Quali effetti sta avendo la crisi sui redditi delle famiglie italiane? È difficile rispondere, giacché alla pesante recessione in corso si aggiunge, nel caso italiano, una mancanza di crescita che dura ormai da un ventennio. Per determinare quali siano state finora le conseguenze della crisi su povertà e diseguaglianza abbiamo effettuato alcune simulazioni (si veda M. Baldini ed E. Ciani, Inequality and Poverty during the recession in Italy, "Politica Economica", vol. 3/2011, pp. 297-322 ) relative al solo impatto della riduzione dei posti di lavoro nel periodo 2007-2010.Si tratta di un metodo alternativo rispetto all’uso di “veri” dati campionari, ma che può dare qualche informazione utile non solo perché i dati “reali” sono disponibili spesso con lunghi ritardi, ma anche perché la simulazione cerca di considerare l’effetto di un fenomeno alla volta, nel nostro caso appunto la riduzione della quantità di lavoro, astraendo da altri possibili cambiamenti intervenuti durante un certo periodo.
Nel quadriennio considerato, quasi il 5% degli occupati avrebbe, a parità di altre condizioni, perduto il proprio lavoro, con percentuali molto superiori alla media nelle regioni meridionali e soprattutto tra i giovani: l’80% delle perdite del posto di lavoro ha interessato infatti persone con meno di 40 anni.  La recessione ha provocato un calo di circa il 5% del reddito di tutte le famiglie italiane. I sussidi di disoccupazione e la Cassa integrazione guadagni hanno compensato circa un terzo di questa riduzione. Se restringiamo lo sguardo ai tre milioni di famiglie direttamente colpite dalla caduta in disoccupazione di almeno un membro o da periodi trascorsi in Cassa integrazione, per esse la diminuzione del reddito disponibile raggiunge il 23%. Una percentuale comunque piuttosto contenuta, perché spesso la perdita del posto di lavoro ha riguardato giovani adulti che ancora vivono nella famiglia di origine, il cui tenore di vita è stato sostenuto dal reddito dei genitori. Sono stati proprio i lavoratori maturi, infatti, i maggiori beneficiari della principale misura adottata dal governo per reagire alla crisi, cioè l’estensione della Cassa integrazione a settori e casi finora esclusi da questo sussidio, che ha interessato soprattutto le regioni centro-settentronali e le persone con almeno 40 anni. Dopo la crisi sia i livelli di povertà sia quelli di diseguaglianza risultano accresciuti.
Le conseguenze distributive di una recessione così ampia non possono che riflettere le caratteristiche del sistema italiano di protezione sociale: frammentario, incentrato sulla spesa per pensioni e sanità, con le briciole lasciate agli ammortizzatori sociali e al contrasto della povertà economica. L’esito è paradossale: sono stati meno protetti proprio i soggetti che la crisi ha colpito di più, cioè i giovani e i lavoratori con contratti atipici.
Le simulazioni mostrano che il rischio di povertà è cresciuto solo in misura marginale per gli under 35 che vivono ancora con i genitori, mentre è significativamente peggiorato per gli altri loro coetanei. Da un punto di vista puramente economico, oggi per un ragazzo rinviare l’uscita di casa è ancora più conveniente di qualche anno fa.
Una riforma in senso universalistico degli ammortizzatori sociali (non realizzata dai recenti interventi sul mercato del lavoro) costerebbe circa quattro miliardi di euro e avrebbe un impatto significativo sui livelli di diseguaglianza e povertà. Se realizzata, questa riforma ridurrebbe la povertà soprattutto per chi ha meno di 18 anni  e per i loro genitori, cioè i lavoratori ancora giovani. Avrebbe effetti molto modesti per i lavoratori più maturi e per gli anziani. Evidentemente gli over 50 italiani (e chi li rappresenta) preferiscono prendersi direttamente cura dei propri figli con problemi di lavoro, piuttosto che contribuire a istituti pensati per tutti.