Un testa a testa per la Hofburg di Vienna. Alla fine ci può essere un solo vincitore. Proprio come quando, il 17 febbraio 1980 (Olimpiadi invernali di Lake Placid), la drammatica e leggendaria gara di 15 km di sci di fondo vide lo svedese Thomas Wassberg vincere col distacco più basso nella storia (un centesimo di secondo) sul finlandese Mieto.
Nelle elezioni presidenziali austriache del 2016 la competizione tra Alexander Van der Bellen e Norbert Hofer è stata un testa a testa finché nel tardo pomeriggio di lunedì, dopo il conteggio delle schede elettorali, è arrivato il verdetto: Alexander Van der Bellen (50,3%) sarà il nuovo presidente federale alla Hofburg di Vienna, distaccando Norbert Hofer (49,7%) per soli 31.036 voti.
Due persone, due orientamenti del tutto diversi e alcuni aspetti di assoluta novità per l’Austria.
Si è registrata anzitutto una chiara divergenza tra città e campagna. In ambito urbano, Van der Bellen ha vinto nettamente; a Vienna, Innsbruck, Linz o Graz con almeno il 60% dei consensi. Hofer invece ha mietuto successi nelle regioni rurali. Le persone con un grado di istruzione più alto hanno votato con evidente preferenza per Van der Bellen, quelle con un grado di istruzione più basso per Hofer. Non deve sorprendere, inoltre, che i maschi abbiano dato maggior consenso a Hofer e le donne a Van der Bellen.
Ci si è espressi però anche su nette scelte di campo riguardo a importanti tematiche. Van der Bellen è stato preferito da coloro che volevano dichiararsi chiaramente a favore dell’Ue, che sono per l’inclusione e l’integrazione e vogliono che al problema dei profughi non si risponda con barriere ai confini e isolamento; da coloro la cui momentanea situazione personale e politica lascia maggior spazio all’ottimismo. Per Hofer si sono schierati invece coloro che sono scettici o addirittura contrari all’Ue, che sono per l’esclusione e pensano che la questione dei profughi e dell’asilo si possa risolvere solo con un rigido isolamento; coloro che percepiscono la situazione personale e politica come negativa e minacciosa.
Il voto riguardava anche differenti interpretazioni del ruolo di un presidente federale. Ha votato Van der Bellen chi voleva un presidente che si ponesse al di sopra dei partiti, in funzione moderatrice, quale riconosciuta autorità (morale). Al contrario, ha votato Hofer chi voleva un presidente più autoritario, che agisse direttamente nell’agenda politica attraverso un confronto con l’attuale governo federale.
Molti hanno interpretato queste elezioni presidenziali anche come espressione di un voto di protesta, precisamente contro il governo federale guidato dal cancelliere Werner Faymann. Il fatto che quest’ultimo si sia ritirato tra le due tornate elettorali e sia stato sostituito da Christian Kern, un tipo di politico del tutto diverso in ogni ambito, potrebbe aver influito non poco sulle scelte di voto in entrambi i campi. Rispetto al suo predecessore, il nuovo cancelliere sembrerebbe lasciare minor spazio ad un’interpretazione «offensiva» del ruolo di un presidente federale.
Un aspetto del tutto nuovo in entrambe le tornate elettorali è il fatto che né l’Övp (popolari) né l’Spö (socialdemocratici) siano riuscite a portare un loro candidato al ballottaggio e che, anzi, tutti e due i partiti siano crollati nella prima tornata a un catastrofico 11%. Dal 1945 in poi, tutti gli otto presidenti federali della seconda repubblica erano stati dell’Övp o dell’Spö. E invece il 24 aprile di quest’anno una candidata indipendente, Irmgard Griss, ha sfiorato di poco il ballottaggio con il 19% dei consensi.
Al ballottaggio si sono fronteggiati un candidato dell’Fpö (partito liberal-nazionale) e l’ex portavoce federale dei Verdi. Tutti coloro che da una vita erano abituati a votare Spö oppure Övp si sono trovati di fronte a una situazione del tutto inedita: «costretti» a scegliere tra due persone che in altre condizioni non avrebbero mai votato. E tuttavia si è registrata una percentuale di votanti di oltre il 71%, più alta di tre punti rispetto alla prima tornata.
Quest’elezione ha chiaramente mostrato come in Austria sia possibile l’elezione a presidente federale sia di un personaggio cresciuto nel contesto dei Verdi, sia di un esponente del partito della destra populista Fpö. La spaccatura manifestatasi in questa seconda tornata non nasce da un giorno all’altro, ma è il segnale, non più sottovalutabile, di uno sviluppo da tempo in gestazione.
L’agenda e la concreta attività politica in Austria sono di pertinenza del Parlamento e del governo federale. Secondo la Costituzione (nella revisione del 1929) vi è la possibilità teorica di una situazione di stallo, potenzialmente destabilizzante, tra presidenza federale da un lato e governo/Parlamento dall’altro. Tuttavia questo è stato sinora evitato per buoni motivi.
Oltre che rappresentare la repubblica all’esterno, un presidente federale austriaco svolge una funzione di unità e stabilizzazione interna. Van der Bellen potrà svolgere questo ruolo molto meglio di quanto avrebbe potuto Norbert Hofer.
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