Siamo in terre incognite. Gravide di rischi, anche estremi: come quello di tornare indietro di decenni sulla strada della costruzione europea. Ma anche di una nuova speranza, rafforzata dal risultato di ieri. Ho sostenuto con convinzione le ragioni del “no” al referendum greco, nell’ambito di una dialettica come sempre ricca e costruttiva all’interno del comitato di direzione di questa rivista. Per un principale motivo: perché l’Europa costruita negli ultimi anni non funziona (come ho provato ad argomentare più compiutamente qui). Non riesce a risanare i suoi squilibri, a investire sulla crescita, a evitare nuove, profonde, fratture fra i suoi cittadini. Perseverare con la cieca austerità degli ultimi anni avrebbe solo distrutto ancor più la Grecia. Ma il punto è questo: l’Europa è sul baratro, indipendentemente dalle vicende elleniche. Ed è una gran fortuna che lo shock sia arrivato da un Paese con cittadini e governo che desiderano fortemente restare nell’Europa e nell’euro e non dai tanti, crescenti, movimenti nazionalisti e antieuropei. Siamo a un punto di svolta a cui saremmo comunque, prima o poi, arrivati.

Ora si aprono giornate decisive, su tanti di quei fronti che è persino impossibile ricordarli.  Ma con una stella polare chiara: trovare un nuovo accordo che contemperi le posizioni della Grecia e dei partner europei, prevedendo sia la permanenza ellenica nell’euro, sia l’avvio di un lungo, complesso, processo di risanamento e di rilancio della sua economia. L’avvio di un grande ripensamento sull’Europa degli ultimi anni.

Per questo, è bene fermarsi a riflettere sugli eventi dell’ultima settimana, su cui si scriverà un’intera biblioteca. Si è tanto parlato di rischio default della Grecia: ma sono apparsi sulla scena altri, importanti, pericolosi, rischi di default. Che restano, comunque vadano le cose, almeno quattro:

1) Quello della libera informazione. Negli ultimi giorni, quantomeno in Italia, abbiamo assistito su molti grandi mezzi d’informazione di massa a un processo molto pericoloso: la trasformazione di molti cronisti in agit-prop. Non è un problema di opinioni e commenti, ovviamente liberi. Ma di distorsione dell’informazione, di trasformazione del ruolo di cronista in quello di propagandista. Gli esempi sono innumerevoli: basterà citare, da ultima, la notizia apparsa ieri (che probabilmente aveva come fonte l’oracolo di Delfi, in mancanza di qualsiasi dato ufficiale): il Pil greco sarebbe sceso dell’1,5% nell’ultima settimana, per colpa di Tsipras.

2) Quello del ruolo dell’Italia in Europa. Negli ultimi giorni l’Italia – grande Paese fondatore dell’Unione – semplicemente non c’era. Si è accodata supinamente alle posizioni tedesche rinunciando a priori a svolgere quel ruolo di mediazione, che sarebbe stato, oltre che nella sua tradizione, nel suo interesse. L’affermazione del nostro Primo ministro secondo cui si trattava di “un derby fra l’euro e la dracma” è stata particolarmente sconsiderata; è sembrato l’azzardo di un leader che, piuttosto che cercare un ruolo per il suo Paese, cerca benemerenze fra i veri potenti.

3) Quella del socialismo europeo. La settimana passata ha drammaticamente messo in luce l’inconsistenza politica del gruppo di partiti del Pse, ridotti a un ruolo di ruota di scorta dei partiti popolari e conservatori, incapaci di una minima elaborazione propria. Anzi, più realisti del re: il presidente dell’Europarlamento Schulz (chi in Italia ha votato per il Pd lo aveva indicato come presidente della Commissione) ha auspicato, dopo la vittoria del “sì”, la formazione di un governo “tecnocratico” in Grecia con cui trattare. Una via bancaria al socialismo?

4) Infine, quella dei vertici istituzionali europei. Le parole di ieri di Romano Prodi (“l’Ue è decisa a sbarazzarsi di Tsipras entrando a piedi pari nella campagna elettorale”) fotografano una situazione in cui i vertici europei hanno provato a condizionare pesantemente il processo elettorale in uno stato membro sovrano, con parole o omissioni. Allenato da anni come Primo ministro di uno stato che ha fatto del dumping fiscale (a nostro danno) la sua fortuna, Jean-Claude Juncker (lì grazie ai voti di quanti in Italia hanno sostenuto il centrodestra) ha provato a fare dumping elettorale. Questa volta con minor successo.

I fili da riannodare nei prossimi giorni, i grandi temi su cui discutere, sono tanti e fondamentali: non riguardano solo Atene.