non solo politicamente, ma soprattutto socialmente: Berlino deve ri-trovare una sua dimensione, scegliere come governare e gestire la contemporaneità. Mentre il prezzo delle case (e degli affitti) sale velocemente e la disoccupazione resta comunque un grande problema, la città sembra non riuscire a mettere in comunicazioni le tante comunità (etniche, sociali, culturali) che la compongono e le correnti che la attraversano. La campagna elettorale per ora ha risposto solo di sfuggita a queste istanze. Il compito di Müller e della coalizione che guiderà sarà valutato esclusivamente sulla base della capacità di dare una risposta concreta.
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