Coniugare rigore, equità e crescita. Questo l’insopportabile refrain ripetuto da politici sempre più afasici. Tre obiettivi dunque. Ma chiunque insegni politica economica sa che per raggiungere tre obiettivi ci vogliono, quasi sempre, tre cartucce (oltre a buona mira…). Il governo Monti però ne aveva a disposizione una sola. Se si discute della manovra dimenticando che domenica sera l’Italia si è giocata la sua presenza in Europa, si commette un errore enorme. Monti ha puntato al primo obiettivo, una manovra che rendesse credibile il pareggio di bilancio nel 2013: 20 miliardi che coprono il buco lasciato da Tremonti all’interno della fantomatica delega sulla riforma del fisco e dell’assistenza. Questo è ciò che ha fatto. Oggi Monti può quindi andare in Europa e dire che abbiamo fatto quanto imposto (a torto: il rapporto debito / Pil resta quello che è) da un mondo finanziario impazzito e senza regole. Può quindi svolgere il compito potendo contare su un sicuro vantaggio rispetto a qualsiasi altro politico italiano: fare pesare l’Italia nel dibattito sulla nuova Europa, la sola entità che, con un sussulto di resipiscenza, può fermare la disoccupazione.

Se le cose stanno così, ha poco senso discutere oggi degli altri obiettivi.

Chi, domenica sera, ha seguito lo spettacolo più lungo del weekend – la conferenza stampa del governo (non trasmessa in diretta da nessuna delle inutili grandi reti nazionali) – avrà colto con evidenza l’imbarazzo di Grilli nel confessare che le ipotesi di crescita del Pil reale sottostanti alla manovra erano -0,4 nel 2012 e 0 nei due anni successivi! C’è qualche economista (e nel governo ce ne sono molti bravi) che possa sostenere che una riduzione del disavanzo di 30 miliardi lordi (20 netti dato che 10 sono sgravi fiscali e aiuti alle imprese che non è detto saranno reinvestiti…) possa fare crescere il Pil? La crescita non c’è e non ci sarà. Ci sarà solo un po’ più di inflazione.

Nel poco tempo a disposizione, sul piano dell’equità la manovra ha colpito chi poteva colpire, ma non i soliti noti. Ci sarebbe molto da dire su questo piano e il dissenso su molte delle misure è certamente legittimo. Ma non si può negare che sia stata usata una tastiera molto ampia.

La straordinaria conferenza stampa di domenica sera ha mostrato persone non imbalsamate, che hanno cercato di lavorare al loro meglio. Per alcuni momenti si è avuta la sensazione che un modo diverso di affrontare i guai del nostro Paese sia possibile. Quei “tecnici” hanno affermato non la superiorità della tecnica (perché da un punto di vista puramente tecnico questa manovra non è diversa da molte altre), ma la possibilità che le aspettative politiche, prima ancora di quelle economiche, con pazienza, modestia, senso e dissenso costruttivo, possano essere modificate. Speriamo che i semi gettati fermentino. Nelle prossime settimane potremo esercitare il necessario dovere di critica e di proposta.

Se avremo superato il primo obiettivo (il che però non dipende solo da noi), quello della credibilità e del rigore, un governo sempre più politico si affrancherà dall’attuale infida maggioranza parlamentare e ci traghetterà nei tempi giusti verso il voto. Se avrà abbastanza tempo per operare, andrà giudicato con rigore sul piano dell’equità e della coesione sociale, in attesa di conoscerne le mosse più in dettaglio. Per l’occupazione giovanile al Sud e per una riforma del mercato del lavoro che parta dagli ammortizzatori prima che dall’articolo 8; per una più incisiva tracciabilità che renda meno improbabile la costruzione di una vera imposta ordinaria sul patrimonio, per una spending review che abbia come primo fine non la riduzione ma l’efficacia della spesa pubblica. Si tratterà di vedere se potrà essere messa a punto, finalmente, una disciplina delle frequenze e delle reti televisive. E se si darà spazio alle misure necessarie per accelerare la giustizia amministrativa. In breve, occorre attendere per verificare quanto e come si metterà mano alle cose cruciali che si possono chiedere ai politici.

Ma scioperare oggi sulle pensioni davvero non ha senso. Oggi abbiamo un sistema pensionistico corretto e pulito: d’ora in poi non parleremo più di pensioni di anzianità, ma semmai di come garantire domani pensioni decenti ai giovani precari di oggi. E sulla crescita, se non ci aiuta l’Europa (ma non credo che lo farà con sufficiente determinazione), dovranno essere le imprese a capire che il ricatto della globalizzazione alla fine ha indebolito il nostro Paese. Ed è qui che bisogna investire, ora, per l’occupazione.