Con ostinazione degna di miglior causa (ce ne sono molte: dall’eccesso di decretazione d’urgenza a quello delle richieste di voti di fiducia), Pietro Grasso e Laura Boldrini continuano ad accusare il Parlamento, ossia i parlamentari delle due camere da loro presiedute, di non sapere (forse, meglio, di non volere) eleggere i tre giudici costituzionali mancanti. Nella peggiore, ma lunghissima, tradizione anti-parlamentare italiana, ai due presidenti criticoni si accodano festosamente giornalisti della carta stampata, dei talk-show, dell'online e commentatori delle più disparate provenienze. Nessuno o quasi si è finora chiesto se il problema siano i parlamentari, i quali, poveracci, non hanno designato alcun giudice e alla maggioranza dei quali nessuno ha chiesto un qualsivoglia parere e meno che mai un assenso preventivo ai nominativi calati in Parlamento, oppure sia qualcun altro. Non è il caso di discutere delle qualità “costituzionali” dei candidati, anche se, di recente, qualche commentatore ha scoperto la necessità di imprecisate qualità “politiche” e, addirittura, di previe esperienze parlamentari, nessuna delle quali asserita in precedenza, poiché sarebbe comunque difficile misurarle. Infatti, il punto più importante da considerare riguarda i rapporti istituzionali governo/Parlamento e, non tanto in subordine, partiti/Parlamento/Corte costituzionale.
Circa quattrocento parlamentari pretendono, come è loro diritto e, forse, addirittura, come è uno dei doveri costituzionali del Parlamento, di esprimersi sul merito in senso molto, appropriatamente, lato delle nomine. Vogliono svolgere quella funzione di controllo che caratterizza i migliori Parlamenti democratici. Intendono esercitarla nei confronti sia dei dirigenti dei loro partiti sia del governo (la nomina dei giudici parlamentari non può rientrare nel programma di nessun governo). Nel caso in esame, molti parlamentari pensano anche che non è proprio opportuno riesumare il patto del Nazareno per concedere a un gruppo di declinante rappresentatività, come Forza Italia, un altro giudice, dopo quello nominato pochissimo tempo fa dal presidente uscente Giorgio Napolitano, emarginando un gruppo, come quello del Movimento 5 Stelle, che nel 2013 è stato votato dal 25% degli elettori.
Quando decisero le modalità di composizione della Corte costituzionale e affidarono al Parlamento la nomina di un terzo dei quindici giudici, i costituenti intesero fare sì che quei giudici rappresentassero le culture politiche entrate in Parlamento grazie ai partiti che ne erano portatori. Ovviamente, conta la dimensione di quei rappresentanti e, trattandosi di nomine per un periodo di tempo chiaramente definito, ciascun giudice durando in carica nove anni, contano anche gli accordi a futura memoria. I tanti bistrattati partiti italiani fino al 1992 seppero trovare molteplici accordi, praticamente nessuno dei quali disdicevole, nessuno dei quali prodotto di interferenze dei governi e imposto dalle e sulle maggioranze parlamentari. La situazione è tristemente cambiata. Al fondo del tunnel sta la prospettiva di una Corte costituzionale chiamata a “opportune verifiche di costituzionalità” (parole di Napolitano che avrebbe già potuto suggerirle in corso d’opera) dell’Italicum e, più generale, delle controverse riforme costituzionali. Le tre, oramai quattro, candidature recentemente espresse dai partiti dell’ex maggioranza del Nazareno sono accomunati proprio dall’elemento del giudizio positivo sull’Italicum e, in senso lato, sulle riforme costituzionali. Che una parte del Parlamento contraria all’Italicum desideri che almeno uno di quei giudici non sia platealmente allineato pare del tutto logico. Che, invece di criticare, governanti e leader di partito per le loro cattive scelte e valorizzare il controllo esercitato dal Parlamento, i presidenti di Camera e Senato accusino i parlamentari di non chinarsi alle imposizioni che vengono da fuori appare deplorevole. Che, infine, questa storia prefiguri quello che potrebbe accadere dopo le prossime elezioni, nelle quali un partito del 30% di voti otterrà il 54% dei seggi, è alquanto preoccupante.
Riproduzione riservata