Sul «Corriere della Sera» di venerdì 23 ottobre Angelo Panebianco ha illustrato, con la consueta lucidità, le sue tesi sulla necessità di abbandonare un presunto «eccesso di fiducia» e uno sfoggio di «ossequio» verso l’Onu, di avere «un atteggiamento più disincantato, meno genuflesso» nei confronti delle Nazioni Unite.
Secondo Panebianco, di fronte alle crisi attuali bisogna «adottare un approccio non ideologico, realista»; non si può «indulgere nella finzione» secondo cui solo il «marchio» delle Nazioni Unite sarebbe in grado di conferire a qualunque azione internazionale (s’intende, armata) «legalità» e «legittimità»; di fronte a una minaccia come lo Stato islamico occorrerebbe «adottare un approccio non ideologico, realista». Di più, bisognerebbe «sbarazzarsi» dell’«ideologia onusiana», diffusa a suo dire qui da noi «in ambiti piuttosto ristretti (volontariato cattolico, militanti di sinistra)». L’Onu non sarebbe l’embrione di un governo mondiale, anzi «non vi somiglia neanche un po’». Sarebbe – concede Panebianco – «soltanto un utile luogo di discussione»: ma per provvedere alla nostra sicurezza occorrerebbe investire tempo e risorse per potenziare la nostra capacità di intervento militare e di influenza diplomatica, «senza farsi inutili illusioni sull’Onu», e piuttosto «muovendoci in accordo con la Nato».
Difficilmente si sarebbe potuta esprimere con maggiore chiarezza quella che, benché rivestita di presunto realismo anti-ideologico, è invece una vera riproposizione dell’ideologia «stato centrica», che l’evoluzione del diritto internazionale e della politica internazionale dopo la fine della Seconda guerra mondiale aveva messo in discussione: inaugurando l’era della speranza in un costituzionalismo «universale», dei diritti umani e dell’aspirazione ad un «ordine internazionale che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni», come dice l’articolo 11 della nostra Costituzione. Quell’articolo in cui il costituente «laico» Piero Calamandrei, nel 1950, vedeva «una finestra» dalla quale «si riesce a intravedere laggiù, quando il cielo non è nuvoloso, qualcosa che potrebbe essere gli Stati Uniti d’Europa e del mondo».
Le parole dello statuto dell’Onu, o del preambolo della Dichiarazione dei diritti approvata dalla sua assemblea generale nel 1948, sono dunque solo «belle parole», nelle quali non si deve (più) credere, perché la realtà (di oggi e di domani) è solo quella della forza degli Stati?
Quante volte nella storia dell’umanità le aspirazioni ideali più alte si sono dovute scontrare con il «realismo» di chi vede nella vicenda storica esclusivamente uno scontro di interessi contrapposti, dove solo la forza conta? Per quanto ci riguarda, agli Stati Uniti del dopoguerra non possiamo guardare solo come alla grande potenza che ha coperto con il suo «ombrello» militare il mondo occidentale, ma anche (e prima) come al Paese che diede un spinta decisiva al nuovo ideale internazionalistico, con personalità come Franklin Delano Roosevelt (il presidente delle «quattro libertà» destinate ad essere diffuse everywhere in the world) e la sua consorte Eleanor Roosevelt che lavorò, con un manipolo di uomini e donne da tutto il mondo, per dare vita alla dichiarazione universale dei diritti umani.
Tra l'utopia con i piedi per terra dei fondatori dell’Europa unita e il “realismo” di piccoli politici che pensano a difendere solo gli “interessi nazionali”, scegliamo la prima
Tra l'«utopia con i piedi per terra» dei fondatori dell’Europa unita, volta a rendere «non solo impensabile, ma materialmente impossibile» una nuova guerra nel nostro continente, e il «realismo» di piccoli politici che pensano a difendere solo gli «interessi nazionali», scegliamo la prima.
Questo non vuol dire, naturalmente, che si debbano chiudere gli occhi di fronte agli ostacoli formidabili che si frappongono alla realizzazione degli ideali internazionalistici, né di fronte all’oggettiva debolezza delle istituzioni internazionali pensate per camminare in tale direzione. Vuol dire, semplicemente, che davanti all’impotenza e alla scandalosa inerzia dei caschi blu Onu in occasione dei massacri nella ex Jugoslavia, o al mancato intervento di fronte alle stragi in Ruanda, c’è chi cerca di capire come si possa evitare che simili fatti si ripetano, e lavora in questa direzione; e c’è invece chi, come Panebianco, sembra fare suo il disprezzo che i miliziani delle guerre jugoslave esprimevano verso quei caschi blu soprannominandoli «puffi», Qual è l’atteggiamento giusto?
Si dice spesso, oggi, che non si capisce più se ci siano differenze fra destra e sinistra. Le tesi di Panebianco sull’Onu ci ricordano che, almeno a questo riguardo, la differenza c’è ancora.
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