Il discorso di papa Francesco, in occasione della consegna del Karlspreis alla presenza dei rappresentanti di tutte le istituzioni europee (dal Parlamento alla Bce), spariglia le carte e traccia un nuovo profilo dell’interlocuzione tra Chiesa cattolica e Europa. I grandi vocaboli, dalla legge naturale alla nominazione costituzionale di Dio, su cui si era articolato un diritto pregiudiziale della Chiesa sulla configurazione del continente e sulle scelte delle sue istituzioni, sono scomparsi come d’incanto. Indice di un mutato interesse con cui si guarda all’Europa: non più per una residuale riaffermazione della Chiesa e del cristianesimo, ma in virtù di qualcosa che solo l’Europa può nel contesto attuale della vita del mondo. Le coordinate di fondo per una nuova alleanza tra la secolarità europea e la fede cristiana sono offerte in attesa di una risposta all’altezza del meglio della storia, passata e recente, del nostro continente. Tutti i soggetti coinvolti, su entrambi i lati, sono chiamati a dare prova di sé. All’Europa, guardandola come chi viene dall’esterno, il papa chiede semplicemente un esercizio di riapprendimento di quella «capacità generatrice e creatrice» che l’ha resa possibile sul piano storico, culturale e politico.
Inventare sintesi inedite, nel crocevia dell’incontro di civiltà e culture di matrici diverse, senza previ punti in comune, è l’impresa di cui è stata capace l’Europa; quella da cui essa si genera sempre di nuovo, come un modo specifico del suo essere una parte del mondo. Le difficoltà e gli arretramenti che conosce oggi l’Europa rappresentano quindi, in primo luogo, una sorta di malessere rispetto a se stessa e al compito che essa si è data per diventare, nella seconda metà del secolo scorso, «una novità senza precedenti nella Storia». E anche le tensioni che si possono produrre, su singole questioni, tra idealità evangelica della Chiesa e pragmatismo delle politiche nazionali vengono ricondotte all’idea di Europa come spazio che ha in se stesso non solo le forze per ricomporle, ma anche per farle funzionare in maniera virtuosa. La parola di Francesco intercetta e s’innesta esattamente sul profilo più alto di cui l’Europa è stata capace: diritti dell’uomo, democrazia, libertà. Smascherando il cortocircuito in cui queste grandi figure cadono quando vengono praticate come la loro privatizzazione, secondo la logica di un individualismo spinto che le sgancia dalla dimensione sociale a cui esse sono votate.
Ridare ariosità sociale a queste figure vuol dire, per Francesco, declinare i diritti dell’uomo come capacità di integrazione, la democrazia come esercizio di dialogo che riconosce in ogni abitante delle nostre città un interlocutore valido, la libertà come principio di una cultura che convoca tutti alla «sua elaborazione e costruzione». Quello che Francesco immagina è una corrispondenza creativa, capace di immaginarsi nuovi scenari e adeguate forme di convivenza umana fra i diversi, che siano all’altezza dell’ideale di queste figure portanti dello spirito europeo. Nel sogno di un’Europa capace di un nuovo umanesimo, che attinga a quello di cui essa «è stata la culla e la sorgente», Bergoglio lancia la sfida di un’inusuale confessione di europeismo intorno a cui intrecciare le passioni della fede e la passione per l’umana dignità di essere della storia che ci ha generati.
Lo snodo decisivo di questo incontro, libero e autonomo, di passioni è rappresentato dalla capacità di immaginarsi e realizzare un diverso ordinamento economico, che non richieda il sacrificio dei legami fondamentali dell’umano e non viva dell’ossessione di consumarsi in se stesso per produrre profitti a breve durata. L’investimento che deve azzardare oggi l’Europa è quello sulle generazioni più giovani, che già oggi sono «agenti di cambiamento e trasformazione». L’azzardo di una fiducia da concedere per uscire dalla stanchezza e dagli arretramenti che sembrano governare la litigiosità delle politiche europee. Pensando la Chiesa come collaboratrice per questa «rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità». Non padrona dispotica del destino dell’Europa, ma istituzione fra le istituzioni che realizza il Vangelo che custodisce andando «incontro alle ferite dell’uomo». Memoria, questa, in cui la radicalità evangelica e l’idealità europea possono stringere davvero un’alleanza capace di sognare insieme un nuovo umanesimo per tutti: «Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia. Grazie».
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