Come è possibile che un ospedale sia “inadeguato” eppure “eccellente” nel curare i malati? A porsi questa domanda, che suona del tutto ragionevole, è Rupert Brooke, uno dei medici che lavorano all’Addenbrooke Hospital di Cambridge, commentando il rapporto pubblicato a seguito di una recente ispezione effettuata dalla Care Quality Commission. Nel documento si evidenziano diversi problemi di gestione, come la mancanza di infermieri in alcuni reparti, i tempi di attesa troppo lunghi per i pazienti non ricoverati, e l’uso di apparecchiature costose e poco funzionali. Tuttavia, nello stesso tempo, si riconoscono i pregi del servizio reso dalla struttura ospedaliera, evidenziando in particolare che le cure impartite sono eccellenti. Lo sconcerto di Brooke non è dovuto soltanto all’apparente incongruenza del rapporto – lo scopo primario di un ospedale non dovrebbe essere proprio curare i pazienti nel miglior modo possibile? A seguito della pubblicazione del documento, la struttura è stata sottoposta a “misure speciali” per ovviare ai problemi rilevati. Brooke osserva che tali provvedimenti sono destinati ad aumentare i costi – gli infermieri non lavorano gratis – e questo lascia immaginare nuove “misure speciali” in un non lontano futuro.
L’intervento del medico britannico esemplifica perfettamente il senso di frustrazione provato da coloro che lavorano nel settore pubblico del Regno Unito quando hanno che fare con procedure di audit che non sempre hanno un chiaro legame con gli obiettivi primari, verrebbe da dire essenziali, che le strutture sottoposte a verifica dovrebbero realizzare. Raggiungere il target stabilito dalla procedura diventa l’obiettivo del personale, tanto che spesso si perde di vista la ragione ultima che giustifica l’esistenza di un’istituzione finanziata con denaro pubblico. Si tratta di una tendenza che è emersa negli anni Ottanta, a seguito delle politiche di taglio della spesa introdotte dai governi Conservatori (good value for money è la frase chiave che comincia a circolare in quegli anni), ma che non è mai stata messa in discussione nei decenni seguenti. Anzi, come hanno evidenziato Florence Faucher e Patrick Le Galès nel loro studio dell’esperienza del New Labour, essa accelera quando alla guida del partito, e del governo, Tony Blair viene sostituito da Gordon Brown. Gli effetti perversi, messi alla luce da un programma di ricerca dell’ESRC, sono efficacemente sintetizzati da Faucher e Le Galès: «la pressione costante esercitata dal governo per migliorare gli indicatori ha condotto a strategie sempre più radicali per aggirare, manipolare, e rendere non pertinenti i dati» (L’esperienza del New Labour, F. Angeli, 2014, p. 91). Le cronache e le pubblicazioni scientifiche sono piene di esempi del modo in cui i manager e i dipendenti pubblici sottoposti a questo regime di controllo riescono a soddisfare i target attraverso soluzioni ingegnose (come quella di trattenere i pazienti nelle ambulanze per non sovraffollare la sala d’attesa del pronto soccorso). La consapevolezza che le cose vanno frequentemente in questo modo sta generando un altro effetto perverso, messo in evidenza con grande efficacia dalla Baronessa O’Neill nelle sue Reith Lectures: procedure il cui scopo dovrebbe essere alimentare la fiducia dei cittadini, che sono anche i finanziatori dei servizi pubblici attraverso le tasse, finiscono invece per eroderla. Un immenso capitale di credibilità, che era uno dei punti di forza del settore pubblico nel Regno Unito, viene in questo modo dissipato.
Cosa è andato storto? Diverse cose. In primo luogo, l’adozione da parte dei policy makers di uno schema interpretativo (influenzato dalle teorie della scelta razionale) che vede i dipendenti pubblici come rent seekers mossi esclusivamente da incentivi materiali, cui per ipotesi non si possono attribuire motivazioni di carattere altruistico, passione per il lavoro ben fatto, senso del dovere, rispetto per la “cosa pubblica”. Non c’è spazio per la vecchia idea del Civil Service in Targetworld. Poi l’ingenua convinzione, da parte degli stessi policy makers, che le misurazioni attraverso indicatori semplificati e certificati potessero sostituire del tutto valutazioni qualitative. In una situazione macroeconomica non favorevole alla spesa pubblica, è comprensibile che queste due tendenze abbiano col passare degli anni alimentato una nuova ortodossia che è diventato difficile scalfire. L’importanza di ciò che è in gioco – la fiducia nella capacità del pubblico di garantire a tutti servizi essenziali, preservando in questo modo una dimensione cruciale della cittadinanza – dovrebbe spingerci a riflettere seriamente sul problema evidenziato da Rupert Brooke.
Riproduzione riservata