Il punto da cui partire sono i dati, su cui già si stendono cortine fumogene. Il primo riguarda i 5Stelle: nella storia repubblicana nessun partito è mai passato da nulla a più di un quarto dei voti. Il secondo è la volatilità elettorale (tasso di cambiamento di voto da una elezione all’altra), che è tornata a livelli altissimi. Il terzo, la sconfitta disastrosa (elettoralmente ma non politicamente) del PdL: il partito di Berlusconi ha perso 16 punti percentuali, una débâcle paragonabile solo a quella della Dc tra 1992 e il 1994, ed è passato da essere il primo partito al terzo. Il resto è ordinaria amministrazione: la Lega che perde più di metà del suo elettorato e torna a essere un partitino, la sinistra radicale che conferma la sua marginalità ormai definitiva, il centro che rimane inchiodato a cifre irrilevanti e infine, last but not least ,il Pd che perde l’8% (quasi un terzo del suo elettorato), come accadde a un suo antecedente storico (il Pci) nel 1992.

Mancata vittoria del Pd e del centrosinistra, e mancato affondamento definitivo del forza leghismo, mettono in stallo il sistema. Uno stallo che può essere smosso solo dal “dinamismo” del M5S. Perché il nostro sistema partitico non è più bipolare. È diventato, sartorianamente, un pluralismo limitato con quattro partiti/poli, di cui tre della stessa dimensione.

Che tipo di interazione è possibile in questa nuova configurazione? Una è esclusa a priori – l’alleanza Pd-PdL – anche se i corifei berlusconiani stanno soffiando a pieni polmoni su questo loro miraggio. L’interesse per una sorta di mini-grande coalizione da parte della destra è ovvia: rientrerebbe in gioco come non avrebbe mai potuto sperare. Ma non ha alcun valore per il Pd né, a mio avviso, per il Paese. Dopo aver prodotto i disastri che il governo Berlusconi ha procurato nella sua dissennata gestione, dovremmo di nuovo affidargli responsabilità governative, facendogli togliere e rimborsare l’Imu, e magari rifinanziare con le nostre tasche l’Alitalia e le quote latte? E rassicurare così la comunità internazionale che, come è provato al di là di ogni ragionevole dubbio, non vuole più vedere Berlusconi al governo? Solo chi vuole la distruzione finale del Pd può sostenere questa ipotesi – che non a caso è promossa così fortemente dai suoi nemici.

La seconda, un governo di minoranza con un sostegno esterno del M5S, è l’unica percorribile per una transizione verso nuove elezioni che diano una maggioranza stabile dopo aver modificato alcuni punti qualificanti del sistema quali la legge elettorale, il finanziamento e i costi della politica, il conflitto di interesse. Una ipotesi, questa, che è demonizzata da molti “benpensanti” anche di sinistra, che coltivano verso i grillini una diffidenza e una spocchia tipica di un establishment chiuso e declinante. Meglio Berlusconi con le sue escort, i suoi idilliaci rapporti con la comunità internazionale, la sua affidabilità – con al seguito Maroni e suoi Belsito, allegramente dimenticato dalla società civile lombarda che lo ha preferito ad Ambrosoli (sic: questo è il nostro Paese!) – o una compagine pulita, onesta e certo inesperta al limite dell’incompetenza, ma che rappresenta la voglia di cambiamento e di pulizia?

Non ci sono strade semplici né navigazione tranquilla. Ma non potendo andare subito a rivotare l’unica possibilità è un governo di minoranza – che non è un monstrum in quanto è stato spesso praticato in Scandinavia – sostenuto da persone perbene.