Prevedere l’esito di un referendum attraverso inchieste campionarie rischia di apparire come un esercizio fine a se stesso, quando mancano ancora più di tre mesi dal suo svolgimento. Tuttavia, le inchieste campionarie possono invece essere utili per capire come gli elettori «ragionano» sul tema della riforma costituzionale e quali sono le conseguenze dei loro ragionamenti sulla loro opinione. Per ragionamenti intendiamo semplicemente le reazioni degli intervistati quando si attira la loro attenzione sugli argomenti addotti per giustificare la riforma costituzionale e sulle fonti dalle quali arrivano loro gli argomenti per votare in un certo modo al prossimo referendum.
Un modo efficace per raggiungere questo risultato, è di avvalersi di esperimenti all’interno delle interviste. E così abbiamo fatto nell’ultima rilevazione Itanes-Unimi-Swg svolta nella seconda metà dello scorso mese di giugno (3.412 interviste). Fare esperimenti attraverso una survey significa modificare il quadro di riferimento in cui le domande vengono poste. Così, prima di chiedere agli intervistati come giudicano la riforma e come intendono votare al referendum, abbiamo presentato una serie di diverse possibili introduzioni che indicano un argomento a favore della riforma costituzionale, oppure le fonti dalle quali sono finora arrivati gli argomenti a favore della riforma (Renzi, il Pd e i comitati per il «Sì»), o una combinazione di entrambi. Le diverse introduzioni sono state assegnate casualmente agli intervistati. Naturalmente, a una parte degli intervistati non è stata fornita nessuna introduzione. Questi intervistati nel gergo tecnico vengono indicati come «gruppo di controllo» che a noi serve come benchmark per valutare gli effetti delle diverse introduzioni (dette tecnicamente «trattamenti») negli altri gruppi sperimentali.
L’esperimento è finalizzato a capire da un lato la forza di una giustificazione della riforma costituzionale che indirettamente fa leva su argomenti tipici dell’antipolitica (la riforma riduce il numero dei parlamentari, e quindi serve a ridurre i costi della politica) e dall’altro lato la capacità persuasiva di tre fonti informative, ognuna delle quali reca con sé elementi pregiudiziali di diversa natura. La fonte Renzi ovviamente fa leva sul meccanismo della personalizzazione, la fonte Pd su quello della vicinanza a questo partito e, infine, l’auctoritas del comitato per il «Sì» si fonda sulla credibilità e competenza degli esperti.
Le domande a cui possiamo rispondere sono semplici. Quanto è efficace la giustificazione antipolitica nell’orientare il giudizio e il voto al referendum? Quale delle tre fonti schierate a favore della riforma è la più efficace? E nell’insieme, è più forte l’effetto di una giustificazione di tipo antipolitico o di una delle fonti favorevoli alla riforma a far «spostare» i piatti della bilancia a favore del «Sì» alla riforma?
I risultati presentati sono piuttosto chiari. La figura 1 rappresenta le medie del giudizio sulla riforma per ogni gruppo sperimentale: la linea nera definisce la media nel gruppo di controllo che non ha ricevuto nessuno stimolo prima di rispondere alle domande sul referendum.
Il primo elemento che balza agli occhi è come l’argomento di tipo antipolitico sia quello che riesce a muovere maggiormente i giudizi in favore della riforma e a far crescere le medie. D’altro canto le fonti di informazione (personalizzazione, partito e auctoritas) non sembrano essere efficaci nello spingere gli elettori verso una opinione favorevole alla riforma. Sorprende, ma forse nemmeno tanto, l’effetto della personalizzazione. Che la personalizzazione non fosse una risorsa molti cominciavano a sospettarlo. I dati lo confermano: però, inattesa è l’ampiezza dell’effetto negativo. Se si nomina Renzi, il giudizio medio sulla riforma diminuisce sensibilmente rispetto al gruppo di controllo. Che personalizzare non paghi è confermato anche se si considerano le intenzioni di voto al referendum di ottobre, in tabella 1. Come appare chiaro, lo stimolo «Renzi» riduce consistentemente la percentuale di coloro che dicono di voler votare «Sì».
In conclusione, con una qualche sorpresa, è la forza della mobilitazione «antipolitica» che emerge. È questo il vero motore che muove opinioni e orientamenti di voto nel referendum. A tal punto che riesce ad assorbire anche l’effetto negativo della personalizzazione o delle indicazioni pregiudiziali. È ovvio che su questa leva il fronte del «Sì» non possa fare grande conto, visto che il suo leader è al governo da oltre due anni.
Bisognerà approfondire questa analisi, valutando come hanno reagito ai diversi trattamenti sperimentali vari sottogruppi dell’elettorato, per esempio, i molto o poco istruiti. Da una prima veloce ricognizione la nostra sensazione è che sinora gli argomenti a favore del «Sì» (almeno quelli da noi esaminati) non abbiano fatto una grande presa tra i più istruiti. Anzi. La personalizzazione potrebbe essere stata addirittura più controproducente in questo sottogruppo. Il che vuole dire che, a tre mesi dal referendum, su questo terreno il fronte dei favorevoli alla riforma sta perdendo le prime scaramucce con il fronte avverso.
Dubitiamo altresì che insistere solo sui temi specifici della riforma (entrare nel merito) possa aiutare. Le valutazioni su temi tecnici di questo tipo non sono mai disgiunte da pregiudizi di varia natura e intensità. Forse l’argomento decisivo sul fronte dei più istruiti (e ovviamente anche degli altri) potrebbe essere chiarire quale idea di nazione la nuova Costituzione contiene e rende possibile, attraverso la definizione di una nuova architettura istituzionale. In fondo, se i leader passano la nazione resta: confondere il destino degli uni con il futuro dell’altra non giova.
Nota metodologica
[La rilevazione fa parte di una ricerca panel svolta da Itanes e Unimi in collaborazione con Swg, su un campione di rispondenti che sono stati intervistati più volte dal 2013 a oggi. Le interviste sono state raccolte tra il 22 e il 28 giugno 2016 attraverso metodo Cawi. Il campione è composto complessivamente di 3.412 persone, con un sovra-campionamento tra i giovani con età compresa tra i 18 e i 22 anni]
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