L’autunno romeno, dalla tragedia del club Colectiv alla protesta di piazza. Una classe politica contestata, rapporti difficili tra le istituzioni, episodi ripetuti di corruzione che coinvolgono esponenti del mondo politico e si intrecciano con interessi privati. Le vicende recenti della Romania potrebbero ricordare quelle di casa nostra, se non fosse che in questo caso le accuse hanno coinvolto in prima persona l’ex premier Victor Ponta, che gli scandali riguardano un intero Paese e che di mezzo ci sono cinquanta ragazzi morti in una discoteca.
Proprio il rogo che nella notte del 30 ottobre scorso ha distrutto un locale a ridosso del centro di Bucarest ha fatto da detonatore in una situazione già estremamente tesa, in cui il malcontento di una popolazione gravata da anni di crisi e sacrifici si è riversato su una classe politica giudicata incapace e corrotta. Si è capito subito, infatti, che si trattava di qualcosa di più di una disgrazia imputabile a una fatalità o anche a una semplice leggerezza degli organizzatori del concerto della band Goodbye to Gravity, che si sarebbe dovuto concludere con qualche effetto pirotecnico. La velocità con cui le fiamme si sono propagate a partire da una scintilla tutto sommato di piccole dimensioni, l’assenza di sistemi antincendio e di vie di fuga alternative alla porta d’ingresso, ma anche il numero eccessivo di persone in uno spazio limitato, raccontavano già una storia di autorizzazioni concesse con troppa leggerezza e dietro il pagamento di tangenti, di controlli non svolti, di strutture inadeguate e, inevitabilmente, di connivenze politiche.
Le manifestazioni spontanee dei giorni immediatamente successivi hanno chiesto prima di tutto la testa di Cristian Popescu Piedone, sindaco di quartiere, dopo le sue quantomeno infelici dichiarazioni secondo cui il locale funzionava nel rispetto delle norme esistenti. Ma non è bastato: la protesta è dilagata nei giorni successivi nelle strade della capitale e di lì si è estesa in altre città romene, con l’intento dichiarato di far assumere a tutta la classe politica del Paese le proprie responsabilità. Di responsabilità aveva parlato il presidente della Repubblica romeno Klaus Iohannis, il giorno successivo alla tragedia, dopo essersi recato a visitare quel che restava del disco-club. Le sue parole («i politici non possono ignorare questo senso di indignazione») suonavano già come un monito al governo e al premier.
I due non si sono mai amati, d’altra parte, come è stato evidente sin dalla elezione di Iohannis, che ha sconfitto lo stesso Ponta alle presidenziali del novembre 2014. Già allora qualcuno aveva chiesto le dimissioni del primo ministro, che però aveva resistito. Aveva resistito anche quando, a settembre, era stato aperto un procedimento a suo carico per frode, evasione fiscale e riciclaggio. La Romania, come è noto, è una Repubblica semipresidenziale e la caduta di Ponta avrebbe portato a nuove elezioni politiche, che qualcuno attendeva anche in questi difficili giorni, ma che in una situazione così complessa e confusa avrebbero comportato qualche rischio di ordine pubblico. Il presidente, in effetti, ha optato per una transizione graduale, con un governo tecnico guidato dall’ex commissario europeo Dacian Cioloş e sostenuto dai principali partiti.
Ma al di là delle rivalità politiche interne qualcosa di nuovo ha agitato la Romania nelle ultime due settimane, qualcosa che, in effetti, è riuscito a indurre Ponta a dimettersi perché, sono parole sue, «negli anni della mia vita politica ho resistito ad ogni battaglia con gli avversari politici, ma non intendo battermi con i cittadini». La mobilitazione di piazza, in effetti, è stata imponente e crescente e ha coinvolto soprattutto i giovani, che hanno manifestato tutta la loro rabbia contro i partiti, imputati di essere incapaci di dare loro un futuro. Tra gli slogan che hanno campeggiato in piazza università si leggeva «Non cambiamo un nome, cambiamo un sistema» o «Annuncio! Ci siamo svegliati, cerchiamo leader competenti!».
Il cosiddetto “autunno romeno” (ovvio riferimento alla primavera araba) è stato alimentato dai social network, i quali hanno avuto un ruolo centrale sin dalla sera della tragedia al club Colectiv, quando sono stati i mezzi di diffusione delle liste non ufficiali dei feriti. Sono poi diventati il veicolo della protesta con l’hashtag #Colectiv revolution. Il presidente Iohannis - che, non a caso, aveva inviato il suo primo messaggio di cordoglio tramite Facebook - sembra aver colto le potenzialità della protesta: si è infatti recato personalmente in piazza dell’università per dialogare con i manifestanti e invitarne i rappresentanti a presentare le loro richieste al governo. Solo una parte della piazza, però, ha risposto positivamente all’appello e non è ancora oggi chiaro se la situazione sia definitivamente avviata a tornare alla normalità. Di certo, il rischio che le proteste riprendano se non ci sarà un effettivo cambiamento di classe dirigente e di azione politica è molto reale.
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